Lo avevamo già scritto ai tempi dell’approvazione della legge ‘Bossi-Fini’: il tema dell’immigrazione andava regolamentato in altre forme, senza ottusità di sorta, tenendo presenti le esigenze demografiche di un popolo come quello italiano, altrimenti destinato all’estinzione. Si trattava e si tratta di un fenomeno epocale, derivante non soltanto dal fallimento delle politiche neocolonialiste seguite alla decolonizzazione - che nel sud del mondo hanno spesso ‘vomitato’ leader autoritari - ma da un incredibile ladrocinio multisecolare che ha giustificato l’arricchimento di una parte del pianeta a scapito dell’altra. Nel corso di tale processo storico, anche lo sforzo di molte organizzazioni internazionali è quasi sempre risultato inadeguato: la situazione di oggi è frutto di politiche imperialiste, di dominazioni secolari, di economie ‘paternaliste’, dell’appropriazione di risorse agricole e minerarie, di traffici illeciti e scambi ineguali, della proliferazione di ‘burocrazie della fame’ e ‘terzomondismi’ mondani o ‘modaioli’. Politiche demagogiche e slogan pazzeschi, in questi ultimi decenni, se ne sono sentiti anche qui da noi, in un’Italia che, per tradizione storica, ha popolato l’intero globo terrestre poiché incapace di offrire una speranza di vita a milioni e milioni di cittadini. Proprio noi che abbiamo subìto umiliazioni inenarrabili, come raccontato dallo splendido film di Franco Brusati: ‘Pane e cioccolata’. Una pellicola degli anni ’70 del secolo scorso, periodo in cui il nostro Paese appariva ancora stracolmo di squilibri e problemi. A quei tempi, produrre un film molto duro e significativo sulla nostra realtà di migranti non fece più di tanto notizia, poiché dipinse una verità data per scontata ormai da secoli. E’ questo il destino dei capolavori profetici: essere troppo in anticipo nel cogliere alcuni elementi che, invece, sarebbero risultati preziosi per osservare dall’interno il fenomeno migratorio. Tornando alle sofferenze del popolo italiano, come non ricordare, inoltre, i milioni di contadini e sottoproletari che sin dalla fine del XIX secolo sono partiti verso altri Paesi e continenti, alla ricerca di un lavoro e di un futuro per i propri figli? Ognuna delle nostre famiglie, se si cerca bene, ha un parente emigrato negli Stati Uniti o in Brasile, in Argentina o in Germania, in Svizzera o in Belgio. Per più di un secolo, proprio gli italiani sono stati il popolo migrante per antonomasia. Noi che, oggi, ci ritroviamo impegnati in una terrificante ‘conta dell’orrore’ tra centinaia di corpi nudi, riversi sulla banchina del porto di Lampedusa. Manca, da sempre, una normativa efficace sul diritto di asilo. E ci siamo, invece, ‘arroccati’ sul versante psicologico più labile e timoroso: quello della repressione, dei respingimenti, della clandestinità in quanto reato. Un principio, quest’ultimo, che ha reso i pescatori siciliani e i marinai della marina mercantile dei vigliacchi e che pretendeva, in origine, di trasformare persino i nostri medici in delatori. Potremmo sottoporre un elenco lunghissimo di idee e progetti che, in questi ultimi due decenni, abbiamo proposto, avvertendo chiunque di come si stesse affrontando la questione per il verso sbagliato. Ma le cose sono sempre andate da sé: noi eravamo dei ‘laicisti’, dei ‘mangiapreti’, gente che dorme con il ‘mitra’ sotto al cuscino. Intorno al tema della migrazione, in questi ultimi 20 anni sono state dette tali e tante di quelle assurdità da riportarci alla mente la nota novella di Giovanni Verga del 1878, intitolata ‘Rosso malpelo’, in cui il protagonista, sfruttato e maltrattato da tutti, sfogava ogni frustrazione sul proprio somaro. Allo stesso modo, paure, insoddisfazioni e odio sociale di svariate e putribonde provenienze sono state letteralmente scaricate sui disperati del mondo. Sì, certo: molti italiani, soprattutto al nord, hanno lavorato duramente e, oggi, possiedono quattro soldi e tutto il diritto di vivere una meritata serenità. Ma il denaro e la ricchezza vanno anche gestiti con equilibrio e signorilità: non sono cose per tutti. Intorno a ciò, mi sono spesso ritrovato d’accordo con gli amici liberali e la loro visione ‘elitaria’: la gente deve guadagnare il ‘giusto’, poiché lasciare che tutti si arricchiscano significa soprattutto far avanzare socialmente dei piccolo borghesi irresponsabili, facilmente preda dei propri deliri di onnipotenza, inconsapevoli di danneggiare se stessi e il prossimo. Ma il nostro sviluppo economico è stato così forzatamente accelerato e carico di squilibri che i piccolo borghesi, a un certo punto, hanno addirittura preteso di mettersi a far politica. Venne loro sottolineato come il fenomeno migratorio non fosse, più di tanto, arrestabile. Furono avvertiti del fatto che l’introduzione del reato di clandestinità ci avrebbe posti al di fuori del diritto internazionale. Niente da fare: una folle ventata di ignoranza ‘destroide’, puramente propagandista e supponente, si era letteralmente impossessata della mente dei più, rendendoli ciechi, incapaci di comprendere come la ricerca di capri espiatori fosse solamente il segnale sociologico più evidente di una paura pericolosamente strumentalizzabile. Inutile a dirsi: gli italiani comprendono determinate cose solo allorquando ci ‘sbattono’ il ‘muso’. Non possiedono alcuna educazione alla lungimiranza, alla pazienza, a una visione programmatica della vita sociale e collettiva. Un popolo di piccolo borghesi che non provoca neanche la semplice disistima o il più profondo disprezzo, ma un qualcosa di più e di meno, di cui stiamo ancora cercando l’effettiva definizione. Come la mia indegnamente omonima direttrice della ‘Padania’, la quale ha recentemente denunciato, dalle colonne del proprio ‘chiamiamolo’ giornale, una sorta di razzismo ‘alla rovescia’ nei confronti della popolazione stanziale del nord’Italia. Giungendo, a suo modo, assai vicina alla verità, ovvero alla nostra proposta di ‘divorare’ il razzismo in quanto ‘razza ideologica’, che ha sollevato problemi e questioni solo per moltiplicarle e aggravarle a scopi puramente elettorali. Lo tenga bene a mente, la collega Lussana: i laici non sono razzisti. Sono ‘cannibali’.