Un
mercato unico dei capitali: questo il prossimo obiettivo lungo la strada di una definitiva unificazione federale dell'Unione europea. Ma di cosa si tratta? E perché è così importante per riuscire a mettere
l'Europa nelle condizioni di potersi costituire in quanto unica entità sovranazionale al pari degli
Stati Uniti d'America? Proveremo a spiegarvelo noi. Innanzitutto, un mercato unico dei capitali serve a creare quelle condizioni di
'competizione paritaria' sul mercato del credito che porti a un'effettiva
unione bancaria europea in quanto organo di vigilanza e sviluppo. Al momento, una condizione di unione bancaria, infatti, non c'è: all'interno dell'Unione sussistono anomalie e contraddizioni, soprattutto nel settore degli strumenti finanziari, in cui nuove competenze si scontrano con quelle residue degli Stati nazionali. Dunque, è necessario cominciare a individuare quei
'pilastri' economici strutturali attraverso i quali
l'Unione europea possa costruire le successive 'sovrastrutture' politiche: quelle di un'effettiva unificazione federale. Questi 'pilatri', oltre al
mercato unico dei capitali, sono quelli della creazione di un
nuovo Testo unico bancario; quello di
un Testo unico penale dell'economia; quello di un
Testo unico tributario, finalizzato a una reale 'omogeneizzazione' fiscale. In tal senso, la recente
legge di riforma del diritto fallimentare, approvata lo scorso 6 agosto 2015
(Legge n. 132/2015), rappresenta un primo passo nella direzione di una correzione di alcune nostre normative, spesso frutto di umori momentanei o prese di posizione assolutamente specifiche o particolari. L'Italia sta cercando di eliminare le proprie anomalie legislative rispetto all'Europa. Ma anche l'Europa è chiamata a creare tutta una serie di
'Testi unici' di riferimento, per un'armonizzazione economica sul fronte del credito. Ecco da dove nasce l'esigenza di una
'competizione paritaria'. Per esempio, nel settore fiscale, la creazione di una sorta di
'Iva di gruppo' e
'infragruppo' potrebbero rappresentare delle novità interessanti, anche se al momento si tratta ancora di 'spunti' su cui si sta riflettendo, sia in Italia, sia in Europa. Quel che comunque è interessante notare sotto il profilo giornalistico è la necessità di provare a sconfiggere
il pessimismo circolante sul mercato dei prestiti e dei mutui: una serie di punti di vista cinici e strumentali, che stanno causando
una ripresa non omogenea anche su tutti gli altri mercati.
IL 'DAY AFTER' DELLA CRISIDopo 7 lunghi anni di crisi, l'Italia è ora nelle condizioni di poter fare un primo bilancio della sua 'discesa infernale'. E la prima cosa da comprendere con razionalità e freddezza sono i 'numeri' di una crisi che non è stata esclusivamente di liquidità monetaria, ma anche di solidità aziendale: la selettività dei mercati, senza l'istituzione di strumenti e organismi di controllo globale, diviene un fattore di estrema severità. I duri colpi inferti alle nostre aziende (1 milione e 150 mila sono le imprese italiane fallite o ancora oggi in difficoltà) sono andati a selezionare settori e comparti che, in molti casi, avrebbero potuto resistere assai meglio se aiutati da una serie di normative più coerenti tra loro. Lo sviluppo di tali strumenti dimostra, inoltre, che non è affatto vero che
l'Unione europea sarebbe figlia di una concezione spregiudicatamente
monetarista dell'economia: al contrario, sono i singoli Stati membri a non riuscire a sostenere alcune fasi cicliche di difficoltà, mentre la definitiva unificazione e armonizzazione europea introdurrebbe nuove
'leve keynesiane' di ristrutturazione industriale e di rilancio dell'intera economia continentale. Demonizzare il mercato, come se questo fosse una sorta di 'jungla' in cui il più forte uccide il più debole, rimane una critica di natura
estremistica: la creazione di un sistema sovranazionale di compensazione e di riequilibrio è ciò che invece serve a rendere meno
'sleale' il nostro modello economico di sviluppo. Dare fiato a critiche irrazionali, che mettono in un unico 'calderone' economie, imprese, atti normativi e fiscali diversi, insieme ovviamente alla moneta unica e alla stessa idea fondativa dell'Unione europea, non solo non distingue i problemi tra loro, ma fornisce una chiave di lettura che sprofonda la situazione ancor più verso il '
baratro', poiché favorisce la circolazione di un pessimismo non sempre fondato. Da un anno a questa parte, per esempio, le richieste di mutui bancari, in Italia, sono raddoppiate. Eppure, la cosa non fa notizia, come se si trattasse di un segnale 'marginale'. Ma se il Governo riuscisse nel proprio intento di abolire le tasse sulla prima casa, per esempio, ecco che si verrebbero a creare i presupposti necessari per un nuovo
'boom' del comparto immobiliare, o quantomeno per una sua decisa ripresa.
CMU: IL MERCATO UNICO DEI CAPITALI EUROPEIArrivare a un mercato unico dei capitali mira a creare, per tutti i 28 Stati membri dell'Unione, un modello ben regolato e pienamente funzionante di libera circolazione dei capitali, eliminando ogni ostacolo agli investimenti 'transfrontalieri', riducendo altresì i costi di finanziamento delle imprese all'interno dell'Ue. Il 18 febbraio scorso, la Commissione europea ha avviato un progetto denominato:
Capital Markets Union (Cmu). Si tratta di piano volto a creare, nei singoli Stati membri, mercati di capitali più ampi e integrati, al fine di sviluppare un nuovo sistema finanziario 'diversificato' in favore delle imprese, integrando, appunto, quello dei canonici prestiti bancari. Si tratta del tentativo di sbloccare tutta una serie di capitali attualmente 'fermi', per metterli al servizio dell'economia e dare ai risparmiatori maggiori scelte d'investimento, offrendo altresì alle aziende una più ampia possibilità di accesso al credito e a costi inferiori. I problemi che abbiamo attraversato durante la crisi che sta alle nostre spalle hanno evidenziato la presenza, in numerosi settori e comparti economici, di una serie di
'barriere d'entrata' che impedivano - e impediscono tutt'oggi - l'accesso ai mercati di molte nuove aziende, soprattutto quelle piccole o di recente costituzione. Essendo
l'Unione europea, al momento, caratterizzata soprattutto da un fondamento squisitamente economico, per riuscire ad arrivare al traguardo finale del proprio processo di unificazione politica si è obbligati, a questo punto, ad accelerare su questa strada, completando il percorso immaginato a
Maastricht nel 1991. Prima si raggiungeranno determinati obiettivi strutturali di armonizzazione legislativa, penale, tributaria e finanziaria, prima si riuscirà a comprendere definitivamente che quello dell'unificazione politica dell'Europa non è mai stato un percorso totalmente
'monetarista', ispirato al
liberismo più primitivo o selvaggio. Al contrario, stabilire un vero e proprio mercato unico dei capitali interno alla
Ue, in cui gli investitori siano in grado di impegnare i propri fondi senza barriere d'accesso e in cui le imprese possano raccogliere le risorse a loro necessarie tramite una più vasta gamma di
'fonti' finanziarie, a prescindere dalla loro ubicazione, favorirà un riassetto complessivo dei mercati, in modo da concretizzare un'espansione di questi ultimi e sconfiggere tutte quelle forme di
monopolio che, oltre a incidere sul prezzo delle merci, impediscono il riassorbimento dei tassi di disoccupazione in molte aree 'depresse' del 'vecchio continente'. Le elevate differenze nello sviluppo dei mercati di capitali nei Paesi della cosiddetta
'Euro-zona' è quanto ha generato, sino a oggi, una bassa fiducia degli investitori nei confronti dell'Ue, obbligando i mercati interni dei singoli Stati membri a far ricorso a modelli di risparmio e d'investimento che, oltre ad aver reso troppo eterogenee le capacità produttive nazionali, hanno costretto le singole economie interne a
ripiegarsi su se stesse, rendendo più profondo il divario tra ricchi e ceti medi produttivi, allargando cioè la 'forbice' a favore dei primi. Dal lato della domanda, evidenti sono le barriere nell'accesso ai finanziamenti, in particolare per le piccole e medie imprese, le start-up e i progetti infrastrutturali a lungo termine, soprattutto in settori come i trasporti e l'energia, ma anche nelle infrastrutture sociali (ospedali, scuole e case popolari). Queste 'barriere', nello specifico, riguardano:
a) i livelli di informazione disponibile per prendere decisioni di investimento nell'intera 'Euro-zona';
b) alti costi di accesso ai mercati dei capitali, in particolare per le imprese medio-piccole, le quali hanno un palese bisogno di riuscire a 'imboccare' la strada verso una fase espansiva;
c) investitori che operano esclusivamente nei propri mercati nazionali, creando problemi particolarmente gravi nei Paesi più colpiti dalla crisi, sia nella sua fase recessiva, sia in quella deflattiva. Dal lato dell'offerta, invece, ci si è accorti dell'esistenza di vincoli che limitano fortemente il flusso del risparmio verso gli strumenti del mercato dei capitali da parte degli investitori istituzionali, retail e internazionali, i quail hanno preferito comprare e vendere titoli piuttosto che investire in innovazione e riorganizzazione produttiva, con effetti più immediati sull'economia reale. Questi vincoli sono:
a) gli alti costi di costituzione e commercializzazione dei fondi transnazionali;
b) la mancanza di un trattamento 'ad hoc' per gli investimenti infrastrutturali, in termini di requisiti patrimoniali, delle banche e delle assicurazioni;
c) le difficoltà ad accedere alle pensioni personali attraverso le frontiere;
d) la frammentazione del mercato del capitale di rischio nell'Unione europea;
e) la generale mancanza di fiducia degli investitori al dettaglio nei mercati finanziari e negli intermediari, un pessimismo causato dalla crisi stessa, che tende ad avvitare il sistema su se stesso.
AFFINITA' E DIVERGENZE CON GLI STATI UNITI D'AMERICAAllorquando si parla di mercati in regime di
concorrenza 'imperfetta' nel tentativo di uscire dalla lunga fase economica europea basata sull'oligopolio differenziato e la differenziazione dei prodotti, il Paese che dobbiamo prendere come pietra di paragone e parametro di indirizzo sono gli
Stati Uniti d'America. Ebbene: i mercati azionari statunitensi sono quasi il doppio, in termini di dimensioni, (la capitalizzazione di borsa è al 138% del Pil degli Stati Uniti, contro il 64,5% dell'Ue, nel 2013); il mercato dei titoli di 'debito corporate' Usa è pari a tre volte quello europeo (sempre nel 2013, il totale outstanding dell'indebitamento corporate è il 40,7% del Pil degli Stati Uniti, contro il 12,9% nella Ue); le cartolarizzazioni in Europa sono state pari a circa 216 miliardi di euro nel 2014 (180 mld nel 2013) rispetto a 594 miliardi di euro nel 2007. Se il mercato della cartolarizzazione delle piccole e medie imprese potesse essere rivitalizzato in sicurezza, esso potrebbe generare circa 20 miliardi di euro di finanziamenti supplementari. Il mercato dei 'private placement' americano è quasi tre volte più grande di quello Ue (ancora nel 2013, il volume di emissione è stato pari a 50 miliardi di dollari rispetto ai 15 miliardi di euro nell'Unione europea). Il mercato del 'venture capital' è circa cinque volte più grande negli Stati Uniti che in Europa, in termini di importi investiti.
LE PRIORITA' DELL'EURO-ZONA Tutto ciò ha creato una serie di priorità ineludibili per l'Europa, di breve e medio-lungo periodo. Le prime sono:
1) l'urgenza di un ampliamento della base degli investitori per le imprese medio-piccole attraverso il miglioramento delle informazioni sul merito di credito delle piccole imprese stesse (set minimo comune di informazioni comparabili per il reporting e la valutazione del credito);
2) la necessità di uno sviluppo dei mercati Ue del private placement, per facilitare la disponibilità di finanziamenti per le imprese medie e quelle più grandi;
3) l'esigenza di ridurre le barriere all'accesso ai mercati dei capitali attraverso la revisione della
'Direttiva-prospetto' per i titoli offerti, o negoziati, su mercati regolamentati;
4) la costruzione di un mercato della cartolarizzazione semplice, trasparente e sostenibile, capace di collegare in maniera più efficace il mercato del credito con quello dei capitali;
5) una decisa stimolazione degli investimenti a lungo termine, incoraggiando gli investitori a far partire gli
Eltifs (European long-term investment funds). Le priorità di medio-lungo periodo sono, invece, le seguenti:
1) migliorare l'accesso al mercato finanziario per tutte le imprese europee, in particolare per quelle più piccole e per i progetti di investimento (per esempio, nelle infrastrutture, ma non solo);
2) sviluppare l'offerta di capitale per aumentare e diversificare le risorse finanziarie da parte degli investitori (istituzionali e retail) nell'Unione europea e nel resto del mondo;
3) rendere la catena degli investimenti più efficace e meno costosa, sia a livello nazionale, sia cross-border, ovvero nelle transazioni non domestiche, o tra controparti residenti in Paesi diversi.
CONCLUSIONIInsomma, lo sviluppo di un mercato unico dei capitali è un'opportunità per le imprese e le banche europee, tenendo presente che l'accesso al mercato dei capitali non è per tutte le imprese e che lo 'scrutinio del mercato' è molto selettivo. Ciò richiede un salto di qualità manageriale, organizzativo e di trasparenza, in particular modo in Italia. Le banche svolgono un ruolo importante, in quanto possono, da un lato, individuare le imprese più idonee ad affacciarsi al mercato dei capitali, supportandole nelle scelte più corrette da compiere e, dall'altro, accompagnandole operativamente sul mercato medesimo. Non ci possiamo nascondere che la creazione di un mercato unico europeo dei capitali è un progetto complesso, che richiede una forte convergenza delle norme. Alcune normative europee
(Crd, Solvency II, Mifid) prevedono, per esempio, regole prudenziali in contraddizione con gli obiettivi della
Cmu. Andrebbe perciò svolto un 'comprehensive assessment' dei percorsi normativi sinora compiuti, al fine di superare e risolvere tali contraddizioni e anomalie. E' importante non solo avere un
'Single rule book', ma anche un'unica
Autorità per i mercati finanziari, come nel settore bancario. Inoltre, un mercato obbligazionario per le medie imprese non può esistere senza un livello adeguato di investitori, sia domestici, sia internazionali, che effettuino
investimenti 'buy and hold' (compra e tieni). Su questo fronte, è necessario un ripensamento della normative prudenziali per alcuni investitori di lungo termine e, in taluni casi, anche un'azione di sensibilizzazione dei potenziali investitori domestici (per esempio, le compagnie di assicurazione nel caso di 'Private placement') e di fondi pensione. Le cartolarizzazioni, infine, dovrebbero essere utilizzate anche per agevolare un processo di smaltimento dei portafogli dei
crediti 'deteriorati' nei bilanci delle banche, così da ridurre i costi di finanziamento delle
'sofferenze bancarie' e, al contempo, ripristinare la capacità di
erogazione del credito nei confronti dell'economia reale. Il documento di consultazione specifico sulla
'securitization' prevede che queste operazioni debbano incorporare anche i crediti delle imprese piccole e medie, ma non vi è uno specifico riferimento alle posizioni dei crediti deteriorati. Sarebbe inoltre importante riuscire anche a ridurre i costi di quotazione e di permanenza in quotazione (proporzionalità). Interessanti, infine, le proposte di revisione della
'Direttiva-prospetto' da parte della
Commissione europea, che ha voluto introdurre alcuni snellimenti degli obblighi di redazione, dei contenuti e della tempistica di approvazione dei prospetti per le emittenti 'corporate' e le banche.
(Fonte dati: Abi - Associazione bancaria italiana)