Fabrizio FedericiPotranno mai, israeliani e palestinesi, vivere in pace sulla stessa terra, secondo la storica  - pur logorata - formula: "Due popoli, due Stati"? Cosa continua ad alimentare, tra loro, l'odio reciproco? E perché specialmente l'ultimo quindicennio (ma meglio sarebbe dire l'ultimo ventennio, da quel tragico assassinio di Ytzhak Rabin a Tel Aviv, il 4 novembre 1995) ha visto un progressivo incancrenirsi della situazione, dopo le grandi speranze accese, nel 1992- '93, dalla firma dei trattati di Oslo e di Washington (quest'ultimo tra Rabin e Arafat sul prato della Casa Bianca, con un Bill Clinton benedicente), in cui Israele e Autorità nazionale palestinese si erano reciprocamente riconosciuti e impegnati a concludere una pace duratura? Domande cui cerca di rispondere un saggio di Ernesto Marzano (economista, già dirigente delle Partecipazioni statali e scrittore): 'Israele - Il killer che piange' (Aracne edizioni, 2015) presentato in questi giorni presso la sede dell'Ambasciata palestinese a Roma. Un titolo volutamente provocatorio, senz'altro eccessivo che, tuttavia, non ha alcun intento antisemita, ma semplicemente quello di spingere con forza i due attori del conflitto mediorientale a riprendere il dialogo e - attraverso un esame  molto critico della Storia e della cultura ebraiche - indurre i fratelli ebrei a riflettere sul loro rapporto con gli altri popoli e sugli errori che, come tutti, anch'essi possono commettere. "Sin dal 1880 - ha ricordato Mario Canino, docente universitario e nei licei - il movimento sionista avviò una graduale penetrazione demografica ed economica in Palestina, acquistando terre e imprese dagli arabi palestinesi e dallo stesso Governo ottomano, all'epoca incontrastato dominatore di tutto il Medio Oriente". "Va detto, però", ha precisato Mustafà Almaser, primo segretario dell'Ambasciata, "che in molti casi queste terre furono non comprate, ma confiscate dai nuovi arrivati; oppure, si trattava di terreni incolti e abbandonati, che l'immigrazione ebraica rapidamente valorizzò". "Ad ogni modo", ha aggiunto Canino, "la scelta di autorizzare in Palestina una forte immigrazione ebraica volta, in prospettiva, alla creazione d'un vero e proprio Stato fu, dopo la prima guerra mondiale, soprattutto della Gran Bretagna, che nel 1915-'16 s'era già spartita con la Francia il dominio del Medio Oriente, in vista del crollo ottomano e in barba alle promesse d'indipendenza, peraltro fortemente contestanti tra loro, fatte sia agli arabi, sia (con la celebre 'Dichiarazione Balfour' del 31 0ttobre 1917) agli ebrei. Trent'anni dopo, nel 1948, la nascita dello Stato d'Israele, pur autorizzata da un'autorità sovranazionale come quella delle Nazioni Unite, rappresentò il logico sviluppo (favorito anche dal senso di colpa dell'Europa per le sue corresponsabilità nella Shoah) della pasticciata situazione creata nel primo dopoguerra". "A proposito di ONU", ha ricordato Salameh Ashour, presidente della Comunità palestinese di Roma e del Lazio, "varie sue risoluzioni, rimaste purtroppo lettera morta, da decenni prevedono il diritto dei profughi palestinesi al ritorno nella loro terra; e il nostro presidente, Abu Mazen, ultimamente ha chiesto con forza almeno l'invio, nei Territori occupati da Israele dopo la 'Guerra dei sei giorni', di una forza d'interposizione dell'Onu (come quella che a lungo, dopo le guerre arabo-israeliane del 1967 e 1973 stazionò nel Sinai, ndr), per prevenire altre violenze. Perché non ci si decide a inviarla? Nel frattempo, proseguono, in Cisgiordania, le occupazioni delle terre del popolo palestinese e la distruzione delle sue case. Sia chiaro, in ogni caso, che quando noi critichiamo Israele critichiamo le sue scelte politiche come Stato, non il popolo ebraico, con il quale, anzi, il nostro popolo ha  tranquillamente convissuto per secoli, sotto l'Impero prima mussulmano e poi ottomano". E' una questione, quella del Medio Oriente, davvero complessa, in cui si fronteggiano due parti aventi ognuna, pur in diversa misura, un po' di ragione. Va ricordato, infatti, che nel 1946-'47, il primo piano di spartizione della Palestina preparato per l'Onu dall'apposita commissione Peel era addirittura più favorevole agli arabi: i quali, rifiutando a priori qualsiasi ipotesi di divisione del Paese con gli ebrei, si sono assunti, in parte, la responsabilità del successivo deterioramento della situazione. Non si possono, inoltre, dimenticare le ambiguità e i limiti tipici da sempre della politica palestinese: dai rapporti con una forza integralista e antidemocratica come Hamas (che, sino a pochi mesi fa, era nella maggioranza d'appoggio al Governo d'unità nazionale palestinese, pur nato con intenti d'indipendenza dai singoli Partiti), all'uso spesso disinvolto dei cospicui fondi ricevuti più volte da agenzie Onu e dall'Unione europea. "Spesso, poi", ha rilevato Michele Giorgio, 'storico' corrispondente  da Gerusalemme  de 'il Manifesto', "molti palestinesi dicono apertamente che, pur soffrendo per l'occupazione israeliana, in tanti aspetti della vita quotidiana  a volte preferiscono continuare a vivere così, piuttosto che sotto amministrazioni palestinesi inefficienti". Mentre, specie dopo l'ultima violenta 'fiammata' bellica a Gaza dell'estate 2014, in Israele, accanto a un forte spostamento a destra dell'opinione pubblica, sta crescendo anche un forte sentimento pacifista, che si esprime su quotidiani autorevoli come 'Haaretz' in modo molto critico verso Governi conservatori che, da quindici anni, battono ossessivamente solo sul tema della sicurezza nazionale, trascurando  di riprendere quelle dettagliate  trattative di pace (su delimitazione dei confini, gestione delle risorse idriche e altro) che s'interruppero gravemente col 'Gran rifiuto' di Arafat al vertice di Camp David, nell'estate del 2000, nonostante le indubbie concessioni fatte ai palestinesi dall'allora premier laburista, Ehud Barak. L'Autore, Ernesto Marzano, si è soffermato sui punti più significativi del libro, precisando sempre "i fini costruttivi della sua critica, pur forte, alla stessa Storia e cultura ebraiche, dalla Bibbia in poi". Vittorio Lussana, direttore responsabile di 'Laici.it', ha ricordato i pericoli legati non solo all'avanzata, in Medio Oriente, dell'integralismo islamico ma, più in generale, alla crescita, in tante aree del mondo, di "un senso d'inquietudine millenaristica, con conseguente involuzione fondamentalista, che gli osservatori più acuti avevano percepito già alla fine degli anni '90". L'attrice Maria Pia Cirillo ha letto il capitolo del libro dedicato all'episodio biblico di Cozbi Nefer (Numeri, XXV), ragazza moabita che, insieme al suo innamorato ebreo, paga con la vita la nascita di una passione malvista sin dall'inizio dagli amici integralisti del suo compagno.


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