È un’autentica testimonianza, quella proveniente dal repertorio sull’architettura neoclassica. A mettere in risalto le professionalità artistiche è l’opera, divisa in tre volumi, dal titolo Architetti e ingegneri a confronto I, II e III – L’immagine di Roma fra Clemente XIII e Pio VII, Bonsignori editore 2006-2008. Il prezioso contributo culturale, curato e scientificamente diretto da Elisa Debenedetti, permette di ricostruire l’apporto di ciascun architetto, nonché il suo metodo di apprendimento, con un chiaro modello di riferimento francese acquisito nella scuola, dove la metodologia di insegnamento si basa sulla proporzione tra arte del costruire e scienza. Che a Roma trova i suoi ideali sostenitori. Quelli più fedeli. Il ricco patrimonio delle opere sull’architettura neoclassica ha il vantaggio di considerare un argomento che, soprattutto nella Capitale, era quasi ignoto: si conoscevano soltanto i grandi nomi come Luigi Vanvitelli, Michelangelo Gregorini, Melchiorre Passalacqua, Giuseppe Valadier, Raffaele Stern, Mario Asprucci, Andrea Vici, Giuseppe Barberi, Paolo Posi. Mentre risultava difficile calarli in una storia, relazionarli con altre figure di pari livello, connetterli a personalità di calibro non inferiore, destinate a mansioni esterne alla Città Eterna, come Ermenegildo Sintes. Per i lavori riguardanti l’Italia spuntano il miliziano Vincenzo Ferrarese, Giacomo Quarenghi e Vincenzo Brenna. Senza tralasciare il loro rapporto con architetti-topografi e antiquari quali Giovanni Battista e Francesco Piranesi o Carlo Nolli, nonché con incisori del calibro di Giovanni Battista Cipriani e Carlo Antonini. Non solo. Conoscere gli ignoti risultati prodotti dalla loro attività di disegno, capace di offrire risvolti inattesi e sorprendenti, come nel caso di Carlo Marchionni, Clemente Orlandi, Giuseppe Panini, Giuseppe Subleyras, Carlo Puri De Marchis, Girolamo Toma o Dioniso Santi. Era complicato distinguere l’apporto del singolo architetto dei nuclei familiari come Camporesi, Del Rosso, Marmorelli, Navone, Bracci, Giorgi, Palazzi, Mazzoni, Nicoletti, Pelucchi, Antinori, Albertini, Bianchi, Costa, Dori, Fiori, Simonetti. È un’operazione complessa valutare lo spessore dei contributi artistici di architetti francesi, tutti abitanti da diversi anni a Roma come Pierre-Adrien Paris o Louis-Martin Berthault. Altrettanto complicata è la conoscenza del livello teorico di personaggi come Leonardo Massimiliano De Vegni, Clemente Folchi, Angelo Uggeri, Gerolamo Masi. Quanto mai laborioso è discernere le opere, in campo artistico, di personalità quasi esclusivamente votate all’attività tecnico-ingegneristica nel settore dei lavori pubblici, come Gerolamo Scaccia, Carlo Sereni, Gaetano Rappini e Andrea Chiesa. «Questa indagine a tappeto sul Settecento – afferma Elisa Debenedetti – è dotata della rara proprietà di incrociare notizie e ritrovamenti che si completano uno con l’altro, tanto da formare una catena indissolubile, per cui la mancanza di uno dei numeri nella biblioteca di uno studioso, causa un vero e proprio “buco», al punto di rendere difficile la prosecuzione nella ricerca. È proprio per questo motivo che si è cercato di passare, con ponderata oculatezza, da un argomento all’altro, disponendoli secondo una consequenzialità non casuale e rivolgendoci, ove necessario, a specialisti: dal collezionismo alla biografia degli artisti, dal reperimento di opere nuove al ritrovamento di disegni inediti, dall’architettura all’urbanistica, compresa la storia della città, sondando i fondi romani più impensati, come gli archivi pubblici e privati di norma non aperti al pubblico». Furono proprio i sintomi di un ritorno alla classicità, manifestati nel cosiddetto “barocco riformato”, a dar vita all’architettura neoclassica, confortata da nutriti apparati teorici e ispirata all’opera del Palladio, rivalutata grazie all’azione di Cridtopher Wren in Inghilterra. Nell’ambito dello studio teorico si impone Johan Joachim Winckelmann, seguito da padre Carlo Lodoli, che esercitò una notevole influenza nello sviluppo dell’architettura italiana con uno dei suoi principi: l’importanza della corrispondenza tra elemento strutturale ed elemento formale, per realizzare delle costruzioni che siano il frutto della razionalizzazione del procedimento costruttivo, non della imitazione stilistica. Nei tre volumi dell’opera sono bene in vista i profili professionali di architetti e ingegneri che emergono dagli elenchi pubblicati da Giuseppe Antonio Guattani (1808), rispetto a quelli presentati all’amministrazione francese per l’ammissione nel corpo di ingegneri di Ponts e chaussées (1808-1810), non sempre accolti, così come i professionisti contenuti nel fondo archivistico del Consiglio d’Arte dal 1750 al 1823. Per esaminare i fenomeni che si riscontrano nei cinque decenni, tra Sette e Ottocento, identificabili con i due ultimi pontificati Braschi e Chiaramonti, attraversati dalla cruciale parentesi napoleonica. Ma anche nello Stato Pontificio si delineano carriere professionali dedite, principalmente, ad attività nel settore dei lavori stradali o nel campo delle opere idrauliche, mentre si assiste a una graduale trasformazione di alcuni professionisti da “artisti” a “tecnici”, mutamento che avviene attraverso una formazione centrata su aspetti fisico-matematici, vicino a maestri accademici ancora legati alla prassi affinata nei cantieri. È chiaramente un binomio che si esplica nei primi tentativi organici di gestione della regione, quando assume importanza il collegamento all’interno di interi comprensori territoriali: straordinariamente utile, per questo aspetto, il ricco inventario notarile di Acque e Strade, tenendo presente l’attività extra moenia attraverso altri fondi, tutti accuratamente precisati. Le principali raccolte grafiche pubbliche, oltre alle rare collezioni private, sono state esaminate con l’ausilio delle carte conservate presso l’Accademia di San Luca, l’Archivio Capitolino, la Reverenda Fabbrica e l’Archivio di San Pietro. A questa ricca rete di informazioni si aggiungono le introduzioni critiche: alle analisi particolareggiate della decorazione dell’interno della Scola-Tempio, dei disegni per il Giardino Colonna, per la Villa Pallavicini lungo la Salaria, precedono saggi di carattere generale e approfondito che ben sintetizzano il materiale di quest’opera, vero e proprio catalogo dell’architettura neoclassica a Roma. Ancora mancante. Si devono tenere presenti i punti nevralgici della città con i suoi problemi: San Pietro, Campo Vaccino, Foro Traiano, Domus Aurea, dove spiccano gli architetti tecnici (Giacomo Sangermano) o gli archeologi (fra gli altri Tommaso Zappati, Pietro Bianchi, Giovanni Giacomo Tancioni). È la Roma antica e moderna di un Jean Barbault. Con i giovani architetti d’Europa nella Città Eterna tra il 1750 e il 1780; l’Accademia della Pace tra la fine degli anni Ottanta e gli inizi dell’ultimo decennio del secolo; l’Accademia del Regno d’Italia a Palazzo Venezia, tra il 1811 e il 1813; l’architettura policroma tra il 1811 fino al terzo decennio dell’Ottocento.