Il ragazzo studia all’università, ha già sostenuto tutti gli esami del semestre, domani compie 20 anni e ha deciso che si tatuerà la spalla e parte del corpo. Torna a casa e la tragedia esplode: “Prima l’orecchino, adesso il tatuaggio: chi ti assumerà al lavoro? Nemmeno se porti la camicia, nemmeno se metti il collo alto: quella cosa lì si vedrà, sempre”. La madre non riesce a capire che lui se lo è fatto proprio perché si veda. La madre non riesce a capire che tra un 30 e lode sui libri e un tatuaggio sul collo c’è una voglia di mostrarsi, che è diversa da quella di una mamma che sceglie il jeans firmato ma discreto, la scarpa “volutamente consumata” che però costa il doppio di quella nuova. Vivere fuori mi ha aiutata a uscire da certi tabù (e sì che ero già predisposta…). Così, mi è capitato di avere a che fare col bancario ‘rasta’ e l’orecchino sul naso, col poliziotto tatuato sul collo e sì, con la commessa del negozio di Ralph Lauren che, in burqa totale, nero più nero della pece, si avvicina e mi chiede: “Do you need help”? Paradosso? Forse. Col senno di poi, ho imparato a vivere nella convinzione che l’abito non faccia il ‘monaco’, ma le persone sì, che fanno la differenza.
(nota tratta dal sito www.pesaroprima.it)