Anno accademico 1951/1952: presidente e direttore
Silvio D'Amico, il riformatore del mondo del teatro italiano. In quel periodo, erano insegnanti di recitazione:
Wanda Capodaglio, Orazio Costa, che in seguito aggiunse il cognome
Giovangigli, Sergio Tofano, Alba Maria Setaccioli. La cattedra di Storia del Teatro era affidata ad
Achille Fiocco, mentre la Storia del Costume e la Scenotecnica era competenza di
Virgilio Marchi. L'Educazione della voce era affidata a
Isabella De Grandis Mannucci e la Danza a
Raja Garosci, mentre la Scherma la conduceva
Valentino Ammannato. Registi del primo anno erano:
Giorgio Bandini, Edmo Fenoglio, Camillo Da Pasano; Luigi Vannucchi era, invece, quello del secondo anno. Come si vede,
Luca Ronconi non è nell'elenco degli 'allievi registi', ma in quello degli 'allievi attori'. E qui abbiamo, in ordine alfabetico:
Maria Teresa Angelè, Warner Bentivegna, Isabella Bolsi, Mirella Castiglione, Paolo Cinti, Elena Cotta, Giuseppe Cuccia, Piero De Santis, Carlo Feola, Gilberta Gallone, Liviana Gentile, Vera Gherarducci, Ileana Ghione, Renato Mainardi, Mario Maranzana, Giamberto Marcolin, Gianna Miceli, Quinto Parmeggiani, Grazia Santobon, Carmela Scimonelli (Silvia Monelli), Guido Sordi, Silvio Spaccesi, Armando Sviato e, appunto,
Luca Ronconi. L'Accademia, all'epoca, durava tre anni. E risulta strano che
Ronconi si sia diplomato attore nell'anno accademico 1952/1953, insieme a
Maria Luisa Ceciarelli, in arte
Monica Vitti. Poi, all'improvviso,
Luca Ronconi uscì dall'Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio D'Amico per ricomparire, anni dopo, negli anni in cui la diresse
Renzo Tian, questa volta tra le fila degli insegnanti di Recitazione nell'anno accademico 1966/1967, insieme a
Luigi Vannucchi, Sergio Tofano, Jone Morino, Elena Da Venezia, Albamaria Setaccioli. Luca Ronconi insegnerà recitazione, con alterne vicende, fino al 1972. Lo scrivente lo ebbe come regista nel dramma di
Thomas Middleton 'Una partita a scacchi'. Pier Luigi Pizzi si occupava dei costumi e
Gae Aulenti della scenografia. La 'prima' avvenne nello storico
Teatro-Studio 'Eleonora Duse', la chiesa sconsacrata di via Vittoria, a Roma, dove studiarono
Anna Magnani, Paolo Stoppa e altri grandi del teatro italiano. Ad
Andrea Camilleri andò la cattedra di Regia dal 1975 al 1990. In più occasioni,
Luca Ronconi dichiarò che considerava l'Accademia
"un luogo protetto, una sorta di limbo ove è possibile sperimentare tranquillamente, al riparo delle regole del mercato, dei confronti con altre interpretazioni e del divismo". Ma soprattutto
Ronconi precisava spesso che il suo lavoro
"non pretende di essere una mia personale interpretazione, ma che l'attenzione massima è volta allo stimolare e seguire l'incontro di una drammaturgia, una tessitura di battute, dei personaggi non certo schematici con un gruppo di giovani attori". In realtà, tra quelle che
Luca Ronconi definiva
"suggestioni spettacolari", le sue regie teatrali ne erano piene. Semmai, lui riusciva a renderle in modo estremamente essenziale, schematico, per virtù di composizione e di scomposizione dei 'quadri recitanti', per cromatismi e folgorazioni illuminotecniche, per l'insolita occupazione dello spazio scenico. Le sue regie erano in grado di far risalire visivamente, dall'inconscio, l'insieme dei sentimenti in un fatto teatrale smisurato, dove si ritrovavano tutti i livelli del pensiero, dall'esterno fino al 'piano' più interiore. Era un sogno. E' stato un sogno: la strada maestra che la genialità di Luca ci ha permesso di vedere come approdo alla nostra coscienza.
Luca Ronconi è stato il regista dei drammi impossibili, senza mai cadere nella 'trappola' né dell'erudizione storica, né della simbologia politica. Ciò che lo affascinava nei testi da lui scelti era la 'geometrìa' dei rapporti, l'incrociarsi dei pensieri, dei destini e delle azioni umane, dei contrapposti desideri: il gioco combinatorio delle personalità dei personaggi.
Luca Ronconi è riuscito a portare quella ventata di novità che ha sconvolto il teatro italiano. Dopo di lui, che fine farà il teatro o, meglio, la regia teatrale? Si dovrà parlare di rito perduto? Ecco cosa ci porta la sua morte: il disorientamento, la perdita della sua genialità, di lui come persona. Ecco, ieri come oggi, ripetersi la ricerca del rito perduto. Che fine farà l'Accademia e il suo modo innovativo d'insegnare l'arte drammatica e la sua messa in scena? Mi piace pensare che l'Accademia nazionale d'arte drammatica Silvio D'Amico stia formando i nuovi maestri dell'arte scenica, per vincere l'estrema apparente debolezza del teatro, la gigantesca potenza della televisione, dei mass media in genere. Per vincere, certamente, nel cuore e nella fantasia dell'uomo.