Una casa comune liberalsocialista? Troppa grazia, Sant’Arturo. Datemi
assai meno e già sarò contento. Per carità, lunga vita a chi pensa il partito che non c’è, cuce un programma, spolvera valori e vive in bilico fra avvenire e nostalgia. Senza fede nel futuro non c’è forza nel presente. Ma tra l’accarezzare sogni di case comuni e il rassegnarsi al nulla,
già sarei felice di poter votare – qui e subito, cioè Regionali 2005 – una persino modesta lista fatta di nomi, esperienze, storie, simboli laici. E dico
laici per capirsi e per intenderci,
laici per non ripetere l’ovvio rosario delle famiglie che sono le nostre,
laici perché in questa Italia della non-politica ed in questo mondo sempre più complicato, eccome che laico vuole dire qualcosa.
Laici, infine, perché al sogno di poter finalmente dare un voto identitario – un voto a una identità politica, non un voto al polistirolo – occorre aggiungere la ragionevolezza del voler dare un voto utile, in grado di pesare sul e nel mercato delle idee e delle leggi.
Possibile? Forse sì. Possibile, forse, perché è
cambiata l’aria. Metto nel conto l’umanissimo errore del confondere desiderio e realtà, eppure a me pare che
con il 13 giugno qualcosa sia accaduto. Lasciamo stare gli schieramenti, le percentuali, gli zero virgola due a questo o quello. Ciò che è accaduto a destra, al centro, a sinistra, è altra cosa. Mi scusino i due onorevoli che qui cito senza spirito polemico, ma così esemplifico:
sino al 13 giugno (e da un decennio) per gli italiani i Cirino Pomicino erano il vecchio e i Tajani erano il nuovo. Dal 13 giugno non è più cosi. I due sono
coevi, giudicati non più per era politica, per slogan o pregiudizio. La Seconda Repubblica è guardata, soppesata con occhi più maturi. Nel graduale, composto ma solido ritorno degli italiani al desiderio di identità e di normalità politica,
un pendolo virtuoso sembra aver colpito in ogni dove. I voti ai
Fausto Bertinotti, ai Marco Follini, ai Gianni De Michelis, a quanti comunque esprimevano una identità e una storia politica
non sono liquidabili come escrescenze di nostalgie proporzionali. Un pezzo di Paese, forse anche quello che più temeva di
“morire democristiano”, non è particolarmente affabulato dall’idea di
morire Triciclista o Margheritino. Preferiscono, gli sciagurati,
perire con i loro connotati piuttosto che intonare
il melodico inno di Forza Italia durante quei congressi un po’ così.
Il bipolarismo piace come il calcio, ma a condizione che
la partita ci sia e con giocatori fatti di carne e ossa.
Forse la politica non è più una cosa sporca, in un Paese che tutti sappiamo in declino può persino tornare ad essere una risorsa alla quale guardare.
Valutazioni estemporanee rispetto al dibattito meritoriamente aperto da L’Opinione? Non credo. Per altro verso, nel mercato delle idee e delle leggi dell’ultimo decennio,
il vuoto laico ha assunto le proporzioni dell’abisso. La semplice
funzione deterrente svolta dai partiti laici del pentapartito che fu, appare oggi un possente
bastione di resistenza. Le leggi che
la gloriosa Dc non osava nemmeno sottoporre al consiglio dei ministri, sono
monumenti di tolleranza rispetto ai provvedimenti che due poli clericalizzati accettano supini. Di questi tempi
il principio laico di tolleranza, la fermezza nella difesa dei diritti di libertà, dubbio e ricerca, i principi di società aperta e di diritto sono letteralmente cruciali per la nostra vita e la convivenza tra civiltà, etnie, religioni e culture. Eppure
i laici in Italia non hanno purtroppo saputo farsi
né “terzo polo”, né forza organizzata all’interno dei poli. Sarebbe gran tempo di
rimediare, e di farlo
sin dal 2005. Non solo perché il test delle Regionali rappresenta
il passaggio obbligato verso le prossime politiche, ma anche perché un decentramento e un federalismo più o meno sensati
hanno attribuito alle Regioni funzioni cruciali nei campi della sanità, della formazione, della ricerca, con poteri spesso più incisivi di quelli statali.
La speranza di poter dare
un voto identitario e un voto utile alle prossime Regionali 2005 non significa tuttavia fare
l’anima bella. Non solo esistono partiti, apparati, leadership, diversità profonde, che vanno guardati col grande rispetto di chi sa che la politica può essere arte nobile,
ma le idee camminano sempre sulle gambe di uomini. Ovvio che esistono ambizioni, primati, orgogli, rivalità, giudizi e pregiudizi anche in formazioni quantitativamente piccole e tutto ciò non può che pesare e condizionare un progetto
meramente astratto. Ma è altrettanto vero che in politica conta innanzitutto
la volontà, così come è vero che la politica offre una impressionante panoplia di
intese, accordi tecnici se non pienamente politici, convergenze e desistenze in grado di assicurare – se ve ne è la volontà – risultati ad un tempo utili per ciascuna formazione e per l’intera area. E in ogni caso, l’utilità di un dibattito consiste proprio
nel laico ragionare fra laici – fra radicali e socialisti, liberali e repubblicani, laici senza tessere e persone di buona volontà – intorno al tema di una giusta speranza che va coltivata. Non forse quell’auspicabile casa comune tutta da inventare, ma l’opportunità di offrire all’elettorato italiano, da subito e per il 2005,
la chance di un voto identitario e di un voto utile. Ossia di
un voto laico capace di dargli rappresentanza, superando quorum e sbarramenti (tecnici e politici) altrimenti destinati a condannarlo ancora al ruolo di
voto di testimonianza e subalternità.