Qual è il male da estirpare? Quello dilagante dell’incoerenza che le classi dirigenti dell’economia, della finanza e della politica mettono in pratica costantemente. La nostra “razza padrona”, vecchia e nuova, proclama a gran voce, in ogni pubblica sede, grandi teoremi sul cambiamento, la modernizzazione, l’innovazione all’insegna del politicamente corretto. Ma poi, nell’azione concreta, fa esattamente il contrario (o meglio continua a fare ciò che faceva prima) di ciò che – a parole - indica alla pubblica opinione come il necessario percorso virtuoso per uscire dalla crisi e dal declino. A chi esprime una critica a riguardo viene risposto che la responsabilità “è del sistema” o che sono sempre e in ogni caso “gli altri” i colpevoli, quelli che ’remano contro’.
Lo scopo? Vendere, a buon mercato la formula della tutela d’interessi particolari, posizioni dominanti, privilegi corporativi, rendite consolidate come se essi fossero corrispondenti all’interesse comune ed essenziali al futuro progresso del Paese. L’effetto? Lo scadimento della civiltà giuridica dello Stato di diritto, il tramonto del principio di legalità, l’esproprio del Parlamento dalle sue funzioni d’organo legislativo e di verifica e controllo democratico. In due parole ciò che i radicali chiamano Caso Italia. Un esempio? Luca Cordero di Montezemolo indica la nuova politica di Confindustria: fare sistema, concertazione, innovazione. In concreto questo come si è tradotto? Si è offerta una sponda di markentig gratuito al sistema bancario in grave crisi d’immagine e affidabilità mettendo insieme la somma di due debolezze: l’enorme esposizione debitoria con banche e risparmiatori obbligazionari delle grandi industrie nazionali e l’opaca inefficienza del sistema finanziario in crisi d’affidabilità dopo i devastanti scandali a tutti ben noti. Ma la somma algebrica di due numeri negativi produce un più grande numero negativo.
Chi pagherà pegno per riportare il segno “+” davanti ai privatissimi numeri di banche e grandi gruppi industriali? Il solito Pantalone naturalmente, come da sempre ha fatto, accollandosi le perdite (sempre pubbliche, sempre del Paese, mai delle proprietà) magari con ulteriori costi per cassa integrazione, “incentivi” pubblici vari e ulteriori costi sui conti correnti e i mutui dei poveracci. A compensare sul lato del “sociale” ci penserà il metodo della concertazione. Le leggi, infatti, non le deve fare il Parlamento, scostumato. Prima sindacati e industriali (banchieri) si devono mettere d’accordo. Poi il governo ratifica e paga il conto. In nome dell’Italia naturalmente. Gli utili però resteranno nelle tasche dei detentori di blindatissimi assetti societari sempre più aggrovigliati ma comunque saldamente in mano alla ristretta cerchia dei soliti noti. Nel frattempo il meticciato tra banca e impresa compie passi da gigante e chi, fino a ieri, era leader nel settore dell’abbigliamento si mette a fare, dalla sera alla mattina, anche il banchiere.
Un po’ come se negli Usa Bill Gates di Microsoft si comprasse la Ctycorp. Ma se questo in America è e resta fantascienza, da noi diventa realtà. Riguardo all’innovazione restiamo in fiduciosa attesa che la Fiat presenti un bel giorno qualche modello di auto non inquinante, magari proprio quel motore ibrido a celle combustibili alimentate da idrogeno e diesel elettrico, che altri stanno già presentando ai mercati internazionali. Nel frattempo si segnala che, negli Usa, terra del “liberismo selvaggio” un gruppo di imprenditori ha sperimentato con successo il primo vettore da lancio orbitale prodotto con capitali privati. Investimenti diretti alla altissima tecnologia, allo sviluppo innovativo, alla ricerca, alla forte produttività che producono risultati concreti, creano lavoro e fiducia, aprono nuove prospettive.
Tutto quello di cui si parla tanto in Italia ma che poi nessuno vede materializzarsi. Ci si accapiglia invece intorno alle poltrone di Via Solferino si corre per mantenersi ben saldi nel controllo della grande stampa, a “diversificare” dal mattone all’editoria o a mettersi comodi comodi a riscuotere pedaggi autostradali e bollette telefoniche.
Se le forze dell’area laica troveranno la forza di indicare insieme, sulla base di un chiaro contratto politico, che la strada dell’interesse nazionale non è necessariamente quella dei gruppi di pressione neocorporativi e che il liberalismo costituzionale è cosa che di cui si può parlare poco ma che si deve praticare molto, in Parlamento, la pubblica opinione potrebbe ritrovare il gusto e l’interesse in quell’arte nobile e utile che è la politica.
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