Improvviso, l’anno di grazia 2013 è giunto sull'Italia. Solo il popolo ne ha un sentimento vero, non tolto dal tempo, abbagliato da un antichissimo ‘gran rifiuto’, ma nauseato da coloro che camminano in cerchio per pattugliare il ‘fortino’ di un’oligarchia ormai disadorna e mediocre. Fatico a parlare di laicità e di comportamenti avulsi da nevrosi con ragazzi già delusi e disincantati, costretti a mendicare aiuti da genitori e parenti. Ho scritto di recente a un amico quanto più moderno sia il popolo, diviso tra borghi e rioni in gioventù sempre nuove rispetto ai vecchi sogni. Essi mi hanno letto. Non so bene come, ma lo hanno fatto. E rimango toccato dai loro complimenti. Piangono come inutile la ricerca di ogni identità, aggrappandosi ingenui a quello che fu. Persino i più grezzi tra loro mi esprimono affetto, mentre scotta il primo sole dell’anno sui marciapiedi di maggio, che ancora odorano di pioggia. Nelle vetrine, i colori della nuova stagione che arriva. E dolci ragazze romane saltellano già sbracciate e sorridenti, felici per le piccole gioie di una vita priva di sogni. Lavoro non ce n’è. E la famiglia è stata ormai abbattuta alle fondamenta: vano, ormai, cercarsi un fidanzato sincero, con serie intenzioni. La loro utopia è la costruzione sul nulla, è camminare nel vuoto. Non sono per niente stupide le ragazze del popolo: sanno bene di appartenere a una generazione stuprata da una borghesia indifferente, da insolenti cialtroni, da strozzini arroganti, da calunniatori e carogne. Questo è ciò che hanno visto. Questo il genere di persone che hanno incontrato. Questo è quanto generalmente pensano di politici e imprenditori, professionisti e amministratori, sacerdoti e professori. Come avete fatto a non accorgervi del fenomeno? Noi non viviamo in una sola generazione, ma in un Paese in cui ogni generazione é vissuta tra terre e genti umiliate per secoli. E dissociati si sentono coloro che possiedono una qualche nozione della nostra Storia. Essi vivono puri, non oltre la memoria di una generazione in cui la presenza della vita è la loro vita stessa, amara e perentoria. Una vita che è vita poiché assunta nella ragione, costruita per il nostro passaggio, giunta a non essere altro che il nostro accanito difenderla. Così è fatto il popolo, che attende accampato nelle case e nei borghi sin dalle più antiche e inanimate ere. Muta in esso l'uomo e il suo destino. Ma se ci rivolgiamo a quel passato che dovrebbe essere nostro privilegio recuperandone il moto sin dalle cristiane origini, immobile esso si ripete, sempre uguale a se stesso. Le periferie delle nostre città non sono nient’altro che questo: ragazzi sempre nuovi, eppure immutabili. Cambiano i miti e i modelli imposti, mentre noi ci ripetiamo stanchi nell’insistere a proiettare sempre le medesime immagini di noi stessi, senza reali contenuti e identità. Quale visione di laicità può essere vera per questi ragazzi, che sognano da soli ogni sera tra i viali desolati? Quale vita? Quale verità? Sulla santa violenza dei loro rozzi cuori il clero ha calcato la mano asservendoli a un’infanzia feroce, ghettizzandoli nei feudi desolati di un impero nascosto persino agli occhi di Dio. Ed essi crescono imitando gli atteggiamenti guasconi del ‘pupone’ nazionale, che fissò negli occhi il portiere dell’Australia come solo uno ‘stronzetto’ romano può guardare un povero ragazzo proveniente dall’altro capo del mondo. Vivono le vite degli altri senza invidia, senza false reputazioni, senza soldi e con poche avventure da raccontare, in attesa che qualcosa cambi la loro esistenza. E’ la contemplazione cattolica: posso quasi toccarla con mano. Mi raccontano i loro amori senza vergogna, ma senza giudizi. Mi spiegano gli assurdi perché del loro ‘sballo’, del sesso fatto di fretta nei bagni delle discoteche, sorridendo del loro stesso squallore. Che cosa gli andiamo a dire, adesso? Che non era questo il modo giusto di vivere la loro giovinezza? Se tale era il compito, nessuno li ha aiutati a correggersi, o quantomeno ad autoeducarsi. E’ per questo che, oggi, nessuno sente di dover dire grazie a nessuno. Grazie per cosa? Per le loro vite vuote? Per i loro sogni infranti? Una folle irresponsabilità ci ha inseguiti e raggiunti. E noi non siamo riusciti a dare un senso a niente che potesse coinvolgere questi ragazzi in un sogno concreto, in un disegno raggiungibile, in un effettivo progetto di vita. Il solco creatosi è profondo e io, da solo, non posso colmarlo. Lo scrivo ai migliori di voi, a coloro che possono ancora sentire con il cuore: è l’Uomo in persona a gridarmi ogni notte la loro disperazione.
Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it