La deriva che hanno assunto i parlamentari del Movimento 5 stelle è quella della vuota protesta estremistica, un modo di fare opposizione privo di ogni strategia che produce disegni di legge generalmente utopici e poco originali, figli di una sottocultura puramente contestataria. Ignoranza, maleducazione, interpretazione malevola di ogni realtà contraria alla propria visione, una retorica congiunta a una totalmente supposta superiorità della democrazia diretta in quanto forma di governo: queste le caratteristiche politiche direttamente o indirettamente trasmesse sin qui. La democrazia diretta, tra l’altro, rappresenta un’alternativa storicamente percorribile solo per Paesi di piccole dimensioni, caratterizzati da una popolazione poco numerosa, suddivisibile in realtà territoriali di contea o ‘cantonali’, come nel caso della Svizzera. Ma per un popolo di 60 milioni di abitanti come l’Italia, ipotizzare un assemblearismo ‘rousseauiano’ di tal genere, finalizzato a superare il principio di rappresentanza, assume i contorni di una concezione totalmente ‘piatta’ della democrazia, che viceversa è il sistema che più di ogni altro riconosce la diversità delle idee, delle opinioni, delle distinte realtà sociali. La visione dei ‘pentastellati’ appare dunque figlia di quell’ideologia utopica e assolutista che ha generato, nella Storia, solamente burocrazie tanto inutili quanto inefficaci: il principio anarchico della rivoluzione, se non è in grado di delineare un disegno preciso di trasformazione della società, finisce col generare solamente dissesti e disavventure ancora peggiori dei regimi che ha abbattuto o che cerca di combattere. E’ esattamente questo il problema che stanno incontrando alcuni Paesi protagonisti, negli anni più recenti, delle cosiddette ‘primavere arabe’, Egitto e Libia in particolare. L’irresponsabilità irrazionalista del populismo, congiunta a una vaga concezione di autogestione della società che teorizza come inutili le sovrastrutture istituzionali e di rappresentanza democratica, non realizza alcun sogno, bensì materializza gli incubi peggiori di instabilità regressiva. Nella Jugoslavia ‘titina’ della fine degli anni ’60 venne tentato un esperimento di autogestione delle fabbriche e della produzione industriale: una sorta di dittatura delle maestranze tesa a dimostrare la validità socioeconomica di fondo del marxismo. Ne derivò non soltanto una sostanziale gerarchia ‘alla rovescia’, in cui ogni operaio finiva col ‘delegare’ ogni problematica decisionale e ogni responsabilità personale in favore di un centro manageriale fortemente burocratizzato - che si ritrovò impossibilitato, ovviamente, a risolvere le molteplici questioni che venivano a crearsi all’interno dei singoli stabilimenti - ma ogni velleità programmatica e qualsiasi forma di pianificazione dell’attività produttiva risultò completamente disattesa. Scarsi furono gli obiettivi che si riuscirono a raggiungere. E la qualità del prodotto ‘finito’ risentì di una ‘piattezza’, di un’uniformità ‘primitiva’ - che oggi probabilmente definiremmo ‘vintage style’ - la quale obbligò i gusti personali dei consumatori a un’omologazione forzata, perdendo per strada ogni genere e tipo di originalità, di ingegnosità, di brillantezza individuale. In buona sostanza, il marxismo, in quanto dottrina economica, pur se applicato nelle sue formulazioni più umanizzate e libertarie, risultò solamente una sorta di convergenza ‘stilistica’ con il primitivo preistorico: uno storicismo esasperato e inattuale, che espelle la creatività del singolo individuo dall’intero processo produttivo, oltreché da ogni equazione socioeconomica. Alla fine, in Jugoslavia fu dimostrato come il dominio delle maestranze generasse una produzione scarsamente differenziata, poco competitiva sui mercati, obsoleta rispetto all’altissimo grado tecnologico raggiunto dalle merci prodotte nelle industrie giapponesi e americane. E’ questo il principale pericolo che si nasconde nella visione tardo-ideologica espressa dal Movimento 5 stelle: dietro ad alcuni presupposti libertari di origine anarchica, in realtà si celano conseguenze devastanti sotto il profilo della selettività individuale e collettiva. Negli anni della contestazione del ’68, il sistema democratico italiano riuscì, tutto sommato, a controllare molte derive negative di questo genere di proteste ideologiche fini a se stesse, selezionando nel tempo quei singoli soggetti che, muovendosi all’interno del movimento studentesco, avevano dimostrato pregevoli qualità personali e innovativi punti di vista professionali e morali. Tra i parlamentari a ‘5 stelle’ non c’è nemmeno questo: a parte qualche capacità di sintesi individuale, come per esempio quella della senatrice Paola Taverna, il resto del movimento è composto da soggetti impresentabili, che si propongono in maniera arrogante e spocchiosa in quanto unici ed esclusivi portatori di etica civile e moralità sociale. Ogni giudizio nei confronti delle parti avverse è negativo: gli altri sbagliano sempre tutto, poiché il movimento ritiene di difendere un’unica, assoluta e ‘cattolicissima’ verità. E’ una forma di ideologia vera, che può affascinare solamente qualche nostalgico degli anni ’70 e della disastrosa visione di un mondo diviso esattamente a metà. Uno schematismo semplicistico, uguale e contrario rispetto all’assolutismo aziendalista espresso da Silvio Berlusconi e dai suoi ‘adepti’. Forme di sintesi capaci solamente di generare slogan propagandistici, che utilizzano le parole come ‘gusci vuoti’: l’ultimo rimasuglio di un ‘sinistrese’ che non solo non è mai stato realmente di sinistra sotto il profilo dell’appartenenza antropologica e sociale, ma che non ha neanche le idee molto chiare in merito al progetto di società che intenderebbe costruire. Dove si vuole andare a ‘parare’? In un mondo di persone ‘tappate’ in casa, perennemente ‘incollate’ al computer? Verso una società in cui tutto viene gestito dalla rete secondo una concezione dogmatica della gratuità? Ma se anche tutto quanto, un giorno, divenisse gratuito, quale funzione tecnica potrebbero svolgere, a quel punto, fattori come la moneta e la stessa microeconomia? A cosa servirebbe guadagnarsi uno stipendio? E, soprattutto, chi riuscirebbe a portarne a casa almeno uno? Il ‘grillismo’ non è affatto un’etica laburista basata sulla devoluzione di sé, bensì una forma di goliardia da nullafacenti, l’infantilismo puerile di un gruppo di personaggi patetici, incapaci di raggiungere un qualsiasi obiettivo personale senza il ‘calcio in culo’ di mamma e papà. Persino la linea di difesa del loro comportamento di questi giorni in quanto mera ‘reazione’ a una decisione del presidente della Camera risulta patologicamente peripatetica, poiché allorquando si ‘reagisce’ con violenza a qualcosa che si ritiene ingiusto si dimostra solamente di appartenere alla schiera dei ‘reazionari’, nell’interpretazione più schiettamente politica di questo termine. Il trambusto, gli attacchi e le proteste di questi giorni sono state la dimostrazione più concreta di una totale mancanza di linguaggio dei ‘segni’, di una grave incapacità a ‘produrre discorso’, di una mancanza di rielaborazione del pensiero che produce solamente cupi brontolìi, in una confusione di idee e di metodi che genera soltanto altro caos, inutile e dannoso.