Alessandro BertirottiNella nostra specie, primati umani terricoli, a differenza dei nostri cugini, i primati non umani arboricoli, ossia gli scimpanzé, il funzionamento del cervello è direttamente connesso con la formazione della coscienza. Anche se non sappiamo con certezza se gli scimpanzé possiedono un diverso livello eventuale di coscienza, siamo però certi che nell’Uomo la coscienza è legata all’espressione di una capacità cognitiva fondamentale: l’attenzione. In sostanza, essere coscienti significa essere nelle condizioni mentali di porre attenzione a quello che si fa e si dice. Ecco perché un altro significato del termine coscienza è quello legato alla dimensione morale ed etica del termine, per cui una persona che ha coscienza nelle cose è anche la persona in grado di adeguarsi a quei comportamenti giudicati moralmente legittimi. Per questi motivi, ogni volta che parliamo di sessualità, comportamenti sessuali, bisogni relazionali, affetti e sentimenti, a partire da queste definizioni esercitiamo la coscienza, applicandola a considerazioni e azioni che hanno a che fare con questi concetti. In sostanza, non vi è nulla, se lo vogliamo davvero, in quello che facciamo e diciamo, che non passi attraverso il vaglio della coscienza. Anche quando esercitiamo azioni automatiche, come quella del camminare, abbiamo imparato, a suo tempo, a esercitare tutta la coscienza necessaria per farlo, ponendo attenzione ai singoli movimenti che le gambe avrebbero dovuto fare per stare in piedi e muoverci. Sulla base di questi ragionamenti preliminari, si capisce perché negli esseri umani anche la dimensione sessuale, ossia tutto quello che concerne il bisogno fisiologico di incontrare il corpo dell’altro individuo, è soggetta alla coscienza, ossia all’attenzione della mente. Sarà proprio essa, la mente, a cercare di delimitare, con il linguaggio oppure con qualsiasi altro codice, le azioni legate alla sessualità, proprio per poterle distinguere rispetto ad altre azioni che seguono lo stesso bisogno (ossia quello di attaccamento) ma possono esprimersi al di fuori di comportamenti sessuali. Per esempio, è possibile avere un rapporto sessuale con una persona, senza per questo entrare in intimità con lei proprio come accade nel caso della prostituzione (sempre che chi si prostituisce desideri non entrare in intimità, perché, altrimenti, anche in questo caso è possibile. Se non lo fosse in assoluto, non avremo le situazioni in cui molte prostitute abbandonano la loro professione perché si sono innamorate di un cliente e il cliente di loro…). L’esercizio della coscienza è un atto cognitivo individuale che accomuna però tutti gli uomini e, per questo motivo, è vissuto anche nella sua dimensione culturale, nel senso che ognuno di noi è convinto che tutti gli individui siano coscienti delle loro azioni e di ciò che dicono, attribuendo agli altri i contenuti della propria coscienza. È proprio in questo processo di attribuzione dal personale al sociale, che si formano i comportamenti delle persone. Ma non è così semplice. In effetti, è vero anche il contrario, ossia il passaggio attraverso cui l’osservazione del comportamento altrui determina la convinzione di dover adottare, nel proprio privato, il comportamento osservato. Se non fosse così, non servirebbe a nulla fare pubblicità perché, pur osservando coloro che ci dicono di comprare un prodotto, oppure nella finzione scenica recitano la compravendita, nessuno di noi sarebbe invogliato a fare la stessa cosa. In altri termini, siamo una specie in cui gli individui si imitano a vicenda, nelle azioni e nei pensieri che precedono le azioni stesse. In sintesi, ogni essere umano, anche nelle proprie azioni sessuali, che si traducono in comportamenti sessuali privati e pubblici, si trova a porre attenzione al modo in cui esprimerli, in base alle proprie esigenze personali e quelle della società umana nella quale è inserito. Ogni azione umana non è mai totalmente personale, come non è mai totalmente sociale, e la nostra mente deve mediare continuamente fra queste due dimensioni dell’esistere, pena una alterazione del proprio stato di coscienza. Il nostro cervello ricerca continuamente il piacere, ossia una situazione in cui gli sforzi necessari per stare in vita e pensare al futuro raggiungano una loro gratificazione, grazie alla quale riusciamo a sopportare e giustificare la fatica che le sfide dell’esistenza ci impongono quotidianamente. Quando questo piacere non viene raggiunto, il nostro cervello cerca in tutti modi possibili di attuare strategie alternative di soddisfacimento biologico, attivando una serie di azioni che spesso si trovano al limite del benessere stesso. Non si dimentichi, a questo proposito, che il cervello non distingue il nocivo dall’innocuo, ma solo il ‘piacere’ dal ‘non piacere’: se così non fosse avremmo già risolto da molto tempo il problema della dipendenza dall’alcool e dalle droghe d’abuso. Anche nei confronti della sessualità si può essere dipendenti (nel DSM-5 viene confermata la sex adiction, ossia la dipendenza dal sesso) e diventa dunque sempre più necessario studiare attentamente anche questo tipo di comportamenti che subiscono, come in tutte le cose umane, la loro evoluzione, in base ai singoli individui e agli atteggiamenti della cultura. La prostituzione nasce nella nostra specie come necessità inderogabile, messa a punto dalla femmina umana, di poter alimentare la prole donando piacere sessuale a quel maschio che, rientrando dalla caccia, porta le prede e le distribuisce nel gruppo a sua discrezione (prostituzione alimentare - Chiarelli B., 2003, Dalla natura alla cultura. Principi di Antropologia Biologica e Culturale, Piccin Edizioni, vol II., Padova). Quando la nostra specie si è evoluta al punto tale da formare delle famiglie, o gruppi stabili di maschi e femmine, la sessualità è diventata l’insieme di quelle azioni che dimostrano un legame fisiologico, oppure sentimentale-affettivo, verso un’altra persona. Questo legame, di qualsiasi tipo esso sia, esige la regolamentazione del gruppo sociale all’interno del quale si verifica, con la creazione di un perimetro di azioni all’interno del quale diventa possibile e legittimo comportarsi. Ecco perché anche il comportamento prostituivo deve avere una regolamentazione nella società e, di fatto, è regolamentato anche in assenza di regole scritte: in effetti, una situazione in cui non esistono regole di comportamento finisce per essere gestita come fosse in presenza di una regola generale: nessuna regola, ossia anarchia. E l’anarchia è uno stadio assai primitivo della nostra condizione umana, abbandonato quasi subito a vantaggio di una organizzazione più produttiva e coesa delle relazioni umane ed economiche fra le persone. Una forma di piacere presente nell’Uomo è l’esercizio del potere, anche violento, da esercitare nei confronti della realtà, e dunque anche nei confronti delle persone. Un certo grado di violenza positiva, intesa come capacità di aggredire l’esterno di se stessi, come il proprio interno, è decisamente utile. Si pensi a quanto sia importante percepire il proprio futuro tanto come un rischio quanto come la possibilità di sfidare tale rischio per ottenere, con autodeterminazione, il raggiungimento dei propri scopi. In questi atti, adottiamo condotte spesso aggressive, con le quali siamo persino disposti a compromettere affetti e legami molto importanti per il nostro benessere mentale. Eppure, i modelli di riferimento, come il nostro sistema del piacere, ci inducono a comportamenti che in altre situazioni, certamente, non adotteremmo. Considerata in questi termini, anche la prostituzione può essere uno strumento aggressivo di dominio che viene esercitato nei confronti di quelle femmine umane che si trovano nella condizione, sia essa mentale che fisica, di dipendenza, spesso totale,dall’altro. In conclusione, per regolamentare qualsiasi comportamento umano, come avviene per le situazioni pubbliche specialmente del sociale (ma che si ripercuotono anche nel privato dei singoli) esiste tanto la coscienza, intesa come forma mentale di esercizio dell’attenzione, quanto il giudizio sociale che il comportamento umano subisce quando si manifesta pubblicamente. Forme di schiavitù sono esistite in passato ed esistono tutt’oggi nel mondo umano, perché la violenza e la sottomissione sono espressioni di un godimento mentale che fa sentire l’Uomo onnipotente. Egli, infatti, aspira all’onnipotenza, ma sa anche che non potrà mai raggiungerla, pena la sua disumanità. Ecco perché una educazione all’esercizio del piacere, permettendo alle persone di conoscere con attenzione i propri desideri sessuali (come coloro che esercitano la prostituzione e coloro che invece la frequentano), può derivare da una regolamentazione, grazie alla quale si prende coscienza delle azioni che si fanno, dei comportamenti che si possono e si devono attuare per non ridursi in schiavitù, e per non indurre se stessi ed altri a schiavizzare i propri simili. Le regole servono perché ci aiutano a prendere coscienza dei nostri comportamenti.

Considerazioni scientifiche
Il ddl S. 1201 si fonda su due macro-ragioni nel contempo scientifiche e antropologiche:
1. La sessualità umana è strettamente legata al funzionamento del cervello e dunque della mente;
2. Nella nostra specie i comportamenti sessuali contengono una commistione evolutivamente necessaria fra il biologico e il culturale, per cui non è possibile separare nettamente il comportamento che segue dettami fisiologici da quello che segue modelli culturali (Philippa Foot, 2007, La natura del bene, Il Mulino Editore, Bologna).
3. Il piacere è anche violento: in questi casi la sua espressione va educata/incanalata culturalmente. Ogni forma di repressione alimenta il piacere del proibito e della violenza.

In relazione al primo punto:
* la sessualità è una espressione biologicamente determinata, e soggetta a cambiamenti comportamentali continui. Questi cambiamenti comportamentali sono il risultato di due fattori temporali:
a) L’evoluzione della specie Homo Sapiens sapiens.
b) L’evoluzione dei sistemi socio-culturali nei quali l’Homo stesso viene a definirsi.
* La sessualità in quanto tale si pone come fine la ricerca del piacere orgasmico e relazionale, secondo priorità determinate dalla storia biografica personale unitamente a quella culturale sociale nella quale ogni individuo è inserito.

In relazione al secondo punto:
* Il sistema della cultura, qualsiasi sistema, ossia qualsiasi espressione culturale, tende a organizzare i comportamenti dei propri membri secondo criteri di approvazione e disapprovazione morale, gestendo, all’interno degli stessi, le priorità che ritiene contingenti e importanti. In questo caso, la regolamentazione di comportamenti sessuali legati alla mercificazione del proprio corpo e del piacere, scardina tutte quelle forme di violenza organizzata che traggono forza dalla debolezza di una società che non si occupa della tutela di tutti i propri cittadini. Anche chi esercita la prostituzione e coloro che la alimentano come clienti sono cittadini di uno Stato e devono essere per questo, tutelati.

In relazione al terzo punto:
* Ogni società umana tende, per quanto è possibile, a compiere gli sforzi necessari perché i propri membri vivano un’esistenza serena e soddisfacente, perché tali condizioni permettono la sopravvivenza della società stessa. Per questo motivo, antropologicamente fondato, ogni società tende a limitare le forme di violenza al proprio interno, di qualsiasi natura esse siano. Questa limitazione rafforza l’identità del gruppo di appartenenza.

Conclusioni
L’amore si impara, come si imparano i comportamenti sessuali. Nella nostra specie, a differenza degli altri ominidi non umani, il sistema della cultura, attraverso l’educazione, gioca un ruolo determinante nella formazione e formulazione di modelli comportamentali di riferimento a lungo termine.




Docente universitario di Antropologia e Scienze cognitive
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