La
“questione settentrionale” è nel nostro Paese se possibile ancor più politicamente determinante dell’annosa
questione meridionale. Se infatti attorno ai problemi occupazionali e di sviluppo del Meridione s’incentrano giustamente le preoccupazioni sociali, è
il consenso delle regioni del Nord il vero snodo politico della lunga transizione italiana. Altrettanto urgente è affrontare la
“questione generazionale”. Un’intera generazione,
i ragazzi nati negli anni ‘70 e ‘80, e che oggi hanno 20-30 anni, si chiama fuori dalla vita politica: per disinteresse, per disgusto o a ragion veduta. Comunque
non è coinvolta nei processi decisionali e non pesa nulla negli attuali equilibri di potere. Il dibattito sulle
prospettive della costituenda Casa Laica deve a mio avviso mettere all’ordine del giorno entrambe le questioni.
Giorgio La Malfa e Francesco Nucara hanno posto una significativa pietra di riflessione, sottolineando nelle ultime settimane la necessità di dare corpo all’attenzione verso il Sud con l’istituzione di un nuovo
ministero per il Mezzogiorno. Altrettanto importante è stata però la recente
“provocazione” del presidente del Pri secondo cui all’auspicata
riduzione della pressione fiscale dovrebbe affiancarsi una parallela spinta all’economia ottenibile
aumentando temporaneamente il deficit.
Questo spunto cruciale non va affatto lasciato cadere nel vuoto, ma va anzi rilanciato con forza perché proprio questa può essere una prima
coraggiosa risposta alle inquietudini settentrionali. Una proposta che può essere colta solo da
un governo forte, e interpretata con la necessaria credibilità internazionale solo da chi ha
il rigore sui conti pubblici nella propria storia e nel proprio Dna.
Semplificando al massimo, i piccoli e medi produttori del Nord Est come del Nord Ovest, da tempo in sofferenza, hanno patito forse più di tutti
l’introduzione della moneta unica e l’attuale livello di cambio Euro/Dollaro, che legati ai
vincoli di politica economica impostici dall’adesione
all’Unione Europea hanno prodotto
un circolo vizioso a danno della competitività delle nostre imprese e quindi del nostro sistema economico nel suo complesso.
Il “ceto medio” settentrionale, sempre più impoverito, ha cercato - ormai nel corso degli ultimi quindici anni - nuovi interpreti delle sue inquietudini passando, dall’inizio degli anni ‘90 in poi,
prima dalla Dc e dal Psi ‘craxiano’ in massa alla Lega, poi tentando con Forza Italia, flirtando per una brevissima stagione con
Emma Bonino (e questo dovrebbe incoraggiarci), per poi rifugiarsi, con il voto dell’ultima tornata europea ed amministrativa,
nell’astensione. In attesa.
Quanto ai giovani: per la prima volta forse dalla Rivoluzione industriale, la generazione dei trentenni di oggi è
più povera di quelle che l’hanno preceduta. Sempre meno lavoro, sempre più flessibile e precario; l’obbligo di corrispondere contributi previdenziali di cui non si godrà mai, e un esercito di pensionati da mantenere; l’impossibilità economica di “metter su casa” e una nuova famiglia; il “blocco” corporativo in campo professionale, economico, sindacale e politico, che protegge solo chi c’è già, tutela gli equilibri delle generazioni precedenti e li esclude. In più, parliamo di ragazzi ‘i miei coetanei’ che erano più o meno
adolescenti ai tempi di Tangentopoli, e di quella stagione conservano la diffidenza verso la politica.
Una frattura economica e culturale, dunque. E’ la
“generazione del disincanto”. Eppure, le energie questa generazione le ha
intatte. Ma le applica al volontariato, non alla politica. E i ragazzi non vanno a votare. Si astengono. In attesa. Due temi da approfondire. Senz’altro, queste ricerche non possono esser soddisfatte da una estemporanea alleanza elettorale né da un soggetto politico che
non coltivi il dibattito, interno ed esterno. L’alleanza del
Pri con Vittorio Sgarbi, se un difetto ha avuto, è stato quello, data la ristrettezza dei tempi a disposizione, di
restare in superficie. Ma è stata comunque un primo passo nella direzione giusta.
Non si tratta a mio avviso di dividersi attorno al falso problema di considerare o meno conclusa l’esperienza repubblicana con Sgarbi, o sgarbiana col Pri; piuttosto, è giusto ragionare su
come approdare nella costituenda Casa Laica, sul perimetro e l’arredamento della casa medesima. Contro questo sogno depongono
60 anni di vita repubblicana, 60 anni di incomprensioni, particolarismi, bocciature elettorali e accordi posticci sfumati in prossimità del voto. Si devono preparare dunque, a partire da noi repubblicani, le necessarie
reti di protezione.
Come non lo poteva essere Sgarbi, nemmeno la Casa Laica è
la panacea per i nostri mali; non esistono scorciatoie, e nulla può sostituire la fatica quotidiana per
costruire il partito giorno per giorno sul territorio, in Lombardia esattamente come in Calabria. Se
epocale, però, come ho provato a evidenziare, è il disagio politico delle parti anche elettoralmente più dinamiche della società italiana,
storico è il compito che attende leader e organizzazioni laiche:
socialisti, repubblicani, liberali e radicali. Per la prima volta nella storia repubblicana s’intravede che davvero per tutti gli attori in campo
il gioco vale la candela.
Vicesegretario PRI Lombardia