Il conservatorismo e la rigidità di
Angela Merkel sono gli elementi che costituiscono una politica
'pseudo-pragmatica'. Un modo per non decidere mai nulla che possa, anche solo indirettamente,
'ingolfare' il motore della grande produzione industriale tedesca, secondo un modello di capitalismo che non si basa sulle banche o su forti dosi di circolazione monetaria: nel caso della
Germania, le cose stanno così fin dai tempi di
Bismark e del
Kaiser. In secondo luogo, è sciocco e inutile continuare a
'tirare in ballo' il
Governo 'tecnico' di
Mario Monti. Quell'esecutivo, pur tra
'sviste' ed
errori - molti dei quali attribuibili alle nostre
'care' e inamovibili burocrazie ministeriali - non solo ha salvaguardato lo Stato da un
disastro finanziario dai contorni paurosi e imprevedibili, ma ha posto le condizioni per quella credibilità dell'Italia sui mercati internazionali che ha consentito al nostro Paese:
a) di evitare pericolose
'scommesse' speculative;
b) di rimanere
'agganciato' dignitosamente all'Europa. Individuare un
'capro espiatorio' non solo è sleale e ingiusto, ma politicamente superficiale. E' la
rigidità tedesca quella che sta facendo
'accarezzare' all'Inghilterra l'idea di rinchiudersi in se stessa, come se ancora oggi potesse contare sui possedimenti del vecchio
Impero coloniale 'vittoriano', da depredare e
'rapinare' attraverso il meccanismo dello
'scambio ineguale'. Ogni Paese è quello che è. E la sua Storia serve proprio per aiutarci a distinguere le scelte politiche dalle antiche
'nostalgie'. La verità è che
l'ottusa ortodossìa dei Paesi del nord'Europa sta ponendo in discussione il modello di sviluppo italiano: una
'filiera' di piccole aziende che si stanno via via eclissando, fino a lasciarci un'economia interna
'asciugata' e una società sempre più
povera. L'unica consolazione è che, ben presto, ci ritroveremo
un Paese più austero, meno
'smodato' nelle sue abitudini di consumo, insieme a un nuovo modello industriale meno
'simbolico' e più
'strutturale': è finita l'epoca in cui si acquistava l'automobile
per farla vedere agli amici del bar. Esiste, invece, un'altra questione, tutta da intestare agli attuali ambienti politici italiani: nei nostri
Partiti e movimenti di opinione mancano
cultura e senso morale. I
'grillini' sono ancora
'acerbi' e
inaffidabili per tentare una
'grande alleanza' a sinistra; il
Partito democratico si è dimostrato
poco solido, privo di agganci profondi con le dottrine e le culture politiche più autentiche e veraci; il
centrodestra ha partecipato attivamente alla
corruzione morale del Paese; la
Lega Nord, infine, non ha saputo
evolversi come
forza di rinnovamento, rimanendo
'appiattita' a semplice
fenomeno di degrado della nostra vita collettiva. All'interno di un simile
'quadro', quel che risulta veramente grave è imbattersi nella
dichiarazione su Facebook del
ministro della Pubblica istruzione, Stefania Giannini, strumentalmente funzionale a
'vendersi' come
"eccellenze" del nostro Paese i riconoscimenti ottenuti da due ricercatori italiani sostenuti con
'borse di studio' olandesi. Da tempo, le nostre università sono una
'barca alla deriva', sommerse dalla
burocrazia e snaturate da
'baronìe' e rivalità interne agli atenei. Cercare di occultare tutto questo sotto un
'manto' di efficienza puramente
'scenografica', impone una riflessione nel merito di un dibattito politico sempre più
superficiale e inconcludente. Resta pur vero che una politica di
mera opposizione populista, impegnata a segnalare disastri o a evidenziare le nostre tragedie quotidiane, non serva più di tanto a delineare prospettive nuove, o
un disegno realmente 'aperto' e innovativo di società. Al contrario, occorrerebbe individuare quella continuità sotterranea di
culture e tradizioni che ancora esistono nella società italiana, anche se al momento appaiono
meno visibili, tentando al contempo di comprendere come sia cambiata e in base a quali eventi la nostra
mentalità. Una seconda indicazione potrebbe esser quella di
approfondire le diverse 'percezioni' e i vari mutamenti di
'rappresentazione' che gli altri Stati-membri dell'Unione europea hanno avuto nei nostri riguardi nel corso del tempo. Una riflessione che potrebbe aiutarci a
definire meglio noi stessi, anziché continuare a far finta di non vedere quei
difetti connaturali che ci impediscono di cambiare, evolverci e ripartire,
zavorrandoci per sempre.