L’autore di questo brano è docente di Legge presso l’American University di Washington D. C.
In un comunicato del 7 febbraio 2002, il
Portavoce del Presidente George W. Bush ha annunciato che gli
Stati Uniti non avrebbero trattato come prigionieri di guerra i detenuti di
Guantanamo catturati nella guerra in
Afghanistan, e ha aggiunto: "Il modo con cui noi trattiamo le persone è un riflesso dei valori dell’America".
Questo è vero. Purtroppo, il
decreto presidenziale istitutivo dei Tribunali militari per il processo a carico dei sospetti di "terrorismo internazionale" riflette tristemente quei valori.
Il decreto prevede che ai processi in questione non si applicano le garanzie del giusto processo stabilite dalla
Costituzione o dalle norme vigenti di diritto internazionale. Il vizio fondamentale dei
Tribunali militari istituiti dal decreto è che
le funzioni di polizia, della pubblica accusa, del giudice e della giuria sono tutte imputate a (o effettuate sotto il controllo di) un solo uomo, il Presidente degli Stati Uniti. Il decreto prevede che qualsiasi non-cittadino può essere detenuto
se il Presidente "ha ragione di ritenere" (che è uno standard sconosciuto al diritto) che costui è un
"terrorista internazionale" (una fattispecie priva di previa definizione legale), il quale potrebbe compiere o preparare atti volti a
"causare danno o effetti avversi" nei confronti di qualsiasi bene virtualmente concernente
gli Stati Uniti o il popolo degli Stati Uniti.
Questa persona può essere
tradotta davanti a tre membri dell’Esercito, che sono subordinati al Presidente, loro Comandante in Capo; può essere
costretta ad accettare come proprio difensore un altro membro dell’esercito; può essere
processata sulla base delle regole probatorie stabilite dal Ministro della Difesa; può essere detenuto e condannato a morte se due giudici su tre lo decidano; può
appellarsi soltanto al Presidente.
Il decreto impedisce ogni
riesame giurisdizionale della decisione. Dal momento che la Costituzione americana prevede la sottoposizione della giurisdizione dei Tribunali militari a controllo giurisdizionale, rimane ammissibile l’ipotesi che
una Corte accerti la titolarità del potere di tali Tribunali. Tuttavia, simile accertamento non si estende agli aspetti sostanziali e procedurali del giudizio quali la colpevolezza o l’innocenza, le regole probatorie o processuali, e la sentenza.
E’ stato affermato che la disciplina citata consentirebbe all’accusato di avvalersi di un altro difensore oltre a quello militare e ammetterebbe, implicitamente, la
presunzione di innocenza, il requisito
dell’accertamento probatorio oltre ogni ragionevole dubbio,
l’appello e l’unanimità dei giudici in caso di sentenza di condanna alla pena di morte. Ma senza la previsione espressa di un controllo giurisdizionale da parte di un giudice
indipendente, queste ipotesi rimangono
fittizie, poiché ogni significativo aspetto sostanziale e procedurale del giudizio è sotto il pieno controllo dell’Esercito.
Queste previsioni
violano norme del diritto nazionale e del diritto internazionale. Non vi è alcuna garanzia che la decisione iniziale di detenere e accusare una persona della vaga e costituzionalmente indeterminata imputazione di essere
"terrorista internazionale" - che è priva di significato nel diritto americano e nel diritto internazionale -, non si basi su una diceria, su voci incontrollate, su una mera associazione ad indizi di colpevolezza, su una una
confessione estorta o su qualche altra
prova dubbia o ottenuta illegalmente; l’imputato non è abilitato a conoscere quale prova sia stata raccolta a suo carico, né a confrontarsi con l’accusa, né a produrre prove a discarico. Non vi è nemmeno la garanzia che l’imputato avrà tempo sufficiente a preparare il suo caso. Va ricordato che una delle principali violazioni del
principio del giusto processo perpetrate nel giudizio del Tribunale militare sul
Generale Yamashita dopo la Seconda Guerra Mondiale consistette nella mancanza di un sufficiente margine temporale concesso al collegio di difesa per rispondere alle accuse.
Le norme internazionali richiedono inoltre
l’indipendenza del giudice e il diritto dell’imputato a scegliersi un difensore di sua fiducia. In assenza di questi requisiti, non vi è alcuna certezza che il processo sarà equo e che la detenzione e la pronuncia si baseranno su prove solide.
I prigionieri della
Baia di Guantanamo si troveranno con ogni probabilità di fronte a Tribunali del tipo che ho descritto. A causa della segretezza che pervade gran parte dei comportamenti della presente Amministrazione negli affari interni ed esteri, non possiamo formulare valutazioni fondate sulle condizioni nelle quali si trovano i detenuti, anche se sappiamo che essi si trovano in gabbie all’aperto a una temperatura di 100 gradi della scala Fahrenheit.
Il caso solleva anche uno specifico problema di classificazione.
L’Amministrazione Bush ha affermato che
accetta l’applicabilità della Convenzione di Ginevra al conflitto afghano, ma che né i prigionieri
Talebani, né i membri di
Al-Qaeda saranno trattati come prigionieri di guerra, perché nel loro caso non ricorrono i quattro requisiti necessari "per essere qualificati prigionieri di guerra ai sensi dell’articolo 4". Questo è un deliberato
fraintendimento della Convenzione da parte dell’Amministrazione Bush.
L’art. 4 si compone di due sezioni e di molte sottosezioni concernenti differenti categorie di persone abilitate a rivestire lo status di prigionieri di guerra. Fra queste, soltanto la sezione A, secondo comma, impone
i quattro requisiti cui si riferisce l’Amministrazione Bush. La sezione primo comma, prevede lo status di prigionieri di guerra per i
"membri di forze armate di una parte del conflitto", che riguarda
i talebani, nonché per i "membri di milizie o corpi volontari che facciano parte di queste forze armate", che potrebbe applicarsi almeno a una parte di coloro che vengono sospettati di essere membri di
Al-Qaeda.
Inoltre, secondo
l’art. 5, qualsiasi dubbio al riguardo deve essere
"risolto da un tribunale competente". L’affermazione
dell’Amministrazione Bush secondo cui "non vi è dubbio" che
lo status di queste persone
fuoriesce dalla disposizione che richiede un "tribunale competente" a decidere la questione non soltanto è
sbagliata, ma è anche
inaccettabile, se questa specifica disposizione della Convenzione deve avere un qualche significato…
Prevedere il giusto processo per coloro che odiamo e temiamo è difficile. Ma è la misura della devozione della Nazione a quei valori di equità e giustizia per i quali proclamiamo di avere lottato.
Articolo tratto dal sito ufficiale dell'Associazione Italiana Costituzionalisti.