Il Prof. Ramón Lucas Lucas è docente ordinario di Antropologia filosofica e Bioetica alla Pontificia Università Gregoriana e presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, nonché membro della Pontificia Accademia per la vita.

Prof. Lucas, cosa significa dignità della vita umana?
“Si parla molto del valore assoluto della vita umana, vengono dichiarati i diritti della persona, ma con quale giustificazione? La ragione percepisce la dignità della persona umana in quanto corrispondente alle sue esigenze più intime. Il valore assoluto della vita umana, al di là delle condizioni vitali in cui possa venir a trovarsi, appare soltanto in rapporto a ciò che la persona è in se stessa e nel suo intrinseco rimando a qualcosa che esiste al di là dell'uomo. Il valore assoluto che la persona trova in modo spontaneo in se stessa, nasce dalla sua apertura verso l'assoluto di verità e di valore. Non bisogna affermare esplicitamente questo rapporto per percepire il valore della persona. Ma l'eventuale negazione esplicita di questo ricadrà sulla negazione del valore della persona e della vita umana. I pretesi diritti all'eutanasia nascono, paradossalmente, dal conferire valore assoluto alla condizione terrena della nostra vita: quando ciò che veramente conta è la vita attuale, è logico che la si misuri secondo il suo valore immanente per il mondo. Allorché la vita venga sottomessa al dolore oppure alla sofferenza o, semplicemente, alla stanchezza vitale, non ci sarà più alcuna ragione morale a esigerne il perdurare”.

Qual è il compito della medicina in tal senso?
“La finalità naturale, primaria e principale della medicina, riconosciuta già nell'antico e sempre attuale giuramento di Ippocrate, è la difesa e la protezione della vita, non la sua manipolazione o eliminazione. Non tutto ciò che è tecnicamente o giuridicamente possibile è moralmente ammissibile”.

Qual è la compatibilità tra volontà del singolo e dovere del medico? Esiste un limite preciso e, se sì, dove si pone?
“L’espressione ‘testamento biologico o di vita’ si riferisce in generale alla volontà espressa da un soggetto riguardo a scelte terapeutiche e assistenziali che lo riguarderanno nella fase finale della propria vita. Si manifesta la volontà di morire, rifiutando qualsiasi mezzo, proporzionato o meno, di sostentamento vitale, quando il paziente fosse colpito da una grave malattia che intacchi la qualità della vita. Dal punto di vista etico, il testamento biologico non obbliga il medico. Esso può dare indicazioni utili sulle preferenze anticipate del paziente, ma il medico non è tenuto a seguire il testamento biologico, se questo violasse la buona pratica medica ed il bene oggettivo del paziente”.

Quale validità formale o giuridica può avere il testamento di vita se la vita non è un bene disponibile?
“Fare un testamento di vita anticipato implica una serie di contraddizioni: in primo luogo, l’analisi antropologica della nostra libertà mostra che le decisioni libere valgono nel presente e in situazioni concrete, ma non hanno valore per situazioni ipotetiche. Uno stesso soggetto, cioè, può prendere decisioni diverse in circostanze differenti. Per questo motivo il testamento biologico blocca la nostra libertà, poiché nel caso noi divenissimo malati incapaci di comunicare e avessimo cambiato parere, l’eseguire il testamento biologico ‘previo’ sarebbe una violazione della nostra autonomia. Perciò. il testamento biologico è rigido, non flessibile e inadeguato ad esprimere la nostra libertà e autonomia. In secondo luogo, le decisioni che noi prendiamo quando siamo malati sono spesso diverse dalle decisioni che prendiamo immaginando alcuna situazione di malattia. Esiste il motivato dubbio - se non la certezza - che una direttiva espressa in stato di salute e precedente il momento in cui sia sopravvenuta una grave malattia che comporti la permanente perdita della coscienza, possa mantenere la propria validità nel decorrere del tempo e nel mutare delle circostanze. In terzo luogo, il testamento biologico è inutile al paziente. Infatti, quando questo non può manifestare la propria decisione attuale, il medico deve trattare la malattia secondo la buona pratica medica. In quarto luogo, può essere anche nocivo, non soltanto nel senso che possa ledere la dignità, ma anche limitare scelte di terapia possibili. Nessuno può predire gli sviluppi della medicina e il testamento impedirebbe l’applicazione di nuove scoperte”.

Il testamento biologico è, come molti sostengono, una via per riaprire il dibattito sull’eutanasia o, per così dire, il passaggio non è obbligato? Dire di sì al testamento biologico significa un sì all’eutanasia o esiste (e se c’è, qual è) una differenza?
“Il testamento biologico, che si presenta come un rispetto della volontà del paziente, apre invece la strada verso l’eutanasia, con l’aggravante che, in questa decisione ‘anticipata’, non c’è più la possibilità del ripensamento o del cambiamento di decisione. Ci potremmo trovare, cioè, nel caso di un paziente che, dentro di sé, non vuole morire, ma che, in forza della decisione anticipata, lo stanno uccidendo…”.

Il sì al testamento biologico implica necessariamente una riformulazione dell’idea di vita e, insieme, un ripensare l’idea e la pratica della medicina?
“La più fondamentale espressione del rispetto della dignità degli esseri umani non è solo il rispetto della loro autonomia, della scelta in quanto formulata da loro, ma il rispetto del bene oggettivo contenuto in quella scelta. Perciò, ogni esercizio di autodeterminazione che miri a definire cosa dovrebbe o non dovrebbe essere fatto nei propri confronti, se e quando ci si troverà nella condizione di incoscienza, dovrebbe essere rispettato soltanto per quella parte che è coerente e concorda con rispetto del bene integrale oggettivo del soggetto. Perché questa scelta sia una vera scelta, da onorare da parte della società e del medico, occorre che la richiesta non contrasti con la legge naturale del non uccidere”.

Può esistere un confine etico o politico alla scienza?
“Oggi viviamo la divisione espressa dal conflitto tra libertà di ricerca tecnico-scientifica ed esigenze legate alla verità e dignità della persona. La libertà è intrinsecamente legata alla verità, e non c’è autentica libertà al di fuori o contro la verità. Esiste un nesso inseparabile fra vita/libertà/verità. La vita, la libertà e la verità sono beni inseparabili, anelli di una medesima catena: quando si spezza uno, l'altro finisce anche con l'essere violato. Non si è nella verità quando non si accoglie e ama la vita, e non vi è libertà piena se non collegata alla verità. Separare la libertà dalla verità oggettiva rende impossibile la fondazione dei diritti della persona su una solida base razionale, e stabilisce le premesse di comportamenti arbitrari e totalitari, tanto degli individui come delle istituzioni. Esemplari sono al riguardo le parole del Galileo di Nazaret: - La verità vi renderà liberi - ”.

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