C’è un nuovo pacchetto legislativo riguardante lo spazio Schengen, con una nuova normativa per controllare la libera circolazione delle persone in Europa. È la conseguenza del duro scontro di due modi di analizzare il fenomeno sociale dell’immigrazione. Sono due punti di vista contrapposti che generano conflitti nel Parlamento europeo. Il primo, quello dei singoli governi “federati” (attraverso l’istituto del Consiglio), che vogliono una maggiore libertà per gli Stati, al fine di reintrodurre i controlli di frontiera laddove sia necessario. Il secondo, quello del Parlamento, che vuole imporre le condizioni più rigorose alla sospensione unilaterale dell’accordo, per difendere il diritto dei cittadini europei alla libera circolazione. Dopo una lunga trattativa il Consiglio e il Parlamento raggiungono l’intesa. Gli Stati membri potranno reintrodurre dei controlli alle frontiere per un periodo massimo di due anni, se si ritengono minacciati da un’ondata massiccia di immigrazione. Le formalità di entrata nello spazio Schengen per i cittadini non appartenenti all’Ue saranno rese più rigorose (anche per chi non ha bisogno di visto), mentre i viaggiatori dovranno iscriversi on line, sulla base del modello già adottato dagli Stati Uniti. La Commissione sorveglierà la reintroduzione dei controlli per evitare abusi. Il nuovo sistema entrerà in vigore dal 1° gennaio 2014. L’immigrazione è costantemente accompagnata da una buona dose di paura, di diffidenza e di mistero. Sembra uno spauracchio da sventolare al bisogno, senza dimenticare la ricchezza culturale delle diverse civiltà che rappresenta a pieno titolo. Spesso è proprio la paura che blocca il cammino di crescita di una popolazione relegandola in un angolo senza speranza. L’immigrazione se solo fosse sapientemente sostenuta e valorizzata potrebbe essere un valore aggiunto, capace di arricchire la cultura europea. Non è molto distante, geograficamente parlando, il Regno Unito, nazione che ha saputo gestire il fenomeno dell’immigrazione. Basterebbe osservare quel modello per maturare e prendere spunti interessanti. Sulla libera circolazione delle persone, specificatamente al fenomeno dell’immigrazione, c’è stata sempre una costante tensione. Sarebbe stato più opportuno integrare maggiormente senza ricorrere a severi divieti. È impensabile giocare con le parole definendola “libera circolazione delle persone”, quando sarebbe più corretto definirla “controllata circolazione delle persone”. L’Europa vuole sovente paragonarsi al modello americano mentre la realtà sociale del Vecchio Continente è completamente differente. Tutto ciò induce a pensare che sia scarsa la conoscenza dei leader europei circa le problematiche sociali riguardanti l’Europa. La situazione sociale si è aggravata con la crisi economica ma già alcuni Stati avevano deciso, in modo unilaterale, di sospendere l’accordo di Schengen. Alcuni esempi. È una decisione intrapresa, nella primavera del 2011, dalla Francia e dall’Italia a causa della pressione di alcune migliaia di immigrati nordafricani. La Danimarca, nello stesso anno, si allinea seguendo lo stesso provvedimento per motivi strettamente elettorali. Ma nonostante il risalto mediatico dato alla sospensione dell'accordo, il governo di centrodestra perde ugualmente le elezioni. È un problema politico oppure sarebbe più serio prendere in considerazione l’aspetto squisitamente sociale del fenomeno dell’immigrazione? Ciò che appare troppo discrezionale è la decision edegli Stati. A chi spetterà stabilire sulla natura della situazione eccezionale? Ai governi, almeno in un primo tempo. Ma la disposizione potrebbe basarsi solo su considerazioni politiche, non certamente tecniche. Le minacce possono essere esagerate per motivi elettorali, come nel caso della paventata “invasione” bulgaro-romena nel Regno Unito [nel 2014, secondo accordi già fissati, Londra – pur non avendo aderito allo spazio Schengen – abolirà le restrizioni all’accesso al mercato del lavoro attualmente presenti nei confronti di alcuni Paesi dell’Ue] oppure lo “strappo” unilaterale della Svizzera, che invece aveva aderito a Schengen, e che poche settimane fa ha esteso a tutti i Paesi Ue il contingentamento dei permessi di soggiorno superiori ad un anno. L’eurodeputata romena Renate Weber, che ha condotto i negoziati per conto del Parlamento europeo, sostiene che l’accordo definisce le regole comuni per la reintroduzione dei controlli solo in circostanze eccezionali. Ma l’Associazione delle città tedesche si è lamentata presso il governo federale che gli immigrati, in particolare quelli provenienti dalla Romania, incidono pesantemente sul sistema previdenziale locale, comportando una spesa eccessiva per le casse di municipalità e città circondariali. Può essere considerato questo caso come una situazione eccezionale? Appare piuttosto una banale speculazione a dimostrazione della fragilità delle nuove regole dello spazio Schengen. L’accordo prevede che Romania e Bulgaria non siano considerate Stati candidati allo spazio Schengen, perché hanno già i requisiti tecnici per farne parte. Il nuovo meccanismo di valutazione non fa più riferimento a criteri come la corruzione o il crimine organizzato, spesso rimarcati da alcuni Paesi come deficit ancora persistenti in quelli di “fresca nomina” Ue (nel mirino sempre Bulgaria e Romania). L’adesione a Schengen dei due Paesi eurocomunitari dal 2007 potrebbe essere agevolata con questo compromesso e probabilmente gli altri Stati membri, in virtù del meccanismo che autorizza la reintroduzione dei controlli di frontiera, saranno più disponibili nei loro confronti. Tutto dipenderà dai calcoli politici maturati nelle capitali europee. Poco o nulla potranno decidere la Commissione o addirittura il Parlamento europeo. Persiste costantemente un problema di ‘governance’ politica che troppo spesso sfugge al controllo delle istituzioni europee.
(articolo tratto dalla rubrica ‘Der punkt’ - ‘Il punto’ del settimanale bilingue ‘Bolzano’)