Il taglio delle Province, approvato in questi giorni su iniziativa del Governo, è poca roba. Se si pensa di risolvere con simili palliativi la paralisi istituzionale creata dalla sciagurata riforma del Titolo V - fatta in fretta e furia sull’onda di un momentaneo successo delle tematiche localiste - siamo ancora molto lontani da un decisionismo con possibili effetti concreti e positivi. Temiamo, anzi, che si stia perseguendo la strada di un riformismo puramente di facciata: impoverire il territorio di un riferimento istituzionale non è mai una buona soluzione. Lo è ancora meno se si toccano le Province, le quali sono gli enti che costano meno. In sostanza, tra tutto il personale da cacciare a pedate nel ‘fondoschiena’ che ci sarebbe nel Paese, Matteo Renzi ha scelto di imboccare la strada più remunerativa sotto il profilo della pura apparenza propagandista, quando la soppressione di tanti piccoli enti inutili e la rassegnazione dei loro compiti proprio alle Province avrebbe rappresentato un risparmio e un riordino di competenze assai più efficace. Non c’è niente da fare: questa classe politica continua a parlare una lingua diversa. Dispiace dover dare ragione, intorno a questo tipo di tematiche, al radicalismo di Beppe Grillo. Purtroppo, le cose stanno un po’ così. Gli errori si susseguono, ormai da decenni. Soprattutto da parte del centrosinistra, che si è lasciato intrappolare, sin dagli anni ’90, in una morsa che lo costringe a commettere errori su errori. Fu uno sbaglio il ‘pacchetto Treu’, che finì col precarizzare, sotto il profilo contrattuale, l’occupazione giovanile. E fu un errore la riforma del Titolo V della Costituzione. Almeno il centrodestra, quando va al Governo, non combina niente. E, paradossalmente, grossi danni non ne fa (a parte il vergognoso scudo fiscale del 2009). Detto in estrema sintesi, una parte della nostra classe politica, il centrodestra, a fini puramente elettoralistici cerca di aiutare la gente a non pagare le tasse e, sostanzialmente, a frodare il fisco. L’altra parte, ovvero il centrosinistra, al fine di legittimarsi sotto il profilo dell’alternanza politica bipartitica e maggioritaria continua a inanellare una serie di riforme squadernate e disorganiche, che deistituzionalizzano l’apparato pubblico. In più, ci sono i populismi devastanti e antieuropeisti che incombono, ingenerando ancor più confusione. Per la serie: un muto dice a un sordo: “Un cieco ci sta osservando…”. Nessuno riesce a trovare il ‘bandolo’ della matassa, che poi sarebbe proprio quello dell’orrenda consuetudine dei Partiti politici a gestire il potere secondo criteri feudali e clientelari. Non se ne esce: è inutile sperare che i cambiamenti che il Governo Renzi si è messo in testa di introdurre possano risultare decisivi. Era corretto porre un tetto agli stipendi dei parlamentari, invece di andare a restringere gli spazi di pluralismo. Ma da quest’orecchio, il simpatico premier fiorentino proprio non ci sente. E l’abolizione di ogni forma di finanziamento pubblico ci porterà a una Repubblica ancor più di ‘casta’, sostanzialmente basata sul censo e sulle capacità economiche dei soggetti e delle personalità in campo, come nei primissimi parlamenti post-unitari. Nessuno sembra voler ascoltare. E nessuno riesce a distaccarsi da un modo di introdurre riforme tendenti a portare solamente acqua al ‘mulino’ della propria parte politica, mentre invece le riforme costituzionali migliori sono quelle pensate con spirito imparziale, senza lasciarsi condizionare, nemmeno in minima parte, dai propri interessi di ‘bottega’. Mancano persino le chiavi interpretative giuridiche ‘dottrinarie’. Tutto risulta svincolato da ogni principio, da qualsiasi riferimento o criterio culturalmente elevato, ancorato a tradizioni effettive. I provvedimenti che vengono varati sono spesso scritti malissimo. E riflettono una logica ‘statica’: sono tutte ‘leggi-bilancio’, che fotografano una situazione, anziché ‘norme-programma’. Nessuno ha in mente un disegno preciso del Paese che intende costruire. E nessuno inquadra un obiettivo di lunga lena da raggiungere. Si vuole abolire il Senato e non si spiega minimamente cosa diamine dovrebbe fare, in futuro, questa istituzione. Saranno importanti le diverse tipologie e funzioni di indirizzo di un organo dello Stato? O no? Non si approfondisce nulla: si parla sempre e solamente di ‘aria fritta’, attraverso dibattiti depistanti, in cui i parlamentari non rispondono nemmeno alle domande che vengono loro poste e continuano a declamare la propria ‘pappardella’ imparata a memoria. Anche su questo Grillo ha avuto ragione: il Pd non è altro che “un Pd meno elle”, l’altra faccia del vuoto propagandismo di Forza Italia.
Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it