Al ritmo di ignoranza e amnesie, malafede ed ottusità, si va consumando un suggestivo balletto tra esponenti ed intellettuali del Pdl e del Pd attorno al decreto di amnistia o atto di clemenza, varato il 22 giugno 1946 e scritto di suo pugno dal Guardasigilli, Palmiro Togliatti. Un atto di clemenza che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dovrebbe firmare per garantire agiblità politica al leader del Pdl, Silvio Berlusconi, condannato a quattro anni per frode fiscale e in odor di decadenza da senatore. Tanto chi invoca l'atto di clemenza, quanto chi lo respinge omette una valutazione storica e politica dell'operato di Togliatti che benedetto da una destra maldestra e furba, non può essere a prescindere criticato da una sinistra ottusa e omertosa. Controfirmato dal presidente del Consiglio Alcide De Gasperi e approvato da Pci, Dc, Monarchici e L'Uomo Qualunque, contrari i socialisti e gli azionisti, il decreto di amnistia assunto da Togliatti e De Gasperi in nome della pacificazione nazionale ebbe un immediato effetto: spalancò le porte delle carceri dove fascisti e repubblichini erano stati rinchiusi al momento della Liberazione per i reati commessi. Gli azionisti che volevano l'epurazione, ossia l'allontanamento da ogni carica ed incarico pubblici, ne contestarono contenuto e terminologia. "[..] Lombardi e Cianca si soffermarono a considerare aggettivi accrescitivi: elevata responsabilità, sevizie particolarmente efferate. Perplessi i socialisti e Nenni in particolare", scrisse sul numero 11-12 del 1947 della rivista 'Il Ponte', Mario Bracci, Ministro del Commercio con l'Estero del primo gabinetto De Gasperi. Ambigua - evidenziava Bracci - la dicitura contenuta nell'art.3: "persone rivestite di elevata responsabilità di comando civile o militare", nel caso fossero state autori di stragi, omicidi o saccheggio, ovvero delitti a scopo di lucro. Con tale 'atto di clemenza' Togliatti e De Gasperi, resero la liberta' a migliaia di fascisti, ras delle squadracce, segretari del Partito nazionale fascista (Pnf), gerarchi, dirigenti dell'Ovra, giudici del Tribunale Speciale, capi politici e militari della Repubblica Sociale di Salò (Rsi), estensori del Manifesto della Razza, spie e collaborazionisti a vario titolo del Regime e furono archiviati molti processi ai peggiori criminali.
L'epurazione mancata però fu riproposta a De Gasperi all'Assemblea Costituente. "[...] Ora il Presidente del Consiglio sa, e non può non sapere, perché Ministro degli interni, che c'è nel paese viva preoccupazione per le conseguenze dell'amnistia. È chiaro che l'amnistia e più che l'amnistia, il modo come è applicata, con il ritorno al paese di delinquenti tipici fascisti conosciuti da tutti, crea veramente uno stato di perplessità, uno stato d'incertezza ed anche in qualche posto uno stato di esasperazione inquietante. [...] Accanto alla generosa legge sull'amnistia, diamo prova di essere fermi nella repressione delle mene fasciste. [...] Il governo ha il dovere di precisare con una legge sostanziale [...] quali sono i limiti e gli estremi della attività fascista, di tranquillizzare il paese ed assicurarlo che questi signori, verso i quali siamo stati generosi, avranno le unghie tagliate per sempre". Anche questa volta non se ne fece nulla. E Togliatti di fronte all'ondata di proteste e contestazioni della base comunista e partigiana, se la cavo' a modo suo: "si lavò pilatescamente le mani rimettendo la carica di Guardasigilli al collega Fausto Gullo [...] Fu Togliatti a meritare in pieno l'appellativo affibiatogli da un indignato ragioniere di Venezia: ministro di 'Grazia' ma non di 'Giustizia' ", come ha riportato in 'L'amnistia Togliatti', lo storico Mimmo Franzinelli per il quale a beneficiare dell'atto di clemenza "diciamo che siamo sull'ordine delle 10 mila unità". La mancata epurazione minò alla radice qualsiasi progetto di cambiamento nella macchina dello Stato e delle sue principali strutture: burocrazia, magistratura, scuola e università, informazione, e ridusse l'esercizio della giustizia, come amaramente annotò nel '75 Lombardi "[...] alle piccole molestie, ai piccoli sabotaggi, risparmiò il nucleo essenziale che avrebbe potuto esser neutralizzato non soltanto per le sue responsabilità, ma anche perché l'eliminazione di certi personaggi ai posti di comando avrebbe rappresentato un cambiamento di classe dirigente. E una rivoluzione se non è cambiamento di classe dirigente non è niente". E siamo ancora qui: ad una rivoluzione da fare e che è tale se ed in quanto è cambiamento di una classe dirigente assai scadente sul piano culturale.
(articolo tratto dal blog www.huffingtonpost.it)