“Può succedere. Può succedere che ti ammali seriamente e, quindi, fai un sacco di assenze. Può succedere che hai dei bambini piccoli e, quindi, ti prendi i congedi parentali. Può succedere che sei vicino alla pensione, sei stanco e fai fatica a stare al passo con il “nuovo che avanza”. Può succedere che non sei tanto brillante e, quindi, nonostante la buona volontà, non sei produttivo come chi è più svelto e intelligente di te. Può succedere che tu abbia anche altro da fare nella vita e quindi diserti le riunioni indette alle 18 di sera. Può succedere. E può succedere che nel posto dove lavori arrivi qualcuno che – per quello che sei o per la fase della vita che attraversi – ti considera un ‘ramo secco’. O che si fa semplicemente due conti e vede che a prendere al tuo posto uno/a più giovane o più disperato/a di te può risparmiare qualche soldo. E ti dà il benservito. Nessuna discriminazione, per carità: non ti vuole licenziare perché sei gay, perché sei iscritto al sindacato, perché sei mussulmano o hai la pelle nera. Non hai nemmeno commesso nessuna infrazione disciplinare. Ti vuole licenziare semplicemente perché pensa che gli convenga fare così. E perché ha il potere, tanto potere più di te. Perché è il padrone. A impedire che questo accada serve l’articolo 18”. Questo è il classico esempio di strumentalizzazione dell’opinione pubblica da parte del sindacato: mai letto nulla di più scontato, di più in malafede. Caro sindacato, ti diamo una notizia: quando si arriva a licenziare qualcuno, quasi mai è perché non ha fatto nulla, non è così semplice poterlo fare e se foste onesti lo ammettereste. Anni e anni di accordi e di relazioni industriali, ma poi la Cgil ha sempre e solo un modo per definire il datore di lavoro: il padrone! Ma vergognatevi.