Ci sono argomenti e situazioni in cui fornire dati è inutile e irrispettoso. La depressione e il suicidio sono tra questi. Siamo più disperati di ieri. E ieri lo eravamo meno dell'altroieri. Ma uccidersi resta sempre un'azione individuale, anche se coinvolge un universo intero e lo spegne, in un attimo. Ciò che accade da quando quel singolo universo decide di autoestinguersi a quando lo fa sul serio viene attribuito, da molti, a un ottenebramento della coscienza. Un gesto da egoisti. Uccidersi uguale a fregarsene degli altri, pensare solo a sé. Uccidersi come reato: è stato depenalizzato non molto tempo fa. Sulla morte di Robin Williams non pochi ci hanno provato a dire che si è comportato da bieco, da narcisista. Aveva una moglie che lo amava, denaro, figli, fama. Non riusciva a uscire dalla dipendenza dall'alcol, ma con tutti quei soldi peggio per lui, non avrà compiuto nemmeno quel minimo sforzo necessario anche a chi può permettersi le cliniche migliori. La spiegazione di tutto è la depressione, coperta buona per ogni temperatura. Ma anche qui: depresso perché? “Fossi stato io al posto suo”! E’ il commento standard di chi pensa che il mal di vivere si riduca al mancato possesso di questa o quella cosa. Ma la ricerca delle motivazioni funziona con un automatismo spietato, ottuso, e fuorviante, sempre. Antonin Artaud? Pazzia. Mario Stefani? Solitudine. Sylvia Plath, Saggo, Vladimir Majakovskij, Cesare Pavese? Amore non corrisposto. Walter Benjamin, Yukio Mishima, Stefan Zweig? Motivi politici. Invece, la scelta suicida è tanto di diverso, di più e di meno. E' uno stato d'animo non sopportabile, è assenza di prospettive e di futuro, è sentirsi inadeguati a vivere isolati, privi di legami profondi e autentici, stranieri in un mondo nemico. Per questo oggi la depressione è così diffusa e il numero di suicidi cresce: quando non si riceve più nutrimento dall'esterno, le energie piano piano si esauriscono e altrettanto la possibilità di trovare un qualche appiglio che ci faccia sentire il calore della vita, della comunità, dello stare insieme. E' il gelo. Devastante, perché paralizzante. Chi chiacchiera di "motivi" dovrebbe provare quella sensazione di vuoto, insensatezza e paura che ti prende al mattino appena sveglio e non ti abbandona mai, tanto che arrivi a pensare che sia il tuo normale "stato" e, quindi, tu sia un malato e insieme un colpevole, un reietto. Abbiano costruito una società su cui non abbiamo più alcun potere, siamo incarcerati in ritmi innaturali, non esiste più la capacità di immaginare un "altrove" diverso in cui rifugiarci, con la mente o anche realmente. E i rapporti sono superficiali e labili: conterà anche questo? No, ciò che apparentemente si ‘è’ e ciò che concretamente si ‘ha’ non c'entrano nulla. La giornalista e scrittrice Roberta Tatafiore lo spiegò in due righe, nel diario che tenne in vista del suicidio: “Vivo come se il mondo si fosse svuotato e io, unica sopravvisuta, lo percorressi in un viaggio ineluttabile”.
(articolo tratto da ‘il Garantista’ del 13 agosto 2014)