Franco Piperno, insieme a Lanfranco Pace, è stato uno dei leader storici di Autonomia Operaia. Oggi, è un esponente politico di spicco del socialismo riformista calabrese.

Prof. Piperno, innanzitutto può darci il suo commento sui tragici avvenimenti di Madrid e intorno ai drammatici sequestri di civili da parte dei mujahiddin iracheni?
“E’ in atto un durissimo scontro tra gli americani e i loro alleati da una parte, e alcuni Paesi arabi dall’altra. La logica di certi fatti onestamente non mi pare molto diversa rispetto a quando gli algerini mettevano le bombe in Francia. Tuttavia, io non vedo quel che sta accadendo come un elemento relativo ad una sorta di cupola terroristica internazionale, che a mio parere non esiste, quanto ad una serie di cruentissimi scontri causati proprio dagli Stati Uniti, i quali hanno arbitrariamente occupato l’Iraq”.

Nei drammatici 55 giorni del sequestro di Aldo Moro, lei divenne uno degli elementi fondamentali della trattativa tentata dal Psi per liberare lo statista pugliese: questa volta ci sono, secondo lei, i margini per trattare la liberazione dei prigionieri italiani?
“Credo - e spero proprio -, di sì. Innanzitutto, la Storia degli uomini ci insegna che margini di trattativa ci sarebbero sempre, in questo tipo di situazioni. A maggior ragione in questo caso, cioè nel corso di uno scontro tra un esercito e una guerriglia popolare poiché, da che mondo è mondo, nelle guerre si è sempre trattato. Quali poi siano effettivamente questi margini è questione tecnicamente tutta da verificare".

Ma quali sono le differenze sostanziali tra il terrorismo integralista islamico e quello di matrice ideologica che ha caratterizzato i cosiddetti anni di piombo della Repubblica italiana?
“Intanto, non è detto che le forme di lotta armata degli arabi siano classificabili come terroristiche. Se vogliamo definire meglio la questione da un punto di vista strettamente terminologico, il bombardamento di una città per mezzo dell’aviazione è la forma classica di terrorismo. Una guerra è quindi definita terroristica allorquando, anziché utilizzare forme distruttive limitate agli apparati militari, vengono coinvolti anche i civili. Un qualsiasi bombardamento è, insomma, un atto bellico che rientra interamente sotto il termine ‘terrorismo’. Detto questo, io penso anche che, se proprio vogliamo comparare il terrorismo italiano alle forme di lotta dell’integralismo islamico, il primo risulta difficilmente compatibile con il secondo: il terrorismo italiano possedeva solo alcuni elementi concettuali della guerriglia urbana, quelle considerabili come forme di agguato, ma la sua metodologia era molto più selettiva e selezionata, oltreché basata su una compartimentazione organizzativa talmente rigida da non renderlo quasi mai ‘totalmente indiscriminato’ . Ciò lo differenzia molto dal terrorismo internazionale. Ora, se ci stiamo riferendo specificamente ad al Qaeda, è chiaro che stiamo parlando di un tipo di terrorismo che mira ad un 'terrore' quanto meno equivalente al bombardamento di una città: non disponendo di una flotta aerea, al Qaeda semina morte attraverso gravissimi attentati. Ma, al Qaeda mantiene, a mio parere, una trama di presenza fortemente reattiva proprio rispetto a quanto accade nei Paesi arabi. A questo punto, dunque, sarebbe bene tornare all’origine della questione, cioè al fatto che siamo stati proprio noi occidentali a mettere piede per primi in quei Paesi e, spesso, a proteggere i regimi più corrotti di quella regione del mondo. E’ stato l’occidente stesso, inoltre, a ‘mettere in piedi’ le armate di al Qaeda per contrapporle all’Unione Sovietica. E queste sono cose risapute, tra l’altro, che sono state generate da noi occidentali e che poi si sono rivolte contro di noi. Per una larga parte dei Paesi arabi, gli Stati Uniti appaiono ormai come un vero e proprio 'Paese-gendarme', che protegge un regime come quello dell’Arabia Saudita, che tutti sanno essere fra i più corrotti della Terra. Se poi ci mettiamo anche secolari motivazioni religiose che covavano sotto la cenere di tutta questa situazione, ecco dunque spiegata la miscela esplosiva che si è finito col generare e la deriva del mondo arabo verso le sue componenti più fondamentaliste”.

Il rapporto privilegiato degli Usa con l’Arabia Saudita è dunque un male per la pace in Medio - Oriente?
“Assolutamente sì: quello dell’Arabia Saudita è un regime corrotto ed oscurantista, che rende totalmente ridicola la pretesa americana di esportare la democrazia in Iraq e di considerare il medesimo problema assolutamente secondario per quel che riguarda l'Arabia Saudita. Questa è una delle contraddizioni di fondo che caratterizza da sempre la politica estera americana, sin dalla sua nascita: alla fine del XIX secolo, quando dopo la guerra ispano-americana hanno occupato Cuba, fecero il medesimo errore, poiché gli americani hanno sempre avuto questa tendenza, tanto più grave in quanto, contrariamente a quel che talvolta pensa la nostra stessa ‘intellighentia’ di sinistra, questa politica dei due pesi e delle due misure non viene attuata a fini pragmatici, ovvero per appropriarsi delle risorse o delle ricchezze del sottosuolo dei Paesi occupati, bensì in base a motivazioni fortemente ideologiche. Gli americani sono da sempre convinti che la cosa migliore per il mondo intero sia quella di imporre il Partito Democratico e quello Repubblicano nei sistemi democratici di tutti i Paesi del pianeta. Questa è una tesi rozza, che dimostra la grande ingenuità culturale del nazionalismo americano. I diritti individuali, quelli liberali, per intenderci, del singolo cittadino, non si trovano così, per caso, né si possono imporre con gli eserciti”.

Qualcuno di recente ha scritto che non esiste un Islam buono ed uno cattivo: esiste l’Islam nel suo complesso. Lei cosa ne pensa?
“Penso che questa affermazione sia assai generica. E’ vero, infatti, che non possiamo appioppare aggettivi valutativi semplicisti: nel mondo islamico ci sarà qualcosa di buono e altre cose meno buone. Ma io penso che esistano milioni di musulmani che sono delle bravissime persone, altri che, pur essendo anch’esse di buon cuore, pensano sia il caso di dover impugnare le armi per lottare contro l’occupazione del proprio Paese e, altri ancora, che perseguono una politica fanatica di ‘guerra santa’. Credo dunque che questo sia un tema di valutazione molto complesso: non si possono giudicare interi popoli – in questo caso, di milioni e milioni di uomini -, in base a coordinate di analisi così ristrette. La cosa migliore, in particolare per l’Italia, è dunque quella di riannodare i fili di una convivenza pacifica con il popolo musulmano, poiché non c’è nulla come la coabitazione in grado di stemperare certe resistenze dogmatiche e le molteplici forme di esclusione culturale”.

Ma è il mondo occidentale a non riuscire a ritrovare il filo del dialogo con l’Islam, oppure è l’Islam a non voler proprio dialogare con l’occidente?
“Io, come già vi ho detto, ritengo che sia il mondo occidentale ad aver perso ogni senso di orientamento politico: non solo tenta di esportare il suo latte in polvere laddove la gente beve latte di cammella, non solo tenta di imporre il grano laddove la gente è abituata a mangiare il riso, non solo tende ad invadere certi Paesi con le proprie merci nel tentativo di modificare abitudini e consumi, ma pretende addirittura di impostare in casa d’altri anche modelli politici e sociali...”.

Intende dire che l’occidente tende ad esportare più i propri difetti che i suoi pregi?
“No: noi esportiamo ambedue le cose, pregi e difetti. Il punto è un altro: ciò che a noi appare come una qualità o come una forma di libertà, per molti Paesi arabi può rappresentare una forma di decadenza culturale o di corruzione morale. E questo, viceversa, può essere anche per noi. Noi ci meravigliamo delle mutilazioni inflitte ai giovani e passiamo sotto silenzio i gravissimi incidenti stradali dovuti alla nostra folle velocità di guida, oppure il fatto che per anni, proprio qui da noi, in Italia, si siano estratte le tonsille sulla base di una convinzione medica assolutamente astratta eppure considerata assolutamente scientifica dal punto di vista medico. Non possiamo continuare a non comprendere il valore culturale delle diversità, che sono il vero ‘sale della Terra’. Il problema diviene renderle delle diversità compatibili con le nostre culture e con le nostre mentalità, poiché risulta pacifico che l’omicidio, ad esempio, non possa risultare concetto accettabile su di un piano di universalità culturale. Poniamo un altro esempio: se si sostituisse l’infibulazione, praticata in certi Paesi, con modalità simili ma di tipo puramente ritualistico, ciò potrebbe risultare un tentativo di ‘stemperamento’ che potrebbe salvare determinate tradizioni, così come le ‘secolari certezze’ sulle quali si sono sempre basate. Studiare nuovi modi per garantire il rispetto delle tradizioni potrebbe creare, insomma, nuovi ‘terreni di incontro compatibile’ con le nostre tradizioni, impedendoci quel ‘voltare lo sguardo da un'altra parte’ che corrisponde alla nostra gravissima pigrizia mentale e culturale. Voglio fare, ora, un altro riferimento ancora, riallacciandomi ad una polemica sorta qualche tempo fa, quella che pretenderebbe, cioè, che le donne musulmane francesi non debbano portare il velo. Quando ho sentito parlare di questa ‘querelle’, infatti, mi è subito venuta alla mente mia nonna, fiera contadina calabrese, che portava sempre uno splendido scialle nero sulla testa. Certamente, se l’obbligo di portare il velo viene imposto dai mariti, indubbiamente ciò è totalmente ingiusto. Ma se una ragazza ha tutte le intenzioni di portarlo, perché impedirglielo? Per concludere, io non nascondo che ragionare sulla base del rispetto delle diversità, al fine di renderle compatibili, possa risultare un lavoro molto duro, destinato ad incontrare più di qualche sconfitta, lungo il suo cammino. Ma è proprio su un tale terreno evolutivo che si esprime la vera civiltà dell’uomo”.

E’ stato il crollo dell’impero comunista a favorire l’avanzata dell’integralismo religioso?
“Penso proprio di sì. C’è stato, all’improvviso, anche in quelle nazioni che erano inglobate 'obtorto collo' sotto la sfera di influenza sovietica, un imprevisto bisogno di nuove identità. Una volta usciti da quella teologia negativa del progresso hanno dovuto ricercare, cioè, per esigenze di normale sopravvivenza, nuove forme di identità culturali. Spesso, è perciò subentrata la religione…”.

E non si potrebbe tornare a ragionare, in termini politici moderni, naturalmente, del tanto bistrattato ‘socialismo arabo’?
“Anche il socialismo arabo è stato quanto di più occidentale si potesse tentare di imporre in quei Paesi. Guardiamo, ad esempio, le esperienze africane: gli Stati detti socialisti, si sono anch’essi rivelati dei 'leviatani', mostruosi e crudeli. Anche in quei casi, le intenzioni erano le migliori possibili: in realtà, è stato come cercare di imporre la gomma da masticare a popolazioni totalmente prive di dentatura… E’ talmente irrazionale ed errato imporre dei nostri codici culturali, che io rimango ancora meravigliato che esista una forte opinione pubblica favorevole, soprattutto negli Stati Uniti, a determinate forzature: non ci si rende conto che le nostre libertà e la nostra Storia è diversa. Io sono occidentale e sono felice di esserlo. E vi dico di più: se fosse realizzabile, io sarei felicissimo se tutte le nazioni della Terra aderissero al nostro modello di civiltà. Ma rimango contrario, in termini di principio, ad imporre questo con la forza, per di più in casa d’altri…”.

L’Italia è un Paese sicuro, secondo lei?
“Penso di sì. Determinate fenomenologie si analizzano su basi statistiche e, in tal senso, il nostro è un Paese tranquillo, relativamente sicuro”.

Dunque lei si fida delle disposizioni di 'sicurezza preventiva' messe a punto dal governo Berlusconi?
“Non è merito di Berlusconi, né del pur bravo ministro Pisanu: è un merito del nostro Paese, che prima di tutto è fatto di ottimi funzionari di polizia, di ottimi giudici e di eccellenti cittadini. L’ossatura vera, quella reale, del Paese, è sana. Berlusconi, D’Alema o chiunque altro fosse al potere possono solo svolgere un ruolo di rappresentanza e di indirizzo”.

Dopo l’11 settembre noi occidentali siamo diventati più filo-israeliani o più islamofobici?
“Dopo la sciagura delle Twin Towers, penso ci sia stato un ‘effetto anti-Islam’, purtroppo. Proprio il conflitto israelo-palestinese, tra l’altro, continua ad alimentare gravi risentimenti da parte dell'Islam nei confronti del mondo occidentale: si parla ormai chiaramente di ‘israelizzazione’ dei territori occupati. Eppure, io vi dico che solo risolvendo la questione palestinese si potrebbero compiere quei passi in avanti decisivi per riaprire una nuova fase di dialogo proficuo con tutto il mondo arabo…”.
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