L’Europa attraversa una profonda crisi economica strutturale dovuta, in larga parte, alle mancate riforme politiche del parlamento dell’Unione europea. Dopo l’ingresso della moneta unica, nel gennaio del 2002, era d’obbligo iniziare, a piccoli passi, quel lento procedimento di unificazione politica e fiscale, in grado di garantire maggiore autorevolezza. Sarebbe stato più semplice fornire una pronta risposta di politica economica riguardante le diverse emergenze degli Stati membri, vissute negli ultimi cinque anni. La struttura del nuovo soggetto politico doveva contemplare: l’unione fiscale, la banca centrale con pieni poteri, la politica estera effettivamente “centralizzata” (cioè dotata di una cabina di regia autorevole e con obiettivi condivisi dal Baltico al Mediterraneo, da Cabo de San Vicente a Lublino). Se fossero state elaborate opportunamente queste riforme politiche con le inevitabili conseguenze economiche, l’Unione europea avrebbe potuto decidere, a pieno titolo, sulle diverse problematiche dei Paesi membri con maggiore incisività, riuscendo a risolvere, in tempi rapidi, problemi troppo a lungo rinviati che attendono ancora una soluzione. Ciò cui invece assistiamo, in questi giorni, è un desolante spettacolo offerto da un’Europa che vuole cambiare assetto alle sue Istituzioni ma fatica a intervenire. L’impasse è totale. Se non sarà intrapresa una decisa azione politica il rischio di vedere l’Europa alla deriva è molto probabile, fallendo il progetto ambizioso che potrebbe aiutare e migliorare la vita sociale di molti europei. Non è solo una mera questione da dibattere tra le persone euroscettiche e gli europeisti convinti, poiché serve pragmatismo e determinazione per arrivare velocemente all’unificazione europea, con un forte spirito costruttivo, al fine di evitare ulteriori crisi politiche ed economiche. È storia di questi giorni. L’economia non riesce a decollare lasciando la zona euro in un sostanziale stallo. Le riforme strutturali che i leader politici invocano a gran voce per conferire una maggiore governance all’Unione europea, sono ancora da discutere e da approvare da tutti gli Stati membri. Per ora sono solo annunci. Le cifre della crescita economica rese note qualche giorno fa da Eurostat sanciscono una condanna a morte per l’Europa. Nel primo trimestre del 2013 l’economia della zona euro registra i conti in rosso in tutti i Paesi. La Finlandia e i Paesi Bassi hanno una crescita negativa, mentre l’Austria è immobile. La Francia è entrata ufficialmente in recessione. La crescita della Germania è positiva, ma soltanto da un trimestre all’altro. Ciò che consola l’Europa è solo la parte fiscale perché i conti degli Stati sono in ordine e il debito pubblico dei Paesi dovrebbe scendere gradatamente nei prossimi anni. A confermare questo trend economico è l’Ocse: “Il rigore fiscale sta finendo. Per l’Italia e per molti altri Paesi della zona euro – sottolinea il capo economista dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, in un colloquio con Radiocor [agenzia di stampa del Gruppo Il Sole 24 Ore] – si avvicina il momento in cui il rapporto debito/Pil si stabilizza e comincia a scendere. Quindi l’aggiustamento fiscale nella zona euro è molto avanzato e possiamo prevedere di entrare, molto presto, in una situazione di normalità”. C’è però da sottolineare l’enorme divario tra la Germania e gli Stati dell’area euromediterranea maggiormente indebitati. “La politica di Berlino non è motivata soltanto dal pragmatismo ma anche da valori fondamentali”, ha precisato l’economista tedesco Ulrich Beck in un’intervista. “Le obiezioni nei confronti dei Paesi che spendono in maniera eccessiva sono una questione morale. Dal punto di vista sociologico, una posizione simile ha le sue radici nell’etica protestante. Ma è anche questione di razionalismo economico. Il governo tedesco ha adottato il ruolo di un maestro che insegna ai Paesi meridionali come riformare le loro economie”. L’attesa non riuscirà a risolvere la controversa situazione mentre le altre economie mondiali trovano conforto con una crescita del Pil e un’occupazione in decisa ripresa. Perché in Europa c’è anche l’allarme della disoccupazione giovanile. Cosa e chi dobbiamo ancora aspettare?
(articolo tratto dalla rubrica ‘Der punkt’ - ‘Il punto’ del settimanale bilingue ‘Bolzano’)