La gioia del Vangelo è il dato teologico che Papa Francesco ha voluto sottolineare nella sua prima uscita editoriale: ‘Evangelii gaudium”. Già il titolo dice tutto. E ciò è apprezzabile, sotto un primissimo profilo di sintesi formale. Non si tratta, tuttavia, di una prima ‘bozza’ di enciclica: sembra, più che altro, una riflessione, un’esortazione pastorale, troppo corta per essere giudicata con l’ottica della razionalità filosofica, troppo lunga per considerarla uno ‘zibaldone’ di pensieri d’indirizzo pedagogico. L’autore è umanamente interessante, ma si colgono, qua e là, i consueti limiti dogmatici. Quando la Chiesa non sa più quali ‘pesci’ prendere torna a esprimersi con il suo linguaggio più ‘missionarista’ e misericordioso, in una tensione dinamica che trascende ogni ‘pur necessaria’ istituzione. Le pseudo-aperture del nuovo Pontefice finiscono, perciò, col richiamare un’attenzione ‘glamour’, piuttosto che indurre il mondo a una riflessione più profonda. Una teologia di questo tipo, tutta impegnata ad analizzare le tensioni spirituali che si innescano tra spirito e istituzione, tra differenza e unità, tra missione e discernimento, può servire a ottenere il ravvedimento, assolutamente parziale e momentaneo - dunque ancor più ipocrita - dei peccatori, anziché incidere sulla realtà sostanziale di temi e problemi. Vi è un indizio di sincerità nel pensiero di Bergoglio, allorquando ammette espressamente come “non sia compito del Papa fornire una descrizione dettagliata del mondo contemporaneo”, invitando tuttavia i fedeli “a vigilare e a studiare i segni dei tempi”, trasformando altresì i cattolici in ‘sentinelle’ e la Chiesa stessa in un enorme ‘corpo di guardia’. Alquanto nebulosa, inoltre, la direzione di marcia di questo ‘spiritualismo dinamico’ del cristianesimo, che spinge a riconoscere l’opera dello spirito ‘buono’ discernendolo da quello ‘cattivo’. E il rilancio della vocazione missionaria appare strumentale, teso a far dimenticare le ‘vergogne’ più recenti. Come dire: “Se anche qualcuno ha sbagliato, molti fanno del bene”. Un richiamo implicito ai 99 ‘giusti’, da sempre sottostimati dal messaggio evangelico ‘originario’. Ecco dunque spiegato il ritorno allo studio, all’obiettività politica nei riguardi delle situazioni interne dei singoli Paesi, un concetto, quest’ultimo, devastante per il singolo individuo, posto di fronte a un clero che, per quanto decentrato, si conferma detentore di un'unica e assoluta verità. Tutto o quasi viene affermato in modi ‘dolcemente indiretti’, nascondendo la sostanza dietro alla ‘formale’ confessione intorno ai limiti della Chiesa e del Papa medesimo, rivelando in tal modo la secolare tendenza ‘gesuita’ al ‘depistaggio mellifluo’, allo spostamento dell’attenzione, all’evasione dai ‘nodi’ dogmatici reali. “Il mio regno non è di questo mondo”: la Chiesa cattolica ama da sempre adattare a se stessa questa leggiadra espressione utilizzata da Gesù di Nazareth innanzi al Governatore della Palestina, Ponzio Pilato. Ma nonostante gli sforzi del nuovo Pontefice non credo si possa dimenticare come la gran parte della curia vaticana sia fondamentalmente incoerente rispetto alla dottrina evangelica. L’idea del peccatore pentito e dei 99 ‘giusti’ salta completamente per aria: non c’è più il primo, né tantomeno i secondi. Siamo tutti immersi in una guerra ‘dualista’ tra spiriti buoni e spiriti cattivi: una teologia di ‘gomma’, che ci riporta a giocare con il ‘pongo’, come quando eravamo bambini. Si resta, insomma, nel campo delle ‘mezze verità’, in un giudizio talmente pessimista nei riguardi dell’umanità da non concepire nemmeno l’unico ‘poveraccio’ che si pente e gli altri 99 ‘beoti’ che, stoicamente, cercano di rimanere sulla retta via. Va da sé che il compimento della ‘seconda parte’ di una verità per i cattolici significhi, da sempre, limitarsi a vigilare, a studiare i ‘segni’, mentre gli obiettivi più concreti rimangono delle mere questioni di prospettiva. Tutto ciò ricorda molto da vicino il modo di procedere della nostra stessa classe politica, fortemente impregnata da una cultura ‘moderata’ che, in verità, non riesce a far altro che evidenziare le diverse sfumature della propria impostazione da ‘oratorio’, sia nelle forme di un utopico cristianesimo sociale, sia in quelle di un ributtante integrismo controriformista. Le linee guida dello Stato laico, ovvero quel fondamentale ‘binario’ riformista e liberale che genera la vera ‘scintilla’ dei mutamenti, vengono per l’ennesima volta soffocate, diventando una sorta di fiume ‘carsico’ a cui abbeverarsi di nascosto, al fine di provocarne il prosciugamento. Papa Francesco, insomma, non è un marxista devoto alla teologia della liberazione, né un liberale interessato all’emancipazione dell’uomo dal misticismo e dal fideismo più intransigente e manicheo: è semplicemente un ‘eterodosso’, un ‘tipo’ simpatico, che la ‘butta’ sul ridere. Siamo tutti peccatori, ma dobbiamo vigilare per respingere lo spiritualismo ‘cattivo’, distinguendolo da quello ‘buono’ con astuta ingenuità. “Io vi mando come pecore in mezzo a un branco di lupi: siate dunque astuti come serpenti e candidi come colombe”. E’ questa la gioiosa missione del Vangelo, secondo Papa Francesco. Un metodo universale che, tuttavia, rimane soggetto, nel merito, alle più svariate interpretazioni.
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