Stefania CraxiCari compagni, carissimi amici, il lavoro che svolgiamo da tre anni, i risultati delle ultime elezioni, le insofferenze che ogni giorno crescono per il degrado della nostra politica ci inducono a tentare un’ardita operazione politica, quella di ridare dimensioni, voce, autonomia alla forza socialista craxiana, liberale, laica e cattolica, oggi dispersa o chiusa in un rifiuto tanto superfluo quanto dannoso. Io vi prego di ascoltarmi con pazienza e di non vedere nelle mie parole niente altro di quello che esse dicono. Dietro questa iniziativa non ci sono segreti, non ci sono burattinai: ci siamo solo noi, con il nostro solo bagaglio, con quello che abbiamo fatto e con quello che saremo capaci di fare. Io cercherò di essere precisa, di non lasciare incertezze o ambiguità; e se resterà qualche margine di dubbio, prendete la parola, intervenite, chiedete.
Questa è una riunione di lavoro in cui siamo tutti protagonisti perché sarete poi voi a dover dar vita alle decisioni che prenderemo, se decisioni vi saranno. La proposta di un movimento nuovo, autonomo dai blocchi, che restituisca all’Italia i valori del socialismo liberale, della società laica e del cattolicesimo liberale, nasce da una serie di considerazioni che ne sottolineano la necessità e la possibilità di realizzazione. In primo luogo il riscontro elettorale che i socialisti non sono una razza estinta. Sono divisi, dispersi, mal guidati, mal consigliati ma ci sono, e non sono tutti ex combattenti e reduci, anzi, proprio il contrario perché numerosissimi sono i giovani e le nuove leve – diciamolo pure – sovrastano le vecchie per dinamismo, idealità, disinteresse. In tre anni di continuo peregrinare per l’Italia ho maturato la convinzione che c’è un numero sufficiente di compagni ed amici disposti a impegnarsi in un lavoro politico diretto a dare vigore a istanze di cambiamento e di rinnovamento. Il momento è favorevole.
Le elezioni hanno messo bene in evidenza il cattivo stato di salute sia del centro-destra che del centro-sinistra. Nel centro-destra si assiste al logoramento di Berlusconi e del suo partito, nel centro-sinistra al fallimento del listone, se si somma anche il “correntone” ds gli estremisti raggiungono quasi la maggioranza, il programma comune scritto da Amato è stato nascosto sotto il tavolo perché un programma comune proprio non riescono a farlo. Il degrado della politica ha raggiunto livelli insopportabili. Le contrapposizioni, la rissa sul più banale degli argomenti continuano senza soste anche dopo la fine della campagna elettorale rendendo inutile ogni appello. Ma gli italiani non sono tutti Montecchi e Capuleti, è gente che lavora, che ha interessi, che ragiona e io credo che non siano pochi coloro che aspettano la fine di questa eterna commedia da teatro vittoriano. C’è una situazione generale di movimento che sembra solo aspettare un nuovo input per prendere un diverso corso. Noi vogliamo incidere su questa situazione.
Ogni circolo, ogni associazione, ognuno di noi ha un valore. Dobbiamo unirci, per creare un valore più grande. Io vedo il movimento che spero di promuovere come un processo di aggregazione di forze nuove a quelle già disponibili o potenzialmente disponibili. Noi partiamo cercando di collegare insieme i circoli craxiani, le associazioni degli amici liberali e repubblicani, gli amici radicali con cui condividiamo molte battaglie di libertà e civiltà, i centri di cultura laica, le associazioni cattoliche non confessionali, le numerosissime liste civiche di cultura liberal - socialista, personalità e persone che hanno la stessa nostra ansia di aria nuova, aria pulita, aria giovane. In questa fase abbiamo in animo di promuovere la nascita di una libera associazione di solidarietà e di incontro tra personalità diverse, organizzazioni diverse, militanze diverse: i liberali e i socialisti che in questi anni hanno scelto la strada del disimpegno, la militanza nello SDI, nel Nuovo PSI, in Forza Italia, a sinistra e in movimenti politici locali.
Noi vogliamo avviare un processo di crescita e di unità che dia al socialismo liberale e alle forze laiche la dimensione necessaria per poter fare una politica autonoma, al servizio di nessuno, mirata solo a restituire all’Italia i valori della cultura liberal-socialista, a riaprire la strada alla modernizzazione. Noi non vogliamo dare vita a una associazione in competizione elettorale con le forze, piccole o grandi, nelle quali hanno scelto di militare i liberali, laici e cattolici, e i socialisti, ma con un’idea forte di competizione concettuale, culturale e politica. L’idea di un movimento che non si proponga di essere, pregiudizialmente, pro o contro le opposte tifoserie politiche o di essere aghi della bilancia, ma che ambisca invece a rompere la bilancia nella forma e nei modi che si renderanno possibili, in tutte le forme e i modi che si dovranno rendere possibili.. L’idea di un movimento che sia capace di definire prima le motivazioni di ciò che “ si è”, e solo successivamente le ragioni del farlo “con chi”.
Io voglio essere chiarissima su questo punto e prego di prendere le mie parole come un impegno preciso. Noi, qui, oggi, non stiamo fondando il terzo o quarto partitino socialista dell’uno per cento. Ripeto: non stiamo fondando nessun partito. Noi vogliamo dar vita a un movimento che per dimensioni, chiarezza di idee e di programmi, idealità e volontà sia capace di fare una politica propria e di influenzare quella degli altri. Questo sarà possibile solo se il movimento avrà successo, se il processo che oggi avviamo troverà adesioni e si svilupperà. Ma se non avremo successo non resteremo a belare in mezzo al prato. Scioglieremo le righe: ci rimarrà la soddisfazione di un gesto nobile compiuto e il rimpianto della sua inutilità. L’eventuale adesione al movimento non pregiudica le posizioni e le alleanze che mantengono nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni, perché noi confermiamo sin d’ora la tradizione socialista che ha sempre lasciato libere le organizzazioni territoriali di scegliere le alleanze locali. Poniamo però un’unica condizione: il rispetto della storia, della verità e delle idee del socialismo. Noi chiediamo semplicemente di manifestare disponibilità per una organizzazione nuova, più forte, più autorevole, più influente.
Per crescere ci vogliono idee nuove, nuove energie. Valgono di più gli errori dei giovani che non il cinismo di personaggi navigati che hanno bruciato vent’anni fa i loro ultimi entusiasmi. Sta a noi, e mi rivolgo a tutti quelli della mia generazione e della generazione più giovane, impegnarsi per la ricostruzione del valore della politica e di una democrazia liberale in cui ogni forza e ogni potere stia al suo posto, senza sconfinamenti, sovrapposizione di ruoli, provocazioni d’ogni genere. Dove i politici fanno i politici, i giudici fanno i giudici, il sindacato fa il sindacato, gli intellettuali fanno gli intellettuali e non gli agitatori di piazza. Dobbiamo contribuire a restituire alla politica la sua dignità, non dobbiamo cessare di censurare gli errori, di indicare la via maestra di un riformismo sereno e condiviso. Per fare ciò occorre innanzitutto lavorare per oltrepassare quella sorta di cultura di guerra che è alla base, oggi, del linguaggio politico italiano. Il bene ed il male non sono mai divisi da una linea retta e, nel panorama politico e sociale di un Paese libero come l’Italia, non si devono mai scontrare volontà positive e volontà negative, buoni e cattivi, ma si devono scontrare interessi legittimi dal cui confronto e dalla cui composizione nascono poi le migliori soluzioni per il Paese.
Questa è l’essenza della vita democratica del Paese, ed è questo tipo di vita libero che bisogna ristabilire: ciò vuol dire che la contrapposizione non deve essere scontro ma confronto su idee e su programmi, ciò vuol dire che ogni istituto, ogni organizzazione deve avere la sua parte, il suo peso, la sua responsabilità. Ponendoci un alto obiettivo, puntando su forze nuove, facendo dei giovani la nostra punta di diamante noi vogliamo buttare via, dimenticare tutto ciò che di misero, di personalistico, egoistico, deplorevole e vergognoso c’è nella storia del socialismo di questi ultimi dieci anni; e non solo del socialismo. Puntiamo sui giovani per superare i guasti del passato; puntiamo sui giovani per superare il linguaggio di guerra che avvilisce la politica e la rende odiosa. Lasciatemelo dire: di nobile, di generoso, in questi dieci anni, c’è stato solo il sacrificio della vita di Bettino Craxi, il suo indomito coraggio per reclamare la verità, per opporsi a chi lo voleva vinto e umiliato, per difendere una libertà che voleva per tutti, e anche per sé. Sarà questa l’unica discriminante che porremo per l’adesione al movimento: l’accettazione della verità storica sulla distruzione del partito socialista e del suo leader, il rifiuto delle menzogne che circolano ancora in tanti ambienti che pure si dicono di sinistra.
Non faremo dunque l’identikit a chiunque voglia aderire al movimento; ma il rispetto della verità, il rispetto dei dieci anni più belli vissuti dal partito socialista, il rispetto del nostro maggiore leader, delle sue idee, delle sue opere, questa è una pretesa irrinunciabile. La Fondazione Craxi è diventata un’ istituzione che lavora intensamente e che porta avanti un obiettivo importante, quello della ricostruzione di una verità storica, è un istituzione che ho consegnato al Paese e che ci sopravvivrà; i Circoli si sono sviluppati sulla volontà di molti compagni, e anche di autorevoli personalità, di affermare politicamente la verità. La verità è una forza che si fa sempre più strada col passare del tempo; niente, da parte nostra, deve incrinare questo processo. E ora qualche nota di lavoro, con una premessa. L’unica domanda che non avrei voglia di sentirmi rivolgere è: “noi da che parte stiamo”, “chi sono i nostri alleati”. Lo decideremo in base alle scelte che le varie forze politiche faranno allora; lo decideremo in base alla situazione che troveremo, augurandoci di andare incontro a una organizzazione della politica italiana più liberale e più in linea con la nostra tradizione pluralistica, rifiutandoci fin d’ora, questo posso dirlo, di entrare in uno qualsiasi di quei due orribili becchi d’oca nei quali si vogliono ingozzare tutte le forze politiche italiane.
Noi abbiamo sin d’ora una guida sicura: i principi del riformismo di Craxi; seguiamoli e non correremo il rischio di perdere l’orientamento. E’ questo il primo consiglio che vi do per il lavoro che vi attende. Perché è chiaro che oggi, noi, qui, possiamo prendere delle decisioni, scriverle in un ordine del giorno, approvare un manifesto ma poi tocca a voi, tornati alle vostre case, avviare quell’opera di proselitismo che sola può assicurarci il successo. Spero che ognuno di voi, tornato a casa, si guardi intorno e stabilisca il suo programma di lavoro: amici, parenti, l’associazionismo già esistente, circoli culturali, personalità disposte a correre la nostra avventura. Sappiamo che ci rivolgiamo a una parte minoritaria del Paese, stimata dagli istituti di ricerca intorno al 20 per cento: socialisti, liberali, repubblicani, radicali, cattolici non confessionali. Ma è la parte, se non la più viva, la più intelligente e preparata fra gli italiani, con grande capacità di comunicazione e forza persuasiva. Ogni acquisizione sarà dunque un punto prezioso.
Ho scelto un nome per il movimento: Giovine Italia. L’idea non è mia, è di Bettino che ne scrisse addirittura uno statuto. Si scrive Giovine, usando l’Italiano antico; si legge e si interpreta Giovane, seguendo l’Italiano moderno. Giovane Italia, perché vogliamo lavorare per un vero ricambio generazionale della classe dirigente. Giovane Italia, perché il movimento vuole contribuire a ridare speranza ad una grande nazione, qual è l’Italia, che la sta perdendo; l’Italia deve invece reagire, avendo coscienza di sé, della sua identità, delle sue ricchezze naturali, ambientali, storico - artistiche, della cultura dell’ospitalità, della cultura della qualità della vita e dello stile, che sono il suo tratto identitario, riconosciuto in tutto il mondo, del suo deciso ancoraggio ad occidente, ed insieme del suo ruolo strategico, come ponte tra le civiltà del Mediterraneo. Giovane Italia, perché vogliamo risvegliare sentimenti di italianità prima annegati nel classismo e oggi elusi dalla retorica europeista. Giovane Italia, perché questo è un Paese di cui si sono impadroniti lobby di industriali, di finanzieri, boiardi di Stato, caste di magistrali e burocrati, in alleanza con gli eredi di ideologie fallite.
Giovane Italia, perché l’Italia non può essere nelle loro mani, le sorti del Paese devono stare nelle mani degli industriali, degli artigiani, degli operai, dei commercianti, degli impiegati, dei professionisti, dei contadini, degli intellettuali, nelle mani dell’esperienza degli anziani e nella volontà di affermazione, di sacrificio, di conquista dei giovani. E cioè delle ragazze e dei ragazzi del nostro Paese che, per intelligenza, fantasia, volontà di progresso e amore della Patria, non sono secondi a nessuno. Qualche parola, fatalmente generica, sul nostro programma per dare un primo orientamento a coloro che ci seguiranno. Innanzitutto la legge elettorale. L’attuale è il peggior nemico della nostra autonomia, la causa prima delle divisioni più profonde; noi quindi appoggeremo con forza e convinzione tutti i tentativi di ritornare a un sistema elettorale più giusto e più rispettoso delle opinioni degli italiani. Non mi dilungherò, perché i guasti del maggioritario all’italiana sono sotto gli occhi di tutti. Costringendo forze diverse in un unico blocco, abbiamo una maggioranza che non riesce ad approvare il suo stesso programma e un’opposizione che non è in grado di presentarne uno decente.
Con la prospettiva, che sta fra il riso e il pianto, di ripresentare di qui a due anni un bel duello fra Berlusconi e Prodi, due campioni ormai più spompati della nostra nazionale di calcio. La politica estera. E’ inquietante il quadro internazionale, dove si assiste alla proliferazione dei movimenti antisistema che, in nome dell’Islam ma in realtà estranei da ogni sentimento religioso, cercano di sconvolgere con la violenza l’ordine internazionale. E’ una lotta a cui l’Italia non può sottrarsi al pari di tutte le nazioni democratiche. E’ purtroppo facile prevedere che anche l’Italia andrà incontro a sempre maggiori responsabilità in uno scacchiere mondiale sempre più inquieto. Questo presuppone un’unità nazionale che oggi non c’è, e un’Italia divisa non potrà mai esercitare con la dovuta fermezza nell’Unione Europea e nella Nato il ruolo che le spetta come grande nazione. Totalmente da rivedere il nostro ruolo nell’Europa, dove siamo finiti a essere la Cenerentola pur essendone tra i maggiori paesi finanziatori. Il fallimento di Prodi, presidente della Commissione, è stato totale.
Prodi si è avvalso di un europeismo ipocrita e parolaio come foglia di fico della sua assoluta mancanza di conoscenza e di preparazione, di riti da “mercato delle vacche” che sono pratica quotidiana nei corridoi di Bruxelles. La Commissione, che segna immancabilmente l’equilibrio del più forte, non è stata mai influenzata dalle parole di Prodi e l’Italia ha finito per perdere anche la sua influenza su aree per noi prioritarie come la regione mediterranea. Quello che sin d’ora dobbiamo chiedere con forza è che l’Europa finisca di essere la fonte prima del rincaro della nostra vita e l’impedimento al nostro sviluppo. Se diverse sono le condizioni dei vari Paesi, fissare regole particolareggiate uguali per tutti non può che essere dannoso. L’Italia ha bisogno di sviluppo come il pane. Non c’è politica sociale che tenga se lo sviluppo non riesce a finanziarla. Lo sviluppo ha necessità di ricerca, di innovazione. Togliere dal computo per il patto di stabilità i finanziamenti alla ricerca è una necessità primaria che noi dobbiamo reclamare con forza. Non è vero che le dimensioni delle nostre aziende siano troppo modeste per la ricerca.
Le nostre medie e piccole aziende hanno già dato prova di dinamismo, flessibilità, capacità di innovazione dei prodotti e dei processi produttivi. Mancano solo di incoraggiamenti, di collegamenti con le università e i centri di ricerca. La grande impresa espelle mano d’opera; la piccola e media impresa l’assorbono. Teniamoci stretto, e curiamo adeguatamente, il patrimonio che tutto il mondo ci invidia, le centinaia di migliaia di nostre piccole imprese. La nostra politica estera non deve dimenticare il Medio Oriente, la Palestina, dove un popolo che ha ormai coscienza di nazione soffre angherie e brutalità che ripugnano alla coscienza civile. Noi appoggiamo ogni tentativo di far progredire in Palestina il processo di pace, ma questa pace non può essere pagata solo dal popolo palestinese con altro sangue e continue umiliazioni. Nelle faccende interne, poniamo in primo piano la riforma del nostro sistema di protezione sociale: è un sistema vecchio, dispendioso, ingiusto.
Soprattutto non risponde alle esigenze di tutela dei più giovani, che hanno di fronte un mercato del lavoro per loro prevalentemente occasionale e non trovano aiuti nelle pause di disoccupazione. E’ un sistema che, a parità di spesa, va svecchiato e adattato ai nuovi modelli della vita moderna. Due parole sull’immigrazione. L’Italia ha bisogno di manodopera e limitare oltre misura i flussi immigratori è un errore. Gli immigrati vanno accolti, aiutati ad inserirsi nella nostra società. Ma è anche un errore creare piccole isole di culture lontane, fatalmente destinate a entrare in conflitto col nostro sistema di valori. Chi viene da noi deve rispettare i nostri costumi, assuefarsi al nostro modo di vita, tener conto delle nostre convinzioni. Solo così ci potrà essere un vero scambio culturale e una civile convivenza. Troppe ingiustizie abbiamo subito per non aver dedicato un’attenzione vigile e consapevole sull’ordinamento della giustizia. La “giustizia giusta” che reclamavamo tanti anni fa ancora non c’è, né la realizza il progetto di riforma attualmente all’esame della Camera. La terzietà del giudice è ancora un sogno, l’equità dell’amministrazione giudiziaria un altro sogno.
Ciò che maggiormente preoccupa è la passività dell’intero corpo magistrale rispetto alla faziosità del gruppo dirigente. I magistrati scioperano, ma anche con la riforma mantengono quegli automatismi che consentono loro la certezza di una progressione in carriera e la garanzia dell’aumento di stipendio, prescindendo dalle loro effettive capacità. Il magistrato è inamovibile qualunque cosa faccia; qualunque cosa faccia, progredisce nella carriera e nello stipendio. E’ un soggetto autorizzato a sbagliare senza timore di conseguenze. In una società civile basata sulla responsabilità personale questa è un’anomalia che deve essere eliminata. La nostra Costituzione, all’art. 87, elenca uno ad uno i poteri del Presidente della Repubblica che, tra l’altro, comanda le Forze Armate e presiede il Consiglio Superiore della Magistratura. Avrei preferito l’inverso: che presiedesse le Forze Armate e comandasse il Consiglio Superiore della Magistratura. I problemi che investono il mondo della scuola, dell’Università, e il settore della ricerca scientifica, non sono ulteriormente rimandabili. Il nostro sistema scolastico ha bisogno di essere adeguatamente riformato, ha urgenza di recuperare contatto con l’Italia che cambia, di confrontarsi con le profonde trasformazioni di una società che si presenta, oggi, come dimensione “multiculturale”.
Il mondo dell’istruzione richiede un’analisi approfondita che qui non possiamo svolgere. Posso però dire che le ricette per far funzionare il sistema scolastico sono essenzialmente quelle legate ad un progetto di riforma che non danneggi i giovani, che tuteli gli insegnanti, che preservi il sistema educativo da ogni insana logica contrattuale, estranea, questa sì, ai più immediati interessi del mondo degli studi. E’ tutto il nostro programma che ha bisogno di un’elaborazione accurata, con il coinvolgimento degli operatori di ogni settore. C’era già stata, nei nostri propositi, l’idea di una riedizione delle due grandi Conferenze Programmatiche del Partito Socialista, quella dell’ ’82 e quella del ’90. Avevamo già svolto un buon lavoro preparatorio poi sfumato per difficoltà di organizzazione. Avevamo allora – vi parlo di due anni fa – forze modeste e voce troppo fioca per imbrigliare tanti diversi intelletti. Penso che quello che non è stato possibile ieri, sia possibile oggi.
Una grande Conferenza Programmatica sarebbe il miglior viatico per il nostro lavoro. E’ un progetto che porteremo a termine.
Cari compagni, cari amici, noi siamo oggi riuniti qui al Midas da dove, 28 anni fa, spiccò il volo il liberalsocialismo di Bettino Craxi. La coincidenza non è casuale. Prendiamolo come un auspicio: se avremo la sua tenacia, riusciremo. Io sono piena di entusiasmo per questa avventura e se riuscirò a comunicarlo anche a voi sono sicura del successo. Perché – lo ripeto – tutto è nelle vostre mani, non nelle mie. Io in questo momento sto coronando un sogno. Quattro anni fa, quando ho dato vita alla Fondazione, mi ero data il compito di trarre la figura di mio padre dal fango in cui era stata cacciata e di restituirgli i meritati onori; ma già da allora capivo che il vero modo per restituire significato alla sua vita non era di accumulare riconoscimenti sulla sua opera ma quello di far rivivere il suo insegnamento, di fare del socialismo liberale l’anima della politica italiana, che è poi l’aspirazione, conscia o inconscia, della grande maggioranza dei cittadini italiani. Pace, solidarietà, sviluppo, istruzione, equa distribuzione della ricchezza, tolleranza, rispetto.
Così vogliono vivere gli italiani, così li vuol far vivere il socialismo liberale, così hanno vissuto negli anni del governo Craxi. Da allora siamo precipitati in un abisso. La politica italiana di oggi è una vergogna, parolaia, rissosa, pericolosa: si nutre di contumelie, di calunnie, di odio, di sete di potere, di vendetta, di spirito di rivincita. E’ la politica di un Paese incivile, non di una grande nazione, e la responsabilità è tutta di una classe dirigente meno che mediocre, personalistica, egoistica, parcellizzata, incapace di guardare un palmo al di là del proprio interesse. E’ una costruzione artificiosa che ha il voto dei cittadini perché i cittadini sanno che è il loro voto ad assicurare la libertà; ma non ha il consenso, l’approvazione, la fiducia degli italiani che di certo non apprezzano la continua istigazione all’odio, alla demonizzazione dell’avversario, l’assenza di idealità, la trasformazione della politica in mera lotta di potere. C’è scetticismo, diffidenza, ironia, anche fastidio negli italiani.
Come cavalieri medievali noi partiamo lancia in resta contro questo mondo di violenze e di assurdità. Sappiamo bene che c’è una grande sproporzione tra le nostre forze e gli obiettivi che ci proponiamo. Ma questo ci serve di sprone, non ci spaventa. Non abbiamo di fronte fortezze granitiche ma un mondo incerto, diviso anche all’interno dei due schieramenti, consapevole delle proprie manchevolezze, della propria debolezza. Dobbiamo ritrovare il vigore morale dei giovani affiliati alla Giovine Italia di Giuseppe Mazzini, lo stesso amor di Patria che animò i Mille di Garibaldi.
Noi osiamo. Non avremo aiuti altro che da noi stessi, ma se ci crediamo, sarà sufficiente per vincere la nostra sfida politica: immaginare un neo - rinascimento, un neo-risorgimento, una Giovane Italia!
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