Furio Colombo, politico, scrittore e giornalista, è stato nel 2000 l'ideatore e primo firmatario della legge 211, da lui tenacemente voluta, che istituisce il
27 gennaio come
'Giorno della Memoria', in ricordo del
27 gennaio 1945, quello della liberazione del campo di sterminio di
Auschwitz, in Polonia. Il
'Giorno della Memoria' è divenuto nel 2005 ricorrenza riconosciuta dall'Onu per ricordare la
'Shoah' e i perseguitati politici. Fin dalla sua istituzione, mentre conosce un consolidato tributo da parte di organi della Repubblica, da scuole e da persone, è anche fonte di critiche molto diverse fra di loro. Il cancelliere tedesco
Angela Merkel, cristiano-democratica, si associò al Papa nell'esprimere lo sdegno contro quel vescovo negazionista, Richard Williamson, ribadendo che
"la Shoah è stata un crimine contro Dio e contro l'umanità ed è inaccettabile e intollerabile chi, tra gli uomini, neghi o minimizzi l'immane catastrofe che, per ordine di una ideologia errata, venne compiuta".Onorevole, cosa rappresenta, oggi, il perdono per il popolo ebraico?
"Il perdono credo sia un aspetto distorto del tempo che segue la Shoah, nel senso che nessuno ha i titoli per poter perdonare ciò che è accaduto e nessuna circostanza ci suggerisce che si dovrebbe perdonare: facendolo si annullerebbe, si normalizzerebbe, si darebbe l'impressione di normalizzare ciò che non può essere normalizzato. Naturalmente, c'è una ragione logica ancora più grande di quella psicologica, morale e storica che ho appena detto. Ed è che soltanto le vittime avrebbero il diritto di perdonare. Ma le vittime non sono presenti, in grandissima parte. Di conseguenza, non possono e non avrebbero mai potuto farlo. Detto questo, ritorno all'argomentazione logica: sembra inimmaginabile, perché ciò che è avvenuto non può essere normalizzato e quindi portato, inserito in un rapporto dialettico tra domanda e risposta: se c'è una domanda, ci si immagina che segua una risposta; se c'è un torto, ci si immagina che ci sia una rettificazione del torto attraverso il meccanismo della tolleranza o del perdono, ma tutto ciò che è avvenuto e che chiamiamo Shoah non è nell'ordine della logica storica, morale, umana e di comportamento possibile. Di conseguenza non si può applicare, poiché l'impegno del perdono non può rientrare in questo discorso".
Un pensiero di Primo Levi ribadisce che "tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo". Ripensando alla situazione attuale e al comportamento di molti nel gestire la cosa pubblica e alle carenze della Protezione civile, specialmente in Liguria, lei quale critica muove al potere di oggi?"È molto difficile rispondere: francamente, è una domanda difficile, perché bisognerebbe definire il potere e bisognerebbe definire il criterio in base al quale si formulano le colpe. Noi siamo entrati in una fase in cui il potere, se anche fosse buono - e non lo è - avrebbe comunque torto; e se anche fosse ragionevolmente all'altezza dei suoi gravissimi doveri sarebbe comunque da condannare. Questo è un po' il modo in cui ci stiamo comportando e in cui ci stiamo orientando. Per esempio, molte delle aggressioni che ha subito il sindaco di Genova nella giornata in cui è andato a vedere i disastri della sua città, quei modi e quelle aggressioni erano parecchio al di là del meritato: un sindaco ha potere fino a un certo punto e non può nemmeno andare al di là di quel punto. Di conseguenza, è stato accusato di cose che non ha fatto e che non avrebbe mai potuto fare. Quindi, mi riesce veramente difficile rispondere a questa domanda".
Ebrei e Palestinesi troveranno un punto d'equilibrio per una pace duratura?"Io mi sono sempre ispirato a una frase di John Kennedy, che poi è stata ripetuta da Robert Kennedy durante la campagna elettorale del '68 conclusasi tragicamente. La frase è questa: "Tutti i problemi creati dagli esseri umani possono essere risolti dagli esseri umani". Quindi, ho fiducia in questo senso: non c'è nulla di disumano nei palestinesi e non basta pensare che non sia possibile trovare un accordo alla terribile tensione con Israele. E viceversa. Inoltre, noi viviamo in un mondo che è tutto fatto di frontiere non riconosciute e di vicinanze nate malissimo: basti pensare all'India e al Pakistan, alla nascita sanguinosa del Bangladesh, al rapporto con le minoranze, mi riferisco ovviamente a minoranze storicamente importanti e numericamente grandi, ovviamente. Il popolo cinese, per esempio, ha una questione aperta con gli Uiguri. Una questione gravissima, enorme. E ne ha anche un'altra con il Tibet, che è una vera e propria nazione inglobata all'interno della Cina stessa. Quindi, attraverso questo genere di esperienze, noi possiamo comprendere di più: in questo dramma, che effettivamente è un dramma importante, molto importante, tra Israele e i palestinesi, esiste una persistente organizzazione propagandistica per fare in modo che il problema di Israele sia sempre in vista, anche quando gli altri problemi, tanti altri problemi, parecchio più gravi, non lo sono. È un meccanismo di pubbliche relazioni. Bisognerebbe tener conto che, accanto alle vere, drammatiche e tante sofferenze dei palestinesi esiste un meccanismo di pubbliche relazioni che determina una tensione continua su fatti che non sono diversi, purtroppo, anzi sono comuni a tanti altri drammi che l'umanità sta vivendo. Abbiamo parlato di due o tre posti in Asia, ma non abbiamo parlato dell'Africa, dove almeno la metà di tutti i confini sono oggetto di contestazione, a volte violentissima, tra un Paese e l'altro, tra una minoranza e un'altra minoranza, tra una minoranza e un popolo che prevale. Di conseguenza, ci sono tutte le ragioni per credere che la situazione Israelo-palestinese non sia affatto unica, come vogliono farci credere. È una situazione umana molto diffusa, di cui vogliono farci credere che non sia risolvibile".
L'Isis come i nazisti, la strage di Srebrenica avvenuta durante la guerra in Bosnia Erzegovina, dove vennero uccisi migliaia di musulmani bosniaci, le fosse comuni che gridano vendetta, i campi di concentramento italiani come le foibe ai nostri confini nazionali: qual'è il suo pensiero in merito al perpetuarsi delle stragi dell'uomo sull'uomo?
"Purtroppo, il meccanismo delle stragi è di bassa intelligenza, ma d'intensa violenza. E trova ancora molto spazio nella gestione del conflitto politico. È una specie di demenza che percorre l'umanità, che l'ha percorsa attraverso i secoli e continua come una sorta di epidemia che, di tanto in tanto, sembra domata, ma poi riprende con furia a imperversare fra e contro gli esseri umani, fra e contro gli esseri più deboli. Qui c'è un'osservazione in più da fare: oltre all'orrore che si prova per questa cosa, oltre a questa sensazione di demenza che riesce a insinuarsi, a circolare ancora e a installarsi in alcune isole di potenza, in cui c'è il potere di compiere una strage, la strage viene compiuta e l'atto demente viene realizzato. Ma oltre a ciò, non si può non pensare al fatto che, mentre il numero degli esseri umani che vivono sulla Terra aumenta, l'adeguatezza di coloro che si candidano, o si offrono, o comunque finiscono per essere designati come comandanti, leader, capi di Stato, dirigenti, sta diventando un problema sempre più evidente e sempre più grave. Come se il vero 'talento' umano, che di certo non è diminuito, andasse altrove, o si tenesse lontano dalla gestione degli affari comuni. E governi 'miserabili' si trovano alla testa di Paesi importanti: basti pensare alla metà dell'Asia e alla metà dell'Africa e, perché no, non escludiamo l'Europa, che non avrà governi miserabili, ma non riesce più neanche ad averne di eccellenti. Prendiamo, per esempio, l'egoismo dei governi europei, nei confronti della questione immigrazione. Tutti, tranne forse solo l'Italia, in questo momento, anche perché costretta dal fatto di avere le coste, hanno dimostrato egoismo. L'egoismo, l'assenza e la cecità dei Paesi europei nei confronti di una realtà epocale, prima ancora di chiamarlo dramma, testimonia un'inadeguatezza paurosa, perché se è vero che Srebrenica è stata una strage, e se anche è vero che nel Medio Oriente, in questo momento, in nome dell'Isis si compiono massacri paurosi e spaventosi, l'Europa per anni interi ha tranquillamente assistito alla strage degli annegati nel Mediterraneo. E anche l'operazione 'Mare Nostrum', realizzata dall'Italia, è stata fatta molto tardi: molto tardi! Non sapremo mai il vero numero di annegati nel Mediterraneo degli ultimi dieci anni, in cui il flusso migratorio è cresciuto continuamente e coloro che hanno tentato di mettersi in salvo in Europa è continuamente aumentato. Si tratta di decine di migliaia di morti, un numero che equivale a una strage spaventosa. Di conseguenza, nel momento in cui diciamo "che orrore", anche giustamente, innanzi alle stragi dell'Isis e ci rendiamo conto della spaventosa rozzezza che si è insediata, della demenza che si impone nelle leadership di alcuni gruppi emergenti, non possiamo dimenticare che una certa demenza si aggira anche all'interno di governi e ambienti che a noi paiono lustri ed eleganti, poiché ben coperti da buone diplomazie. Per esempio, questa è l'Europa attuale, in cui tutti restano ciechi, totalmente ciechi, sia davanti alla persecuzione dei Rom, sia davanti all'abbandono degli immigrati, nonostante queste siano due stragi".
È nelle librerie l'opera a dialoghi 'Il paradosso del giorno della memoria', edito da Mimesis, ideato da Vittorio Pavoncello assemblando interviste di Furio Colombo e Athos De Luca rilasciate ai maggiori quotidiani e dispute - desunte da registrazioni - per arrivare alla proposta di legge sull'istituzione del Giorno della Memoria. Lei ritiene ci siano delle prospettive diverse, delle contraddizioni, delle problematiche legate all'istituzione del 27 gennaio? Nella presentazione del libro alla Festa democratica di Roma di quest'estate, lei ha anche accennato a un'altra data più incisiva, secondo lei: ce ne vuole parlare?"La mia data... Io ho fatto due proposte di legge: la prima l'ho ritirata su suggerimento di Tullia Zevi, che allora era presidente dell'Unione delle Comunità. Credo che sarebbe stata, per l'Italia e per gli italiani, molto importante: è quella del 16 ottobre, quando avvenne la razzia nel ghetto di Roma a portico d'Ottavia. Io volevo la data del 16 ottobre, perché il vero scopo della mia proposta di legge sul giorno della memoria era di stabilire, per legge, che la Shoah è stata anche un delitto italiano, avendo memoria anche personale, poiché c'ero, del come è nato e di come si sono affacciate le leggi razziali e di come sono state annunciate, di che cosa è avvenuto veramente nelle scuole, di che cosa è successo nella vita pubblica di allora, di che cosa è avvenuto nella vita degli italiani. Non potevo sopportare l'idea che si sia instaurato il mito della cattiveria tedesca e della bontà italiana. Tutto questo non toglie nulla ai tanti 'giusti' che hanno rischiato o dato la vita per salvare molti concittadini ebrei in Italia, anche se ciò è avvenuto anche in tanti altri Paesi. Si tratta di una questione che non dovrebbe essere dimenticata, perché altrimenti si altera la Storia. La Shoah aveva due pilastri: uno erano le leggi tedesche del regime tedesco nazista e l'altro erano le leggi italiane, il cosìddetto 'pacchetto' delle leggi razziali, che sarebbe più giusto chiamare razziste, dell'Italia. Leggi per la difesa della razza, che sono state votate all'unanimità da Camera e Senato italiani, che erano leggi italiane, che sono state applicate dagli italiani in tutta Italia, oppure dagli italiani per conto e successiva consegna dei prigionieri italiani ai tedeschi. L'idea che anche il cinema ha inculcato con una certa facilità che lo 'stivalone' delle SS fosse il vero protagonista della strage di ebrei in tutta Europa, dunque anche in Italia, mi sembrava giusto venisse rettificato da una non dimenticabile responsabilità dell'Italia. Perché ciò porta a una visione diversa della nostra Storia e pone fine alla retorica degli italiani così buoni rispetto a tutti gli altri".
Una robusta frangia culturale attende, sin dal 1975, la verità sull'omicidio di Pier Paolo Pasolini: lei che per l'ultima volta intervistò questo grandissimo intellettuale e poeta, che giustificazione si è dato su questo incombente silenzio che, da più parti, si vorrebbe squarciare?"No, io non parlerei di 'silenzio': anzi, direi che c'è sempre stata una fervida discussione. Io non ho l'impressione che le istituzioni si siano particolarmente impegnate a soffocare una possibile verità, perché ogni giudice è rimasto libero di indagare e avrebbe potuto farlo. E infatti sono state compiute delle indagini drammaticamente rivelatrici su molti aspetti della vita italiana, come per esempio quelli che stanno venendo alla luce con il processo di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia. Non c'è stato e non poteva esserci un soffocamento istituzionale di altre indagini. Il fatto è che, a coloro che credono nel delitto organizzato e premeditato, io dico che purtroppo chi l'ha compiuto, se questa è la tesi da accettare, lo ha fatto in modo così perfetto, rispetto ad altri delitti, da non nlasciare delle vere tracce identificabili con il passare degli anni. Di solito, il passare degli anni è favorevole al disvelamento di cose che nessuno ha voluto rivelare. Io, insieme ad alcuni dei più cari amici di Pasolini, come Enzo Siciliano, Alberto Moravia, Michelangelo Antonioni, la mattina stessa del delitto, all'alba, ci siamo recati sul posto. E con Dacia Maraini ci siamo detti: "E' impossibile andare al di là di questo". Ogni sospetto, ansietà e suggerimento è perfettamente possibile, ma altro non c'è. Tanto è vero che non c'è stato. C'è stato solamente l'intenso attivismo di Oriana Fallaci, che era tipico del suo appassionato stile di giornalismo. Ma a parte quello, purtroppo, mille ipotesi e nessun consolidamento possibile. Ed è sulla riva di questo fiume limaccioso che bisogna, purtroppo, fermarsi".
Una sua personale riflessione sul complotto politico e sulla Ragione di Stato?"Siamo un Paese così ricco di complotti politici e di ragioni di Stato che stiamo dicendo cose assolutamente non impossibili e non inimmaginabili, ma perfettamente immaginabili, o che, al momento, sono ancora immaginabili".
Abbiamo vissuto con estrema rabbia gli anni di piombo e l'omicidio di Aldo Moro, una destabilizzazione politica intentata che ha coinvolto uomini come Bettino Craxi e, a quanto pare, anche Silvio Berlusconi. Ancora oggi, da più parti, si attenta alla destabilizzazione dello Stato e al crollo del Governo Renzi: che idea ha lei dello Stato italiano? Cosa sta avvenendo in questo Paese?"La domanda è troppo grande e importante: io mi limiterei alla questione Moro, che certamente è stata di una gravità immensa e, su questa gravità, è calato un buio fitto, il più fitto di ogni altro delitto italiano, perché la personalità era di prima grandezza. E' stata giocata la vita, quindi anche la conoscenza e la capacità di dire e di fare, di un personaggio al vertice della vita politica italiana. Ed è stata cambiata e deviata la vita politica italiana per sempre. Quindi, il fatto è enorme. E su tale fatto enorme è calato un buio altrettanto grande, che ha impedito fino a oggi di poter sapere, per esempio, chi ha ucciso Aldo Moro: chi, quando e come. Diciamo che è il 'delitto-simbolo' di tutti i delitti rimasti oscuri".
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FURIO COLOMBO - Giornalista e scrittore, ha diviso la sua vita fra Italia e Stati Uniti. È giornalista e inviato speciale per molte testate. Ha diretto vari programmi culturali della Rai ed è autore di numerosi saggi e romanzi. Nel 1963 è tra i fondatori del Gruppo '63. All'inizio degli anni '70 partecipa alla fondazione del Dams di Bologna, dove insegna dal 1970 al 1975. Negli Stati Uniti è stato corrispondente de 'La Stampa' e de 'La Repubblica'. Ha scritto per il 'New York Times' e la 'New York Review of Books'. Già presidente della Fiat Usa, in tale veste ha insegnato giornalismo alla Columbia University, direttore dell'Istituto italiano di cultura. Direttore storico de 'l'Unità'.