Il messaggio alle Camere del presidente della Repubblica trasmesso alle stesse il 7 ottobre 2013 ha opportunamente sollecitato il parlamento a intervenire in tempi rapidi sullo stato di degrado della condizione carceraria italiana, anche per consentire all’Italia di adempiere entro i termini assegnati al disposto della sentenza Torregiani c. Italia dell'8 gennaio 2013 emessa all’unanimità dalla Corte europea dei Diritti umani di Strasburgo. Tra le diverse strade ipotizzate nel messaggio, motivi di coerenza politica e culturale, rispetto ai principi della certezza del diritto e della pena e ragioni di urgenza inducono a scegliere la strada di un provvedimento legislativo che innovi i criteri della privazione della libertà inframuraria, sia nella fase che precede il giudizio, sia nelle fasi successive del processo. In proposito, si considerino innanzitutto i dati statistici carcerari disponibili con riferimento agli ultimi due anni: sui circa 66 mila detenuti rispetto a una capienza carceraria di circa 48 mila posti disponibili (nel 2011 una percentuale superiore al 140%, il secondo sovraffollamento in Europa), solo 38.388 sono stati oggetto di una condanna definitiva, mentre ben 13.847 non sono stati ancora giudicati, altri 9 mila circa sono stati condannati solo in primo grado e altri 5 mila circa anche in secondo. Va anche rilevato, che secondo i dati Eurostat nel 2009-2010, nei grandi Tribunali metropolitani la percentuale dei non condannati in via definitiva giungeva al 66%. Dunque in questi casi due terzi della popolazione carceraria era in attesa di giudizio. Sono dati che descrivono una situazione di fatto che appare incompatibile con i principi costituzionali in materia di tutela della libertà personale desumibili dal vigente quadro costituzionale - il riferimento è ovviamente in particolare all'articolo 27 della Costituzione - che, al di là di ogni possibile dubbio, configurano la privazione della libertà personale in assenza di una sentenza di condanna come un evento eccezionale. Dunque, ferme restando altre diverse esigenze di miglioramenti legislativi in campo penale e in materia carceraria, al fine di adempiere nell’immediato alla citata sentenza della Corte di Strasburgo è risolutivo riportare la detenzione cautelare in carcere nell’alveo tracciato dai principi costituzionali, salvo il caso di particolari imputazioni e situazioni processuali, rafforzando l’istituto degli arresti domiciliari che, in tema di misure di privazione della libertà personale prima della sentenza, deve divenire la regola al posto della custodia in carcere. E’ così indifferibile un provvedimento di modifica delle norme in tema di custodia cautelare per il futuro e di correlato adeguamento della situazione esistente: esso, oltre a dare attuazione ai richiamati principi costituzionali, permetterebbe anche di riportare e di mantenere il numero dei detenuti in carcere sotto la soglia di capienza dei rispettivi edifici, senza intaccare il principio di legalità, senza costi finanziari rilevanti e senza nemmeno perdere ulteriore tempo. Nella medesima direzione sembrano del resto collocarsi - pur nel rispetto delle prerogative costituzionali del Parlamento - le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella recente sentenza n. 279 del 2013. Chiamata a pronunciarsi su due questioni di legittimità costituzionale aventi ad oggetto l’articolo 147 del codice penale
"nella parte in cui non prevede, oltre ai casi ivi espressamente contemplati, l’ipotesi di rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena quando essa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità" a causa della situazione di sovraffollamento delle strutture detentive, la Corte - dopo aver richiamato la già citata sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo Torregiani c. Italia dell'8 gennaio 2013 - ha rilevato, tra l'altro, che dai
"dati statistici... emerge un fenomeno che, pur con intensità diverse, sta investendo da tempo il sistema penitenziario italiano e ha determinato una situazione che non può protrarsi, data l’attitudine del sovraffollamento carcerario a pregiudicare i connotati costituzionalmente inderogabili dell’esecuzione penale e ad incidere, comprimendolo, sul 'residuo' irriducibile della libertà personale del detenuto, gli uni e l’altro espressione del principio personalistico posto a fondamento della Costituzione repubblicana... Il sovraffollamento però non può essere contrastato con lo strumento indicato dai rimettenti, che, se pure potesse riuscire a determinare una sensibile diminuzione del numero delle persone recluse in carcere, giungerebbe a questo risultato in modo casuale, determinando disparità di trattamento tra i detenuti, i quali si vedrebbero o no differire l’esecuzione della pena in mancanza di un criterio idoneo a selezionare chi debba ottenere il rinvio dell’esecuzione fino al raggiungimento del numero dei reclusi compatibile con lo stato delle strutture carcerarie... Fermo rimanendo che non spetta a questa Corte individuare gli indirizzi di politica criminale idonei a superare il problema strutturale e sistemico del sovraffollamento carcerario, non ci si può esimere dal ricordare le indicazioni offerte al riguardo dalla citata sentenza Torregiani laddove richiama le raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa, che invitano al più ampio ricorso possibile alle misure alternative alla detenzione e al riorientamento della politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione, oltre che a una forte riduzione della custodia cautelare in carcere...". Senza soffermarsi sugli ulteriori rilievi contenuti nella citata sentenza - la maggior parte dei quali attinenti a problematiche di ordinamento penitenziario qui non immediatamente rilevanti, è però comunque il caso di ricordare come la Corte - pur dichiarando nel caso di specie inammissibili le questioni di legittimità sollevate in considerazione della pluralità delle soluzioni legislative ipotizzabili e quindi per dar modo al legislatore di valutare lo strumento normativo occorrente per impedire che si protragga un trattamento detentivo contrario al senso di umanità - ha espressamente affermato
"come non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia". In un simile quadro, l'intervento sulle caratteristiche della cautela cautelare in carcere e sulle sue procedure è una condizione necessaria per rendere la legislazione italiana più attenta alla questioni di libertà del cittadino ma non è sufficiente per influire subito sulle cause del sovraffollamento carcerario (al più verrebbero rilasciati circa 4.500 detenuti). Né il ricorso all'amnistia e all'indulto appare oggi adeguato a risolvere questo ultimo problema: oltre che intaccare, sotto profili diversi, l'importante rispetto della pena irrogata, le procedure dell’amnistia e dell'indulto non sono semplici, richiedendo per Costituzione il voto di 2/3 dei Parlamentari nelle due Camere. Per tutto ciò, con il presente disegno di legge si propone un provvedimento che, da un lato, innova profondamente i criteri di privazione della libertà sia nella fase precedente il giudizio sia nelle fasi successive del processo, e dall’altro abbatte con una normale procedura legislativa il numero dei detenuti liberando quelli non condannati (tenendo presente che liberare i detenuti non condannati, è cosa ben diversa dal ridurre la pena per reati già sanzionati dal processo come avverrebbe con l’amnistia e soprattutto con l'indulto). Complessivamente un provvedimento di questo tipo, mediante criteri coerenti e realistici, schiera la Repubblica davvero dalla parte dei cittadini ed evita all'Italia una pesante multa, oltretutto ricorrente, altrimenti inevitabile. Il presente disegno di legge è stato elaborato avvalendosi, in particolare, del lavoro compiuto dall’area politica liberale, Federazione dei liberali affiliata all’Internazionale liberale, Liberali italiani e Nuovo Pli. L’articolo 1 modifica l’articolo 274 del codice di procedura penale nella lettera b) aumentando a cinque anni la pena di riferimento e nella lettera c) apportando alcune modifiche alla disciplina delle condizioni da rispettare per poter disporre le misure cautelari nei casi previsti da tale lettera. L’articolo 2 modifica l’articolo 275 del codice di procedura penale sostituendo il comma 3. Va evidenziato come tali modifiche riprendano, salvo alcune limitate differenze, la riformulazione proposta per il predetto comma 3 dell'Atto Camera n. 631 e abbinati-A in questo momento all'esame dell'altro ramo del Parlamento. Tale riformulazione è volta ad adeguare la previsione di cui al comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale alle sentenze nn. 265/2010, 164 e 231/2011, 110/2012, 57, 213 e 232/2013 della Corte costituzionale. Tali sentenze hanno dichiarato la parziale incostituzionalità della vigente formulazione dell'articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo, in quanto - nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ad una serie specifica di gravi reati è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Con riferimento peraltro alla fattispecie di associazione a delinquere di stampo mafioso di cui all'articolo 416-bis del codice penale si ricorda che, con la sentenza 57/2013, la stessa Corte costituzionale ha evidenziato che, una volta riconosciuta la perdurante pericolosità dell'indagato o dell'imputato del delitto previsto dal citato articolo 416-bis è legittimo presumere che solo la custodia in carcere sia idonea a contrastarla efficacemente. L'articolo 3 sostituisce invece i commi 2 e 3 dell’articolo 280 del codice di procedura penale introducendo un limite specifico pari a quattro anni per le misure di custodia cautelare diverse dalla custodia cautelare in carcere ed elevando dagli attuali cinque anni ad otto anni il limite per l'applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere. L’articolo 4 sostituisce il comma 1-bis dell’articolo 284 del codice di procedura penale, aggiungendo in particolare la previsione secondo cui la misura degli arresti domiciliari non può essere concessa qualora l'imputato coabiti con la persona offesa dal reato, salvo che lo stesso abbia a disposizione, in via diretta ovvero indiretta, un’altra abitazione, ed ivi dimori nel periodo di sottoposizione alla misura la misura. L'articolo 5 interviene sull'articolo 291 del codice di procedura penale disponendo che il pubblico ministero, nel formulare la richiesta di applicazione della misura cautelare, debba presentare al giudice competente tutti gli atti acquisiti (attualmente il pubblico ministero deve presentare solo gli atti su cui la richiesta si fonda, nonché tutti gli elementi a favore dell'imputato, gli uni e gli altri peraltro selezionati sempre dallo stesso pubblico ministero). L’articolo 6 modifica l'articolo 303 del codice di procedura penale sia ridefinendo la scadenza e la decorrenza di alcuni termini di fase, sia riducendo i limiti massimi di durata della custodia cautelare. L’articolo 7 modifica l’articolo 304 del codice di procedura penale per restringere i casi in cui può essere concessa la sospensione dei termini di custodia cautelare. L'articolo 8 contiene alcuni interventi di coordinamento in ordine ai casi in cui la misura cautelare viene disposta in sede di udienza di convalida dell'arresto in flagranza ai sensi dell'articolo 391, comma 5, del codice di procedura penale. L’articolo 9 contiene infine alcune disposizioni di carattere transitorio per corrispondere alle indicazioni della citata sentenza della Corte di Strasburgo dell’8 gennaio 2013.
Art. 1
1. All'articolo 274 del codice di procedura penale sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera b) è sostituita dalla seguente: "b) quando l'imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga, quando si procede in relazione a delitti per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede;";
b) la lettera c) è sostituita dalla seguente: "c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, la custodia cautelare in carcere è disposta soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo nel massimo a cinque anni. La custodia cautelate in carcere è in ogni caso applicabile ove il giudice non possa concedere gli arresti domiciliari per l’assenza di un’idonea privata dimora, o per una delle ragioni indicate nell’articolo 284 comma 5-bis ovvero per la mancanza degli strumenti tecnici indicati nell'articolo 275-bis. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede".
Art. 2
1. All'articolo 275 del codice di procedura penale il comma 3 è sostituito dal seguente: "La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del presente codice, nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti dagli stessi contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure".
Art. 3
1. All'articolo 280 del codice di procedura penale i commi 2 e 3 sono sostituiti dai seguenti:
"2. La custodia cautelare può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. 3. La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a otto anni.
4. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 non si applicano nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare".
Art. 4
All'articolo 284 del codice di procedura penale il comma 1-bis è sostituito dal seguente: "1-bis. Il giudice stabilisce il luogo degli arresti domiciliari in modo da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato. Tale misura non può essere concessa qualora l'imputato coabiti con la persona offesa dal reato, salvo che lo stesso abbia a disposizione, in via diretta ovvero indiretta, un’altra abitazione, ed ivi dimori nel periodo di sottoposizione alla misura.".
Art. 5
1. All'articolo 291 del codice di procedura penale il comma 1 è sostituito dal seguente: "1. Le misure sono disposte su richiesta del pubblico ministero che presenta al giudice competente, a pena di nullità rilevabile anche d'ufficio, tutti gli atti acquisiti, nonché le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate.".
Art. 6
1. All'articolo 303 del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 1, alla lettera a), le parole "senza che sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o l'ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato ai sensi dell'articolo 438" sono sostituite con le parole "senza che sia stata celebrata la prima udienza del processo";
b) al comma 1, alla lettera b), le parole “dall'emissione del provvedimento che dispone il giudizio o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia" sono sostituite con le parole "dalla celebrazione della prima udienza del processo";
c) al comma 1, alla lettera b-bis), le parole “dall'emissione dell'ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato o dalla sopravvenuta esecuzione della custodia” sono sostituite con le parole "dalla celebrazione della prima udienza del processo";
d) il comma 4 è sostituito dal seguente: "4. La durata complessiva della custodia cautelare, considerate anche le proroghe previste dall'articolo 305, non può superare i seguenti termini:
a) diciotto mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a sei anni;
b) tre anni, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore nel massimo a venti anni, salvo quanto previsto dalla lettera a);
c) quattro anni e sei mesi, quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni".".
Art. 7
1. All'articolo 304 del codice di procedura penale il comma 2 è sostituito dal seguente: "I termini previsti dall'articolo 303 possono essere altresì sospesi quando si procede per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), durante il tempo in cui sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni, esclusivamente nel caso di dibattimenti o di giudizi abbreviati particolarmente complessi per numero di imputati, nonché per qualità e quantità delle imputazioni, con esclusione di ragioni di ordine organizzativo afferenti l’ordinamento e le strutture giudiziarie, nonché di ragioni inerenti la contemporanea pendenza di ulteriori processi di pari complessità.".
Art. 8
1. All'articolo 391 del codice di procedura penale, al comma 5, il secondo periodo è sostituito dal seguente : " Quando l'arresto è stato eseguito per uno dei delitti indicati nell'articolo 381, ovvero per uno dei delitti per i quali è consentito anche fuori dai casi di flagranza, l'applicazione della misura è disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dagli articoli 274, comma 1, lettere b) e c), e 280.".
Art. 9
1. I detenuti nei confronti dei quali non è ancora intervenuta sentenza definitiva di condanna e ai quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, non sia applicata la custodia cautelare in carcere per i delitti indicati nel secondo e nel terzo periodo del comma 3 dell'articolo 275 del codice di procedura penale, come sostituito dall'articolo 2 della presente legge:
a) qualora nei loro confronti, in relazione al procedimento per cui si trovano in stato di custodia cautelare in carcere, non sia intervenuta sentenza di condanna di primo grado, vengono posti in libertà dal giudice, sentiti il pubblico ministero e la difesa, con provvedimento da emanarsi entro quindici giorni, salva la facoltà per il giudice di applicare le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti;
b) qualora nei loro confronti, in relazione al procedimento per cui si trovano in stato di custodia cautelare in carcere, sia intervenuta sentenza di condanna di primo grado, vengono posti in libertà dal giudice, sentiti il pubblico ministero e la difesa, con provvedimento da emanarsi entro trenta giorni, salva la facoltà per il giudice di applicare le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti;
c) qualora nei loro confronti, in relazione al procedimento per cui si trovano in stato di custodia cautelare in carcere, sia intervenuta sentenza di condanna di secondo grado, vengono posti in libertà dal giudice, sentiti il pubblico ministero e la difesa, con provvedimento da emanarsi entro quaranta giorni, salva la facoltà per il giudice di applicare le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti;
2. Ai soggetti di cui al comma 1 non è applicabile la custodia cautelare in carcere per i medesimi reati per cui erano sottoposti a procedimento penale, salvo emergano per quegli stessi reati nuove circostanze prima del tutto ignote che aggravano il reato o modificano il titolo di reato; in tal caso, si applicano le disposizioni della presente legge e, nel calcolo dei termini di durata della custodia cautelare, devono essere compresi i periodi di tempo per i quali il soggetto era già in precedenza stato sottoposto alla stessa.
Parlamentari del Senato della Repubblica del Nuovo Centrodestra (Ncd) e del Partito democratico (Pd)