La fine della parabola ‘berlusconiana’ certificherà agli italiani l’inutilità della politica. In particolare, di questa politica: quella della seconda Repubblica. All'arroganza autoreferenziale di molti suoi esponenti si contrapporrà la piena evidenza di una strategia del centrodestra italiano completamente fallita, di come i suoi iniziali richiami in favore di una rivoluzione liberale fossero, in realtà, maggiormente praticabili da sinistra, poiché molto aveva quest’ultima da apprendere del vero liberalismo, della sua carica ‘protestante’, delle sue forme superiori, delle svariate bussole di orientamento, da Calvino e Zwingli, fino ad approdare a Croce e a Gobetti. Anche nel corso di tale apprendimento ci saremmo trovati di fronte a una serie di tentativi ed errori, ma pur sempre con una qualche forma di progresso, un modo esperienziale per comprendere ciò che, sino al crollo del muro di Berlino, era stato puramente immaginato. Ecco per quale motivo il centrodestra doveva essere soprattutto liberale: per dimostrare come un uomo degno di tale definizione non si inginocchi davanti a Dio, non lo invochi in una vana speranza di grazia, non si accontenti del nulla. Dell’esperienza ‘berlusconiana’ non resterà che l'orrore del malinteso: egli sarà annientato per via giudiziaria e non trionferà la vera politica, la cui saggezza naturale consacrerebbe l’intera tragedia della seconda Repubblica alla banalità più maligna e contorta. Si affermerà, invece, una dicotomia ancor più confusa di quella che l’ha preceduta. Berlusconi, a suo modo, era un degno avversario: una sorta di Minnesota Fats. Dopo la sua uscita di scena, ci ritroveremo innanzi all'espressione assoluta della castrazione culturale degli italiani. Gli stereotipi del narcisismo si ridurranno a due estremi generici, il successo e la sconfitta, senza alcuna via di mezzo capace di alimentare nella lungimiranza una nuova etica della convinzione. La psiche umana non è responsabile delle sue creature, Partiti o avversari politici che siano. Ma una simile difficoltà di individuazione condannerà gli italiani all'impossibilità di ogni sublimazione, al blocco della creatività, a un ulteriore e più basso grado di sterilità morale e valoriale. Ciò mostrerà la specifica mentalità dissimulatoria di questa nazione: prima di essere nutrice, l’Italia è infatti ‘matrice’, dotata di una creatività nascosta di trasformazione. Ed è un malinteso paradossale immaginare che a una politica ‘castrata’ potrà corrispondere un sogno mancato. Alla politica verrà anzi negata ogni possibilità di identificarsi con la propria capacità di rigenerazione, di pensarsi come un corpo che forma nuovi corpi all'esistenza. Il protagonista dell’equivoco era solito commettere reati? Allora, tutti gli altri erano solamente generiche personificazioni della mancanza di identità degli italiani. E la Repubblica stessa non ha mai avuto alcun nome. Il mondo della politica ha solamente costellato figure composite e tentacolari, che hanno abbozzato una destra e una sinistra abortite. I veri protagonisti rimangono i ‘padri’: Einaudi, De Gasperi, Moro, Berlinguer. E Craxi, naturalmente. Tutto ciò che è venuto dopo è stata solamente la giustapposizione mostruosa tra due parti incestuose, in cui l’una rappresentava la metà dell’altra e il loro dialogo era da complici. Una complicità nell'omicidio di ogni identità, nell’infanticidio pazzesco di ogni nuova mentalità in grado di mutare il volto di questo Paese. Una partita a biliardo, in fondo, non è nient’altro che questo: una prova di abilità. Nessuno finisce in ‘galera’ o subisce forme di ostracismo. Minnesota Fats è sempre pronto a giocare un nuovo incontro, se ritiene onorevole l’avversario che ha di fronte. E il giovane Eddie è tenuto ogni volta a dimostrare di possedere una spina dorsale, di aver conseguito temperamento nel non eccedere mortificando e umiliando gli avversari. Si trattava di una configurazione un poco ‘hollywoodiana’, forse. Ma dopo i fatti del 1992 - ’94 non avevamo in mano nient’altro: una logica da ‘biscazzieri’, una disciplina un tempo nobile degradata a gioco d’azzardo, un inferno di periferia per soli uomini, in cui il nemico doveva essere ricco, poiché la ricchezza è il solo modo riconosciuto di essere liberi, qui da noi. Il ventre della politica si è così svuotato in una sorta di incombente paura per una fine continuamente rinviata, frenando costantemente ogni illusione di nuove idealità. E il sogno stesso di una società socialista è stato ridotto alla volontà di sbarazzarsi dell'ingombrante presenza dell’avversario: un grave malinteso, per la sinistra italiana, divenuta anch’essa un vuoto risucchiato nel nulla, nell’assenza totale dell’Altro, in un perfetto incontro col niente.
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