Vittorio CraxiVoglio ringraziarvi con amicizia e fraternità, compagne e compagni, per aver risposto al nostro invito e alle nostre sollecitazioni di mobilitazione per un'assemblea politica di socialisti che intendono discutere del loro futuro e che hanno assunto una decisione assai impegnativa, decidendo di non partecipare al Congresso nazionale del Psi. Preparando qualche appunto per la mia comunicazione, che svolgo su mandato del resto dei compagni del Partito e di altre associazioni che più tardi citerò, mi è caduta sotto gli occhi una intervista illuminante di Norberto Bobbio, rilasciata esattamente quarant'anni fa a chi gli chiedeva, dopo la sconfitta elettorale del 1976, se esistesse ancora un futuro per il Partito socialista. Egli rispose: "Sono dell'opinione che non può esistere alcuna società industriale avanzata senza i socialisti. Se il Psi non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Visto che c'è e non funziona occorre, dunque, reinventarlo". Ecco: nulla di nuovo, quindi. Il Psi c'è, ma non funziona. E' irrilevante e bisogna reinventarlo. Noi ci riuniamo per questo. Spiace, ma la condizione di subalternità, di acquiescienza politica verso Governo e Pd e la gestione proprietaria e 'anti-statutaria' di questi anni ci hanno condotti a una posizione di radicale e netta distanza dalla 'corrente' guidata da Riccardo Nencini. Da un lato, è sembrata aumentare la richiesta di rappresentare, nelle sue diverse forme ed esperienze, la tradizione del socialismo italiano per tentare di superare non solo gli anni della diaspora organizzativa, ma anche le distanza che ormai anche il tempo stava colmando, riducendo la distanza fra noi e gli italiani che avevano riaperto gli occhi circa il 'vuoto netto' che si era creato con l'assenza, all'interno della sinistra italiana e nel cuore della democrazia, di un Partito che rappresentasse non la memoria, ma l'attualità delle idee e dei valori del socialismo italiano. Dall'altra, una condotta minimale, improduttiva e 'schiacciata' sul 'renzismo' ha via via disancorato tanti socialisti dalla propria comunità, ricercando le strade più opportune o più idonee per continuare a sentirsi rappresentati, determinando, altresì, nel nostro Paese, una delle più larghe comunità politiche disperse degli ultimi venti anni. Il nostro compito era e continua a essere quello di riunire una comunità dispersa; consolidare una piattaforma di valori e di interessi comuni; riunificarla per restituire alla democrazia italiana e alle istituzioni una grande comunità di uomini e donne che sappiano mettersi al servizio della collettività, forti di un'antica e nuova esperienza che si fa forza della propria cultura, che è a un tempo l'espressione più alta di chi sa difendere e rappresentare il mondo del lavoro nelle sue forme diverse, vecchie e nuove, nonché quella di chi ha acquisito una cultura della propria comunità, una tradizione di buona amministrazione, un'esperienza al Governo del Paese. C'è una sola strada per riorganizzare la democrazia, in Italia, per deviare la strada intrapresa del plebiscitarismo demagogico e populistico: quello di ricostruire le forze organizzate della politica, i Partiti, su basi nuove, attraverso processi democratici convincenti e sostenibili, salvaguardando i principi e i valori di fondo delle culture politiche di appartenenza. Questo vale innanzitutto per la sinistra, che è la parte più politica del Paese. Sappiamo bene che in tutta la Storia del dopoguerra e anche prima, le divisioni hanno accompagnato la sinistra: divisioni ideologiche che ci siamo trascinati sino ai giorni nostri. Ed è probabilmente a causa di quelle divisioni che la sinistra è arrivata più fragile e divisa all'appuntamento con la sfida imposta dalla modernità. E proprio mentre il messaggio e la prassi globale del neo-liberismo diffondono il pensiero unico fra gli abitanti del pianeta, insieme al ricatto ideologico che vorrebbe farci credere che non esista alcun'altra alternativa, sorgono improvvisamente in forme nuove e inedite le resistenze politiche e sociali di chi si oppone a questo stato di cose; che vorrebbero difendere le antiche conquiste dello stato sociale e aggiugerne di nuove; che non accettano la cessione delle sovranità economiche e nazionali a sistemi esterni, regolati e determinati non da processi democratici ma da istituzioni sovranazionali, per lo più tecnocratiche, che determinano e provocano gli squilibri che stanno sotto i nostri occhi. Aveva senso dare vita ad un Governo di unità nazionale per un periodo limitato, se esso fosse stato in grado di riorganizzare, per davvero e in forme condivise, le istituzioni repubblicane logorate dal tempo, se avesse introdotto forme più concrete di redistribuzione della ricchezza nazionale. Al contrario, abbiamo assistito a un'assunzione di potere dispotico esercitato sul proprio Partito, sul parlamento e su un Governo privo di nerbo e contrappesi, piegato alle evoluzioni di un capo che si è agitato, in questi anni, come 'tarantolato' dalla fretta di un decisionismo privo di 'bussole', unicamente concentrato a dare l'illusione di una risposta alle crisi che, contemporaneamente, una dopo l'altra, si sono aperte. Matteo Renzi ha finito per accellerare la crisi del sistema, non a risolverla. La soluzione autoritaria con la quale si è dato vita a una riforma istituzionale che abolisce il bicameralismo, varando una nuova Camera a elezione indiretta, è sbagliata sia nella forma con la quale si è approdati al consenso parlamentare, sia nella sostanza di un 'cambismo' senza costrutto, che esalterà la forza dell'esecutivo e del suo capo e che, per sovrappiù, eleggerà il suo gruppo parlamentare deprimendo definitivamente, parcellizzandolo in gruppi politici deboli e privi di capacità alternativa, il parlamento repubblicano. Per questa ragione, i socialisti dovevano votare 'No': no a questa riforma istituzionale e no a questa riforma elettorale. E' per questa ragione che i socialisti daranno vita a un Comitato socialista-democratico per il 'No', al quale già personalità di rango, ex ministri, giuristi socialisti e rappresentanti della società civile, ci hanno chiesto di aderire e farne parte. Noi non intendiamo farci schiacciare sulla posizione in cui Matteo Renzi, demagogicamente, intenderebbe confinare tutti coloro che si oppongono al suo disegno di riforma. La "santa alleanza dei diversi o dei conservatori": non è questa la nostra posizione e non lo sarà. Noi siamo per una riforma costituzionale che preveda l'elezione di un'assemblea costituente; siamo per l'elezione diretta di un presidente che mantenga i propri poteri affidatigli dalla Costituzione; e siamo per un parlamentarismo forte, che sia un contrappeso e che venga eletto direttamente dal voto dei cittadini, che restano gli unici arbitri della democrazia di un Paese. Noi pensiamo che si possano riorganizzare i campi della politica. E perché non ci rassegniamo al 'ballottaggio' che viene all'orizzonte fra populismi più o meno marcati, tra i fautori di un liberismo compassionevole e un avventurismo demagogico, seppur oggi 'depurato' dalle spinte esoteriche dei 'guru'. Anche i 'cinquestelle' saranno costretti a fare i conti con la fatica e l'obbligo di dare risposte e governare le società complesse: non è con la demagogia dell'improvvisazione, né con il populismo feroce della 'nuova destra' che si affronta la cultura 'tecnocratica' del capitalismo avanzato, che ha ridotto democrazia, libertà e sicurezza sociale; non è la protezione egoistica che innalza muri, divieti e barriere che ci metterà al riparo dalle regioni insofferenti che ci circondano; non è con l'uso indiscriminato della forza senza soluzioni che riorganizzeremo, in senso democratico, intere nazioni che si sono liberate da un 'giogo' autoritario e che, oggi, vedono accresciuta l'instabilità, poiché minacciati nella loro stessa esistenza da forme di ribellismo nichilista e terrorista, a volte spontaneo, altre volte alimentato dalla lettura superficiale, o di comodo, di testi religiosi antichi, nonché foraggiati da potenze e interessi che prosperano nell'instabilità diffusa, creando le condizioni per una paura permanente. La nostra libertà è minacciata, la nostra sicurezza è minacciata. Ma la nostra libertà e la nostra sicurezza non si difendono minacciando la libertà degli altri. Una risposta politica e culturale all'altezza non può prescindere dalla corretta interpretazione dei nuovi fenomeni culturali, sociali e religiosi che stanno accelerando i cambiamenti dell'epoca in cui viviamo. In Italia, non possono essere i Matteo Salvini, i Magdi Allam e le Fallaci a dettare la linea retta della coscienza popolare su temi così delicati e sensibili, che rischiano di invertire in modo definitivo il nostro senso comune, il quale si è sempre improntato alla cristiana accettazione dell'altro, al riconoscimento del diritto altrui in virtù dell'esperienza di una popolazione come la nostra, che ha patito la disperazione della fame e ha conosciuto, in epoche diverse, l'epopea grandiosa e triste dell'emigrazione per fame e lavoro. D'altronde, la minaccia più grande alla nostra libertà e alla nostra sicurezza è rappresentata dalla crisi del lavoro e dell'occupazione. Siamo tutti alla disperata ricerca di un'alternativa efficace, che sia effettivamente in grado di cambiare la realtà. La delusione è tanto più grande nel nostro Paese quanto grandi sono state le aspettative: è qui che s'incrociano la crisi democratica e la crisi sociale. L'aumento catastrofico della disoccupazione, in particolare giovanile, non è stata risolta. La filosofia del 'jobs act', tragicamente replicata anche in Francia, dove tuttavia permangono, per fortuna, relativi sussidi sociali, ha determinato soltanto un aumento relativo di lavori temporanei, con la certezza di aver perduto, per sempre, la sicurezza di poter mantenere quell'occupazione. Terminati gli incentivi e gli sgravi, si è presto svelato l'inganno di un mercato del lavoro che non poteva che offrire lavori a tempo determinato. In un certo senso, così come nel caso della minaccia terroristica, che ci obbliga a cedere un po' della nostra libertà personale in cambio della sicurezza, l'accettazione di un lavoro qualsiasi da parte di un giovane replica un'eguale cessione di libertà in cambio di una relativa sicurezza, nella speranza di poter entrare nel mondo degli adulti per realizzare il 'sogno' di comprare una casa, di formare una famiglia, di pianificare il proprio futuro. La libertà e la sicurezza hanno un ruolo decisivo nel conferire alla vita umana decoro e dignità. E la cessione della prima, in cambio della seconda, appare la tragica condizione delle società in cui viviamo. "Lasciate che la giustizia scorra come un fiume, la giustizia sia come un torrente perenne. Viviamo in un momento in cui alcuni hanno ricchezza al di là di ogni comprensione, mentre milioni di americani vivono in povertà. Quando si parla di moralità e quando si parla di giustizia dobbiamo, a mio avviso, capire che non c'è giustizia quando così pochi hanno così tanto e così tanti hanno così poco". Così si esprime il candidato alla presidenza americana, Bernie Sanders, citando un salmo della Bibbia al fine di confortare la propria piattaforma politica contro le diseguaglianze di reddito. E' una eco ideale, che risuona e che sembra accomunare i progressisti del nuovo e del vecchio continente. C'è una richiesta di giustizia sociale, di libertà, di democrazia, di diritti. Ora non saprei dire quali confusi o scontati aggettivi potrebbero rappresentare meglio di una parola sola che racchiude il senso e la necessità di libertà, di giustizia sociale, di solidarietà diversa da quella alla quale più siamo affezionati: la parola 'socialista'. Si dice che l'esperienza finale del Psi e le cause che ne hanno determinato la scomparsa alienerebbero le simpatie italiane verso di essa, quindi verso di noi. E' una versione di comodo, faziosa, che non mi convince e che rovescia la realtà dei fatti, quelli accaduti un tempo rispetto alle tendenze dell'attualità. Leggo con piacere che si affacciano alla riscoperta del socialismo democratico anche vecchi dirigenti che hanno seguito tutta la parabola del comunismo italiano, oggi approdati al Pd ma che sono alla ricerca di un ancoraggio più solido con la tradizione del socialismo italiano e non si accontentano della strumentale adesione al socialismo europeo effettuata da Renzi qualche anno fa: mi riferisco al presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi, ma anche ad altri. C'è la necessità di dare vita e 'gambe' a un nuovo progetto, che a partire dalla centralità e dalla vitalità del pensiero socialista abbracci le diverse tendenze che, nella crisi italiana, ricercano un approdo diverso dalle soluzioni demagogiche offerte da poteri politici stanchi e vistosamente in crisi, dopo vent'anni inconcludenti. Il progetto socialista stride con la guida che Riccardo Nencini ha imposto al Partito. Non elencherò l'insieme delle scelte e delle condotte contraddittorie effettuate in questi 8 anni. Avevamo scongiurato lui e il suo 'braccio destro' Pastorelli di evitare di promuovere un appuntamento congressuale senza indicare prospettive politiche e segnato da divisioni vistose, che avremmo potuto riassumere dopo un periodo di riflessione e chiarimento. Al contrario, ha rifiutato di rispettare i dettami minimi che regolano la vita interna dei Partiti e ha accelerato l'appuntamento di Salerno pensando di celebrare il secondo tempo e il trionfo del 'renzismo', a cui avrebbe offerto lo 'scalpo' definitivo della tradizione socialista. Le cose si stanno incaricando diversamente di evidenziare una separazione fra il sentimento socialista e una frazione sempre più autoreferenziale, priva di una reale bussola politica. Ieri si è lamentato della nuova legge elettorale paragonandola alla legge Acerbo. Scusa: ma perché l'avete votata, allora? Tre volte e senza un fiato. Lo hanno fatto lui, Alfano e Verdini, illudendosi che, come Bruto, Renzi fosse un uomo d'onore. E Renzi è un uomo d'onore: Enrico Letta ne sa qualcosa. Oggi, rilancerà una prospettiva di superamento della ragione sociale socialista: un'improbabile svolta laico-socialista-cattolica. La verità è che, cavalcando il dorso di uno strapuntino ministeriale, Riccardo Nencini sta portando i socialisti, pochi, che lo seguono, nel vicolo cieco di un futuro senza prospettiva. Noi proponiamo e proporremo a tutti i socialisti, nel Psi e fuori dal Psi, l'obiettivo concreto di una lista elettorale socialista alle elezioni che, sono sicuro, forte delle sue personalità e delle nuove adesioni, supererà lo sbarramento agevolmente e riporterà in parlamento una rappresentanza autonoma dei socialisti italiani. Parlo di nuove adesioni, perché alla 'Iniziativa socialista' di Angelo Sollazzo; al 'Risorgimento' guidato da Franco Bartolomei, che ringrazio, libero nelle sue determinazioni e tuttavia desideroso di continuare il confronto; al 'Movimento socialista europeo' di Biagio Marzo; ai 'Socialisti europei' di Gerardo Labellarte e Atlantide Di Tommaso; all'associazione 'il socialista' di Roberto Biscardini; al gruppo di Gennaro Mucciolo, Gradi e altri ancora, si sono uniti anche la 'Uils' di Gasparo e Montali e il gruppo dei 'Socialisti democratici' di Onofrio Introna, che ha promosso il referendum delle 9 regioni. Sino a 15 giorni fa, del referendum sulle trivelle nessuno ne sapeva nulla: solo uno sparuto 15% di italiani si diceva intenzionato a recarsi alle urne. Oggi, grazie ai radicalismi e agli errori di sottovalutazione compiuti da Matteo Renzi, tutto quel che risulterà in più rispetto a quel 15% darà la misura dell'opposizione che il premier sta alimentando e cumulando contro di sé. Cari compagni e care compagne, non voglio parlare né di costituenti, né di nuove unità: molte ne abbiamo fatte, molte con successo e molte sono fallite. Dobbiamo parlare assieme usando il linguaggio del realismo. Questa è una delle poche cose che ho assimilato bene fra i molti insegnamenti ricevuti da mio padre, Bettino Craxi: realismo politico e piedi piantati nella realtà in cui noi viviamo, sapendo che assumendoci una responsabilità impegnativa intendiamo orientare tutto il movimento socialista nel Paese. In condizioni totalmente diverse e mutate dobbiamo, sappiamo e possiamo essere all'altezza del compito. La politica perde credibilità, si agita con slogan confusi, lega il proprio destino e il proprio successo a operazioni che, spesso, hanno un sapore e un valore effimero. Sono tempi che concedono poco e non a tutti. Ricette che falliscono e i problemi accumulati rischiano di diventare insormontabili per grandi Partiti, ma diventano addirittura impossibili per le minoranze, seppur animate e guidate da uno spirito di lotta e da una cultura antica e profonda come la nostra. Tuttavia, vi è un senso alla nostra marcia, se intravediamo che essa non è fatta per risolvere o soddisfare un bisogno di ceti politici, ma se incrocia e cerca di dare risposte concrete ai molti italiani che hanno smarrito la fiducia e il senso di appartenenza e di adesione a delle culture politiche, che pure hanno rappresentato molto per il nostro Paese. In tal senso, la nostra è una sfida e un compito difficile, ma come sempre, trattandosi della nostra grande Storia e del sentimento che ci unisce, vale la pena di tentare. E' una riflessione aperta. Aperta anche ai ripensamenti altrui, nel campo socialista, ma aperta a tutto il mondo democratico e laico che non vuole unirsi in battaglie di principio e vuole riorganizzare la politica democratica come necessità, anche in società avanzate come le nostre, che non possono permettersi altri anni di confusione, incertezze, crisi e avventure. Questa è la ragione principale del nostro appuntamento politico di oggi.




(intervento integrale alla I Assemblea nazionale di 'Area socialista')
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Fabrizio Federici - Roma - Mail - mercoledi 20 aprile 2016 20.53
Condivido in gran parte quest'analisi. Quel che restava del socialismo italiano, in gran parte negli ultimi anni s'è appiattito sul "Renzismo": basta, compagni socialisti, cambiamo!


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