Riccardo NenciniI Governi di responsabilità nazionale rappresentano autentiche eccezioni nella Storia. Segnalano la permanenza di una congiuntura negativa oppure le difficoltà di un risultato elettorale a trasformarsi in governabilità. In Italia si sono sommate entrambe le condizioni, aggravate dal concorso di almeno tre deficit e da una crisi. Deficit istituzionale, politico ed economico. Crisi di missione, la peggiore. Il Governo Monti nacque per reagire a una profonda e pervicace crisi economica cui si aggiunse lo sfarinamento della maggioranza che sosteneva l’esecutivo Berlusconi. Il dicastero Letta prende vita quando a quelle ragioni si aggiunge l’emergenza politica figlia del risultato elettorale. Una congiuntura terribile, che deve fare i conti con pressanti questioni che tutti gli stati europei tentano di fronteggiare, domande generate da straordinari cambiamenti che hanno spazzato via consuetudini in auge dagli anni cinquanta. Come redistribuire la ricchezza, come assumere le nostre decisioni nel logoramento del binomio democrazia-capitalismo, come organizzare la società della conoscenza così diversa dalla società industriale, e infine come mettere un freno al capitalismo finanziario. Possiamo farcela, se la missione che il Governo si è dato è largamente condivisa (come nell’Italia 1946/48 o, più circoscritta, nella fase Prodi-Euro del 1996). L’alternativa è il rischio di una caduta senza freni, che potrebbe diventare slavina. Perché l’austerity può essere sopportata per mesi. Mesi, non anni. Non la invidio, signor Presidente: della ‘coppia bismarkiana burro e cannoni’, gli ingredienti indispensabili al Governo, lei avrà poco burro (inteso come spesa pubblica) e gli Stati Uniti temo non le invieranno nemmeno un moschetto. Le sarà invece di una qualche utilità lo strabismo, un occhio all’oggi e l’altro a indagare il futuro. Bandisca, se può, il presentismo, perché dall’emergenza non si esce senza un progetto di largo respiro. E soprattutto le servirà più politica, la strada alla quale la nostra generazione è stata educata. L’Europa ha bruciato in questi anni troppe forme di governo - dagli esecutivi tecnici al sistema delle elezioni multiple (Grecia) fino ai tentativi di coinvolgere i maestri della demagogia nelle stanze del potere - e continua a vivere nel cuore di una depressione non ancora sconfitta ma senza la buona politica, senza l’etica della responsabilità, senza un sentimento radicato nel bene comune restano solo demagogia a buon mercato e il primato delle oligarchie. Nell’immaginario collettivo, i Partiti sono ritenuti gli artefici della voragine nella quale si specchia l’Italia, colpevoli sia del dissesto finanziario che per non essere riusciti a riconciliare l’impeto della libertà civica con il cuore dei cittadini. Per questo portiamo una responsabilità grave. Ciascuno di noi. Adepti del nuovismo populista compresi. Abili, questi ultimi, nel vincere grazie ai problemi, ma inefficaci nel risolverli. Ottimi nelle offese, pessimi nell’assumere le responsabilità che derivano loro dall’essere stati eletti nel Parlamento della Repubblica. Decisi nel chiedere agli altri chiarezza utilizzando la rete, omertosi nel dare trasparenza alle decisioni che assumono trafficando sulla rete. Perlomeno i ‘frateschi’ di Savonarola le mani se le sporcavano, eccome. E non mancarono nemmeno i ribelli e i dubbiosi benché l’anatema fosse la meta più prossima. Signor Presidente, la grande coalizione trova fondamento nello stato di necessità ma ha un senso solo se si dota di un programma innovativo che va alla radice dei problemi e se prepara un sistema politico fondato sull’alternanza. La marcia mi pare avviata. Il mondo del Grande Gatsby è magnifico per chi lo frequenta non per chi vive dietro la sua porta. Il 48% della ricchezza detenuto dal 10% della popolazione ricorda più l’Ottocento della nobiltà latifondista che un paese moderno. La Patrimoniale sulle Grandi Ricchezze che in Inghilterra sostiene quel rivoluzionario del vice primo ministro liberale è una bestemmia tanto più se utile a tagliare la pressione fiscale sulle PMI e sulle famiglie con basso reddito? Abolire l’IMU sulla prima e unica casa in proprietà è un atto di demagogia o un atto di coraggio? Non si reperisce una manciata di miliardi di Euro tagliando pezzi di spesa pubblica improduttiva, contenendo roboanti pensioni e indennità pubbliche con quattro o sei zero ed eliminando quegli enti superflui fioriti negli anni, oggi il doppio dei vizi capitali? Seimila corsi di laurea, 42 dei quali con meno di 5 iscritti, 327 con circa 15 iscritti, 95 atenei con 370 sedi distaccate a fronte di soli 35 milioni di euro di finanziamento per i progetti di qualità di tutta l’università italiana: è sufficiente un leggero ritocco? Il controllo del territorio affidato a sei forze di polizia nazionali e a due locali assicura davvero maggiore sicurezza? E l’acqua diventa effervescente naturale se sugli oltre 13.500 acquedotti vigilano 5513 enti? Accanto all’emergenza economica c’è un’emergenza politica e istituzionale. Non a caso ci siamo dovuti affidare alla generosità del capo dello Stato per sbrogliare la matassa. Non perché la sua rielezione non fosse auspicabile (peraltro noi la sostenemmo in epoca non sospetta), ma perché non era auspicabile il modo in cui si è verificata. La conferma di una ‘Partitocrazia senza Partiti’ su cui è nato il sistema politico della seconda Repubblica. E poi è morto ammazzato! La legislatura dovrà essere costituente. Una Convenzione parlamentare che tagli il nodo della Grande Riforma per restituire organicità alla Carta, ferita da una decina di incursioni con alla testa norme elettorali imposte da leaders che avevano deciso di perpetuarsi ‘per legge’ come fossero Chavez. Lo hanno insegnato i padri costituenti: quando la sovranità è in grado di dettare le regole nello stato di eccezione, lì trova la sua più alta legittimazione. E lo stato di eccezione, in Italia, riguarda soprattutto il sistema politico e la sua fragilità. Per credere, guardare alle oscillazioni dei mercati e assistere alle discussioni che si accendono al mattino in un qualsiasi bar di questa Italia. Il ministro posto a presidio conosce la materia. Ci fidiamo della sua competenza e confidiamo nella sua esperienza. Urge una nuova legge elettorale che consegni ai cittadini il potere di scegliere gli eletti e la facoltà di stabilire la linea di confine tra governo e opposizione. Ma è oltremodo necessario che il sistema dei partiti sia animato da soggetti la cui identità sia meno legata alle contingenze elettorali e si avvicini di più al modello europeo. Non che la questione ci riguardi ma almeno non ci capiterebbe più di leggere che l’acerrimo nemico del maggior partito italiano aderente al PPE sia il leader del partito più grande in Europa iscritto al Ppe medesimo. Si cominci con il togliere il nome del leader dal simbolo del Partito. Qui ‘no leader, no party’, altrove ‘no party, no leader’. Va declinato infine l’art. 49 della Carta così come intendeva fare Calamandrei: rimborsi elettorali solo a chi applica regole di libertà e di democrazia e certifica all’esterno i suoi bilanci. Ma il passo decisivo è il riconoscimento degli opposti. Il bipolarismo nostrano è la rappresentazione della lotta medievale tra consorterie nemiche non è il duello tra antagonisti legittimatisi a vicenda. Allora il nome dello sconfitto veniva pubblicato nel Libro del Chiodo: oggi viene bandito dai programmi televisivi. Una differenza formidabile con le democrazie europee. Causa non ultima di una debolezza di sistema che impone costi troppo alti di efficienza e di capacità decisionale. La nascita del suo Governo, signor Presidente, non è passata immune nello schieramento del quale faccio parte. Quanto è accaduto e quanto sta per accadere nella sinistra italiana ci interessa. E molto. E so che interessa anche a lei. Hanno scritto che nei primi cinque scrutini si è celebrato il congresso del Pd. C’è del vero ma a ben vedere a Montecitorio è andato in scena il racconto dell’ultimo ventennio scritto dalla parte maggioritaria della sinistra. Per questo, considerare Bersani responsabile unico significa fare della verità un accidente. In ordine. Il sacrificio di Prodi e di Marini ha dimostrato che neanche il ricorso alle risorse del cattolicesimo democratico ha risolto il problema della leadership. Solo dopo la caduta di entrambi si è imposto il confronto tra Napolitano e Rodotà: la rappresentazione del dilemma antico tra l’approdo alla sponda del socialismo democratico e l’avventuroso viaggio di una carovana multiculturale. Infine, manifestatasi con la sua candidatura alla guida di un Governo del presidente, la riproposizione della frattura - classica - tra sinistra riformista e un eterogeneo mondo progressista, parlamentare ed extraparlamentare. Non auguro a nessuno di vivere una stagione di scissioni. I Partiti sono comunità fatte di passioni, di antagonismi, di emozioni. Quando le comunità si rompono, hanno la meglio, sempre, livore e rancore. Ma, sosteneva Nenni, ‘con il risentimento non si fa politica’. La sinistra italiana, lungo la linea riformismo-massimalismo, ha conosciuto fratture profonde. La prima novanta anni fa, carica di conseguenze nefaste e preludio alle divisioni del secondo dopoguerra, per finire con i fatti del 1998 e con l’epilogo del secondo Governo Prodi: maggioranza in pezzi, pare con aiutino, ed elezioni anticipate. ‘Dovremmo partire dal principio che siamo cercatori di risposte non i depositari della rabbia della gente’ ha scritto Tony Blair. Ha ragione. La gente si affida prima di tutto a un capo carismatico che risolva i problemi. Ma la politica non può ridursi a uomini soli al comando, scissi da una cultura politica di riferimento. Le soluzioni non sono tutte uguali. E’ auspicabile che il confronto che si aprirà coinvolga tutte le forze del riformismo italiano, mettendole intanto alla prova del Governo di responsabilità se è vero che solo regolando lo stato di eccezione si legittimano gli Stati, i Governi e anche i Partiti. La responsabilità civica prima di ogni altra cosa sostenuta da un progetto di grandi riforme. Se questi due fattori coesistono bene, altrimenti il danno divora la soluzione. Signor presidente, lei e i suoi ministri godrete del doppio privilegio di tentare questa strada e di portarne la croce. Lei ha elevato l’Europa a pilastro della sua azione di Governo: ha fatto la scelta giusta. L’Unione deve aprire con rapidità il suo terzo tempo, l’età che deve succedere all’Europa di Maastricht e dell’Euro come quella degli anni Novanta integrò e innovò i connotati delle origini: il carbone, l’acciaio, la ricerca della libertà contro i totalitarismi, quello morto nel ’45 ma non ancora sepolto e quello risorto a nuova vita nel medesimo anno. C’è bisogno di più politica, di più unità, di un coinvolgimento più largo. Lei e il suo ministro conoscete bene la strada da seguire. Perché la moneta sia uguale per tutti servono unione bancaria con regole comuni, vigilanza europea, unione fiscale senza altri aggettivi, eurobond. Le imprese italiane pagano tassi di interesse molto più alti rispetto alle imprese tedesche e hanno un accesso minore al credito bancario. Mentre il nord Europa ha accumulato un forte attivo negli scambi - circa 500 miliardi - il sud del continente ha accumulato disoccupazione come al tempo della Repubblica di Weimar. Senza modifiche al patto di stabilità non potremo pagare le nostre imprese e non consentiremo alle amministrazioni con i conti in regola di investire. Accanto ai buoni argomenti, ora c’è l’autorevolezza necessaria per ingaggiare nelle sedi comunitarie una partita virtuosa. Non si troverà da solo, se interpreto correttamente i rumori che si levano da Francia, Spagna e da un pugno di Paesi dell’est. Ma soprattutto consegni all’Europa, con la passione che fu dei pionieri, un ‘Tavolato di diritti comuni’, quel portolano del diritto consigliato un decennio fa da Ralf Dahrendorf al parlamento Europeo per normare i mercati finanziari, per cancellare l’opacità di quei ‘derivati’ che compromettono il risparmio e la stabilità degli stati, per consentire a ogni cittadino di godere delle libertà fondamentali ovunque si trovi. Dove muore la trasparenza, dominano i conflitti di interesse. O no? L’Europa è alla prova, infine, in un campo che ci è nel cuore. Una interpretazione fresca della ‘giustizia come equità’ e la sua relazione con il merito. Chi ha di meno ma ha cervello, coraggio, voglia di fare, deve essere sostenuto. Per farlo, anziché coniugare sempre e solo la parola ‘crisi’ con la parola ‘difesa’, dovremo allargare il campo alla creazione di opportunità. L’alternativa è continuare a convivere con un tasso di disuguaglianza tra i più alti del continente. Chi ha un contratto a tempo determinato e non gode di alcuna tutela di base come pensate che possa dare serenità alle proprie scelte. L’Italia non ha offerto il meglio di sé. Investimenti nella ricerca, pubblica e privata, a livelli infimi; classi dirigenti ovunque molto anziane; mobilità sociale inesistente; corporativismo, cooptazione, nanismo d’impresa. Sottolineo con forza: o la missione che Lei ci ha esposto viene condivisa dalle tante elites italiane senza caricarne il peso maggiore sulla nostra gente oppure i tempi della ripresa si allontanano. Il Governo che lei presiede, signor Presidente, segna una frattura decisa con il passato. E’ un Governo politico con eccellenze tecniche; è un Governo dove coesistono forze altrimenti alternative, il primo dagli anni della Costituente; è un Governo che fa di una generazione nata tra gli anni del boom economico e la crisi petrolifera l’architrave. C’è da augurarsi che sia il Governo della sobrietà. Una ventata di sano repubblicanesimo risorgimentale non ha mai fatto male a nessuno, al massimo un raffreddore. Avremmo preferito darle il nostro contributo in modo diretto, perché questa soluzione l’abbiamo avanzata senza vergogna e in scarsa compagnia da alcune settimane. Con l’onoevole Bersani, come lei sa bene, abbiamo condiviso l’intera parabola. La lealtà è un valore e i valori richiedono disciplina. E infine, perché le forze politiche che la sostengono non sono soltanto le tre più cospicue che siedono in Parlamento e sulla cui coesione e unità d’intenti spero vegli, oltre a lei, anche la provvidenza. Per questi motivi non le faremo mancare il nostro consenso pur non sedendo nel Consiglio dei ministri. Abbiamo contratto l’impegno nelle mani del capo dello Stato e non vi verremo meno. Ho letto in queste ore che il voto di fiducia è un voto di coscienza. Tesi bizzarra, da espulsione in un esame universitario. Si tratta invece di un voto in toto politico, il padre e la madre di tutti i voti che verranno ed è, naturalmente, palese. L’assunzione di una responsabilità piena di fronte alla nazione. Di questo scranno faremo una tribuna, la sede del diritto di tribuna. Presto, sì, verranno temi spinosi in discussione dove la coscienza sarà libera di esprimersi. Immagini, signor Presidente, quanti nodi da sciogliere intorno al mondo dei diritti sociali, del dovere civico, dei diritti civili se ormai ovunque, destra e sinistra, Francia e Inghilterra, se ne occupano con stabile cadenza. Tra i suoi ministri non mancano le giuste sensibilità per trasformare i rigidi confini del passato, dalla valorizzazione delle differenti forme di famiglia al testamento biologico sollevato dal caso di Eluana fino alla piena libertà della scienza, in frontiere da esplorare senza soffrire vincoli esterni. La strada che auspico. La solita vecchia strada: “Libera Chiesa in libero Stato”. Ho concluso. Buon lavoro signore e signori ministri. Signor presidente, buon lavoro anche a Lei, con l’augurio che riesca a essere quel ‘risoluto statista poetico’ che fu, nel pensiero dei suoi ammiratori, Giuseppe Mazzini, suo concittadino anche se solo nella fuga.




Segretario nazionale del Partito socialista italiano, senatoe della Repubblica italiana
(dichiarazione di fiducia al Governo Letta a palazzo Madama)

 
Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio