Il progetto Archimede, esportato in Spagna dal 'nostro' premio Nobel, si è dimostrato scientificamente all'avanguardia. Si sarebbe potuto sviluppare in Italia, ma la nostra politica, sin dai primi anni del 2000, ha sempre umiliato la ricercaL'attività di ricerca del
professor Carlo Rubbia ha coperto diversi campi della fisica, quali lo studio dei neutrini cosmici, l'analisi della stabilità del protone, il progetto di una fusione nucleare controllata e quello di un reattore nucleare basato sull'utilizzo del thorium come materiale radioattivo. Nel 1984 è stato insignito con il
premio Nobel per la Fisica, condiviso con il collega olandese
Simon Van der Meer. Nella menzione ufficiale della Reale Accademia di Svezia, i due fisici furono premiati per il loro decisivo contributo al grande progetto che condusse alla scoperta delle
particelle di campo W e Z, mediatrici dell'interazione debole. L'interazione debole, che opera nel profondo della materia laddove risiedono quark e leptoni, è uno dei quattro fondamentali campi di forza dell'universo: la gravità, l'elettromagnetismo, l'interazione nucleare forte e l'interazione nucleare debole, appunto. L'attività più recente di
Carlo Rubbia si è rivolta al problema della produzione di energia mediante nuove tecnologie: dal 1999 al 2006 è stato presidente
dell'Enea Casaccia, l'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente. Ricordiamo il suo parere sfavorevole denunciato in parlamento, alla commissione Ambiente della Camera, in data 25 novembre 2003, in merito al decreto-legge n.314/2003, che ha indicato in
Scanzano Jonico il possibile sito unico nazionale come deposito di scorie radioattive, scelto dal
generale Carlo Jean, presidente della Sogin. Secondo
Rubbia, lo studio della
Sogin non presentava solide basi scientifiche e non rientrava in alcuna logica gestionale consolidata, sottolinenando inoltre che le fasi di indagini sui siti devono necessariamente precedere qualsiasi messa a dimora di rifiuti radioattivi di qualsiasi categoria.
Il progetto Archimede, avviato nel 2001, si basa su una tecnologia fortemente innovativa elaborata
dall'Enea. Esso rappresenta la prima applicazione a livello mondiale di integrazione tra un ciclo combinato a gas e un impianto solare termodinamico. Una soluzione 'pulita', che applicata industrialmente su larga scala, in regioni con una buona insolazione come il sud dell'Italia, può produrre energia sufficiente a sostituire carbone, petrolio e metano. La centrale solare termodinamica
Archimede, progettata da
Carlo Rubbia, è stata inaugurata nel giugno 2004 a Priolo Gargallo (Sr), in Italia, presso la Centrale elettrica Enel Archimede. Il progetto, fortemente voluto dal
professor Rubbia, si è scontrato però con le lungaggini burocratiche del nostro Paese. Così, nel 2005,
Rubbia ha iniziato a collaborare con il
Ciemat (Centro di ricerca sull'energia, l'ambiente e la tecnologia, un organismo spagnolo simile all'italiano Enea) come consigliere speciale per la ricerca in campo energetico. Lo scienziato trasferì dunque le sue ricerche sulla tecnologia del solare termodinamico in Spagna. Una scelta - come ci ha spiegato egli stesso - conseguente all'incapacità delle istituzioni italiane di prendere decisioni di fronte a idee innovative, in un settore quale quello della ricerca, in cui il tempismo è fondamentale.
Professor Rubbia, su quali principi si basa il suo 'progetto Archimede'?"Punta sulla captazione e accumulo di raggi solari con specchi parabolici, per arrivare, con una tecnologia innovativa, alla disponibilità di energia. I raggi del sole vengono raccolti e concentrati da un sistema di specchi parabolici, in grado di captare in modo continuativo le radiazioni solari, che sono poi concentrate su un tubo assorbente di nuova generazione tecnologica, posto sul fuoco delle parabole, al cui interno scorre un fluido termovettore. Questo si scalda, raggiungendo temperature molto elevate e si convoglia in un serbatoio a caldo. Da qui, passa in uno 'scambiatore' in cui cede parte del calore, che produrrà vapore da immettere nel gruppo turbine, già operanti, di una centrale: proprio per questo scopo, venne scelta la centrale Enel di Priolo".
Lei, qualche tempo fa, ha paragonato un termovettore a un fertilizzante: potrebbe spiegarci meglio?"Il fluido del termovettore è, di fatto, un comune fertilizzante, quindi né infiammabile né inquinante, che può raggiungere temperature elevatissime. A 550 gradi si può svolgere l'operazione per produrre energia elettrica; a oltre 850° si può operare per ottenere idrogeno. Un aspetto primario del progetto è che si ha la possibilità di accumulo. Pertanto, anche nelle giornate piovose, il processo può andare avanti. Lo stesso dicasi di notte. La prima applicazione pratica venne realizzata nella centrale Enel di Priolo, a Siracusa, come già ho detto: da 720 megawatt di potenza si arrivò a produrre circa 30 megawatt. È da tener conto, tuttavia, che per ogni megawatt prodotto occorreva un'area operativa di 2 ettari. Ecco perché, se il Progetto Archimede fosse stato attuabile in grandi aree assolate e libere, come ne esistono in Africa, la produzione elettrica, tramite questa via alternativa, avrebbe avuto ben altre proporzioni e ben altri riconoscimenti. La produzione, poi, si sarebbe potuta trasportare in qualsiasi posto con dei semplici elettrodotti".
Perché la sua scelta cadde proprio nella zona di Priolo?"La scelta di Priolo fu effettuata per le caratteristiche "a ciclo combinato" della centrale già operante in loco. Il progetto nacque dalle sinergie di Enel ed Enea insieme per l'energia solare. A Priolo, vicino Siracusa, prese forma la prima applicazione a livello mondiale di integrazione tra un ciclo combinato a gas e un impianto solare termodinamico basato su una tecnologia fortemente innovativa, elaborata dall'Enea e sviluppata dallo stesso commissario dell'ente, ovvero da me. La centrale Enel di Priolo Gargallo è stata la sede della sperimentazione. Il grande impianto solare venne costruito dall'Enel per incrementare di circa 20 mw la potenza della centrale, consentendo così la produzione di energia elettrica aggiuntiva da fonte solare capace di soddisfare il fabbisogno di una città di 20 mila abitanti, con un risparmio di 12 mila e 500 tonnellate equivalenti di petrolio all'anno e minori emissioni di CO2 per 40 mila tonnellate l'anno".
Cosa avrebbe potuto fare o dire qualche politico del ministero delle Attività produttive, delle Risorse minerarie e dell'Ambiente per trattenerla in Italia?"Ci voleva qualcuno, nel ministero delle Attività produttive e in quello dell'Ambiente, che dicesse: "Il solare termodinamico che voi avete progettato è verde, pulito come l'energia eolica o il solare fotovoltaico". Ma essendo una cosa nuova, nessuno ha voluto esprimersi. Abbiamo atteso un anno e mezzo. Nel frattempo, gli spagnoli hanno fatto una legge che dichiara che il solare termodinamico è verde. Risultato: me ne sono andato dall'Enea e ho preso la responsabilità del progetto per sviluppare la stessa tecnologia in Spagna, presso il Ciemat".
Ogni anno nascono 90 milioni di individui sul pianeta: c'è un rapporto tra quantità di individui ed energia consumata?"Il bisogno di energia antica, petrolio, carbone, metano, benzina, idrocarburi, che viene consumata, continua a crescere, secondo l'aumento della popolazione sul pianeta. E l'effetto serra si fa sempre più evidente. Non è mai successa una cosa del genere nella storia del pianeta. Non sappiamo esattamente cosa accadrà: ci troviamo dentro a un esperimento. Purtroppo, siamo proprio dentro a un'immensa provetta. Se andrà male, andrà male per tutti".
Si parla spesso dell'idrogeno come carburante futuro, come forma di energia alternativa al petrolio: lei cosa ne pensa?"L'idrogeno va molto bene. Ma se si produce l'idrogeno partendo dal gas naturale o dal carbone non serve a niente. Alla fine, si avrebbe nell'atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica: meglio bruciare direttamente il gas naturale o il carbone. Bisogna passare al solare. E l'idrogeno deve essere prodotto con energia solare. Lei può prendere della luce solare e, con questa, trasformare l'acqua in idrogeno e ossigeno. L'ossigeno lo mette in giro, a grande beneficio del mondo, come fanno le piante. L'idrogeno lo recupera e diventa un gas naturale sintetico. Si potrà pensare di far viaggiare l'idrogeno fin dentro le case, proprio come si fa col gas naturale".
Può esporci la sua critica in merito alle attuali metodologie di smaltimento delle scorie radioattive?"Il grave problema dell'eliminazione dei rifiuti radioattivi non va assolutamente sottovalutato. Con vari metodi sono inceneriti, triturati, macinati, pressati, vetrificati e inglobati in fusti impermeabili, a loro volta disposti in recipienti di acciaio inossidabile: veri e propri sarcofagi in miniatura. Queste vergogne dell'energia nucleare vengono nascoste nelle profondità sotterranee e marine. Non abbiamo la minima idea di quello che potrebbe succedere dei fusti con tonnellate di sostanze radioattive che abbiamo già seppellito e di quelli che aspettano di esserlo. Ci liberiamo di un problema passandolo in eredità alle generazioni future, perché queste scorie saranno attive per millenni. La sicurezza assoluta non esiste, neppure in quest'ultimo stadio del ciclo nucleare. Questi 'cimiteri radioattivi' possono essere violati da terremoti, bombardamenti, atti di sabotaggio. Malgrado tutte le precauzioni tecnologiche, lo spessore e la resistenza dei materiali in cui questi rifiuti della fissione sono sigillati, la radioattività può, in condizioni estreme, sprigionarsi in qualche misura, soprattutto dai fusti calati nei fondali marini. Si sono trovate tracce di cesio e di plutonio e altri radioisotopi nella fauna e nella flora dei mari più usati come cimiteri nucleari. Neppure il deposito sotterraneo, a centinaia di metri di profondità, può essere ritenuto, secondo me, completamente sicuro. Sotto la pressione delle rocce, a migliaia di anni da oggi, dimenticate dalle generazioni a venire, le scorie potrebbero spezzarsi o essere assorbite da un cambiamento geologico che trasformi una zona da secca in umida, entrare quindi nelle acque e andare lontano, per poi contaminare l'uomo attraverso la catena alimentare. A mio parere, queste scorie rappresentano delle bombe ritardate: le nascondiamo pensando che non ci saremo per risponderne personalmente".
PER SAPERNE DI PIU'Carlo Rubbia è nato a Gorizia nel 1934. Dopo aver concluso gli studi universitari presso l'Università di Pisa, nel 1957 si trasferisce a NewYork, lavorando per circa un anno alla Columbia University. Proseguì le sue ricerche in Italia, presso l'Università di Roma 'La Sapienza', divenendo nel 1960 ricercatore dell'Organizzazione europea per la ricerca nucleare, il Cern di Ginevra. Qui ha partecipato a esperimenti sulle interazioni deboli al sincrociclotrone, al protosincrotrone, al collisionatore di fasci protonici. Dal 1971 al 1988 è stato professore di fisica alla Harvard University, nel Massachusetts. Dal 1990 al 1993 ha ricoperto la carica di direttore generale del Cern. Nel 1994 ha assunto la direzione dell'International center for theoretical physics di Trieste. Ha insegnato 'Complementi di fisica superiore' a Pavia. Nel 1999 diventa presidente dell'Enea (Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente). Nel 2005 si trasferisce in Spagna, a Madrid, presso il Ciemat. Dall'agosto del 2013 riveste la carica di senatore a vita.
(intervista tratta dal sito www.periodicoitalianomagazine.it)