Rileggendo i ‘Quaderni dal carcere’ di Antonio Gramsci ci si può facilmente rendere conto di come sia possibile ‘liberare’ la riflessione del pensatore sardo dalle numerose ‘contaminazioni leniniste’ insite in alcune sue categorizzazioni filosofiche - dettate probabilmente dall’esigenza di riallacciarsi politicamente alla Terza Internazionale comunista - al fine di ricollocarne il pensiero nell’alveo culturale di un nuovo socialismo umanistico, programmatico, laico-riformista. Ciò rappresenterebbe un primo passo di chiarificazione tra tutte le forze progressiste italiane, mediante una serie di autorevoli richiami ‘new labour’ ben distinti rispetto all’italo-marxismo ideologico dei Bordiga e dei Togliatti. Compito di una nuova cultura progressista dev’essere, infatti, quello di saper penetrare nel ‘senso comune’ di un popolo, al fine di modificarne gli aspetti più stantìi. Per ottenere ciò, occorre pertanto partire da una critica del ‘vecchio’ senso comune, formato in larga parte da sistemi di pensiero o da mentalità elaborate nel passato. Ma un’analisi critica del ‘senso comune’ significa, soprattutto, stabilire come, nel pratico operare degli uomini, sia quasi sempre contenuta, implicitamente o esplicitamente, una determinata concezione del mondo. Ciò non significa che i cittadini di una qualsiasi società debbano necessariamente dimostrare di possedere una ‘funzione intellettuale’, ma che tale distinzione assume contorni quantitativi e non qualitativi, poiché nel momento in cui una certa riforma della mentalità collettiva di una società rimane nella stretta cerchia di un’elite intellettuale, che ‘riforma culturale’ mai sarebbe? Fu in base a questo preciso ‘corollario’ che Antonio Gramsci rielaborò la propria ‘teoria della prassi’, portandola alla ‘resa dei conti’ con il liberalismo di Croce e sviluppando, altresì, una specifica ‘revisione interna’: “I soggetti protagonisti della Storia sono le masse: agli intellettuali spetta oggi il compito di tuffarsi nella vita pratica, per divenire organizzatori degli aspetti più sostanziali della cultura”. In sostanza, secondo Gramsci gli intellettuali non possono considerarsi una ‘casta’, bensì devono ‘democratizzarsi’, poiché la loro personalità non può limitarsi all’individuazione di nuove e originali verità, ma entrare in uno stretto rapporto di interconnessione e di trasformazione dell’ambiente circostante, svolgendo una funzione attiva - ‘liberale’, direbbe qualcuno - nei confronti della società. Pur se tali presupposti hanno sempre fornito svariate interpretazioni, a me pare assodato che si tratti di una parziale ‘sostituzione’ di Marx con Feuerbach, anche se lo stesso Gramsci si sia sempre speso molto nel ribadire il proprio allineamento con l’ideologia del filosofo di Treviri. Tuttavia, in svariati passaggi vi sono una serie di ‘recisioni’ nette, vere e proprie distinzioni rispetto all’ortodossia ‘marxista’. Un altro ‘passo’ significativo dei ‘Quaderni’ è infatti il seguente: “La dottrina ‘materialistica’, che vorrebbe le persone come il prodotto e il risultato dell’ambiente e dell’educazione circostante e che, pertanto, spiega i cambiamenti degli uomini da un mutato ambiente o da un altro genere di educazione, dimentica che l’ambiente medesimo viene modificato proprio dagli uomini e che l’educatore deve egli stesso essere educato” (Quaderni, pag. 2356). Appare evidente come quest’ultimo riferimento ribalti completamente la forma dialettica marxista, in una sorta di audace conversione su un terreno più propriamente socialdemocratico. Il pensiero di Gramsci, insomma, risulta pienamente recuperabile dal ‘Pantheon marxista’, al fine di diventare un interlocutore culturale importante per una riunificazione di tutte le sinistre democratiche italiane. Anche perché non è possibile continuare a tollerare determinate polemiche interne, tese solamente a rendere il panorama politico delle culture progressiste una sorta di arena per dispute destinate a lasciare il tempo che trovano, o che stupidamente alimentano il continuo generarsi di ‘correnti’ tanto labirintiche, quanto confusionarie. Strumentalmente - questo certamente sì - è possibile tornare a riflettere intorno al pensiero di Antonio Gramsci, al fine di chiarire una lunga serie di ormai inutili equivoci ed evolvere le culture di sinistra, nonché l’ambiente politico-sociale circostante. In base a simili presupposti, chiedere oggi all’intera sinistra italiana di non mandare in soffitta la propria identità laica per ‘impaludarsi’ tra gli stagni del neomoderatismo centrista o le contraddizioni del catto-comunismo risulta un suggerimento corretto. Il terreno della dialettica quotidiana non è un qualcosa da condizionare attraverso continui ‘scossoni’: è ora di convincersi, definitivamente e con fiducia, dell’esigenza di individuare un nuovo disegno alternativo di società, un preciso percorso programmatico da realizzarsi nei tempi e nei modi dovuti. La polemica dei primi anni ’90 del secolo scorso relativa all’adozione di un sistema elettorale maggioritario ha visto il verificarsi di quasi tutti gli ‘spunti critici’ evidenziati proprio da sinistra. Ciò può tornare utile, oggi, a comprendere come il semplice ritorno a un sistema proporzionale - dotato di ‘sbarramento’ - non solo non moltiplicherebbe i Partiti, ma ne preserverebbe le identità culturali, contribuendo a ‘risistemare’ anche il mondo cattolico-democratico sul proprio effettivo fronte sociale di appartenenza. Una realistica ristrutturazione del nostro sistema politico, infatti, può avvenire soltanto se ricominciamo, tutti quanti, a definire ogni concetto col proprio nome: che i democristiani facciano, dunque, i democristiani; che i laici e i socialisti riprendano a svolgere la propria funzione di ‘minoranza’ efficace e influente; che i ‘gramsciani’ si decidano ad approdare, finalmente, sul terreno del riformismo socialdemocratico. Se esiste la possibilità per la creazione di un nuovo grande Partito del socialismo europeo, secondo limpide connotazioni laico-riformiste in grado di porsi come un interlocutore legittimo di fronte alle forze cattolico-moderate, non vedo perché ciò sia da considerarsi ipotesi ‘peregrina’, dato che mezzo mondo viene stabilmente governato proprio dalle forze di ispirazione laburista o del socialismo liberale. Si tratta di uno scenario dalle forti ‘tinte mitterandiane’? Può darsi. Ma sia ben chiaro che si tratta dell’unico sentiero di chiarezza realmente percorribile, per non riconsegnare l’Italia agli ambienti più conservatori e retrivi di questo Paese.
Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it