Vittorio CraxiAmmonisce Panebianco, dalle pagine del 'Corriere della Sera', sull'atteggiamento disinvolto, a suo dire, del nostro Paese e degli italiani su quanto sta accadendo dalle nostre parti, che rischia di provocare uno choc se si materializzassero le minacce del fondamentalismo islamico con incursioni nelle capitali europee o giù di lì. Il 'nostro' lamenta l'indifferenza dei Governi e delle opinioni pubbliche per le minacce, mentre l'assenza di consapevolezza e di responsabilizzazione si trasforma in vulnerabilità culturale, anche sul piano della sicurezza difensiva. Risponde indirettamente alla lamentazione di Panebianco, l'impegno assunto dal nostro ministro della Difesa, che ha preannunciato un intervento per il "rifornimento, l'addestramento e la ricognizione aerea in Irak". La comunicazione, effettuata nello scorso mese innanzi alle commissioni riunite di Esteri e Difesa alle Camere, è sembrata passare in sordina. Ma una decisione italiana è stata assunta: pattuglie aeree armate saranno sul teatro di guerra curdo-iracheno e affiancheranno le forze americane e di altri Paesi occidentali contro l'Isis. Naturalmente, trovandosi lo scenario a migliaia di chilometri di distanza da casa nostra, non avremo la scomoda sensazione di vivere una guerra in presa diretta. Sta di fatto, che dinanzi alla minaccia islamica, il nostro Governo rinuncia a comprendere le ragioni per le quali è divampato il fenomeno Isis (che di per sé rappresenta il plastico esempio del fallimento della guerra in Irak voluta da Bush assieme alla sciagurata dottrina, sostenuta anche da Obama, "dell'esportazione' della democrazia) e si appresta a sostenere una campagna militare dagli esiti e dai contorni assai difficili da stabilire, compresa una tempistica che lascia supporre come la campagna contro i movimenti islamici, oggi divenuti una reale minaccia militare per tutta l'area, sarà tutt'altro che breve e determinerà lo scontro (finale?) fra due civiltà che dall'11 settembre 2001 sono in aperto conflitto.  Le conseguenze di un'azione con le armi sono, naturalmente, tutte da valutare, sia sul piano militare, sia sul piano della sicurezza interna, che non potrà che essere considerata, d'ora in avanti, una priorità. Sul piano politico sarebbe stato opportuno poter esprimere valutazioni di carattere generale, impegnando forze politiche e sociali sul significato di un nostro impegno militare in questa fase e in una zona calda confinante, di fatto, con il centro del Mediterraneo, in cui siamo immersi. Ma il dibattito pubblico è invece preso dalla discussione sugli effetti e sulle conseguenze della presenza di immigrati 'sans papiers' in attesa di asilo nelle nostre periferie, sul fastidio recato alle popolazioni locali e sugli effetti economici negativi provocati dall'azione umanitaria denominata 'Mare Nostrum', mentre contemporaneamente, sulla scena, si affollano esponenti politici che ora cavalcano le esasperazioni e le proteste, ora minimizzano e sollecitano un atteggiamento compassionevole irritante ed elitario. Le migrazioni sono la conseguenza più immediata e concreta dei mutamenti geo-politici e anche climatici: la desertificazione del continente africano non è più una previsione scientifica, ma una realtà che ha già coinvolto milioni di uomini. E questi mutamenti richiedono politiche emergenziali attive e impegni da assumere in seno all'Unione. Ma la questione dei conflitti è invece tutta politica: l'instabilità mediterranea rischia di entrare in una condizione di perennità, con interventi militari che possono essere richiesti ed effettuati con frequenza. Perciò, il fatto richiede una discussione pubblica e politica più seria e più ampia, poiché la situazione non può essere esaurita da una breve comunicazione governativa (un intervento militare che impegna i nostri corpi in un'eventuale conflitto armato necessita di un sostegno parlamentare e democratico, essendo noi, formalmente, in tempo di pace). E un'ampia discussione che coinvolga l'opinione pubblica non può essere esaurita dal pur puntuale fondo del maggior quotidiano italiano.




Responsabile politica estera del Partito socialista italiano
(articolo tratto dal sito www.avantionline.it)
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