Sentiamo sempre affermare che siamo animali sociali, ed è decisamente vero. In effetti, senza la presenza di nostri simili, siamo la specie più inetta del pianeta, e non solo dal punto di vista biologico ma anche da quello cognitivo. La Natura ha fatto in modo che potessimo raggiungere età sempre più avanzate proprio per permetterci di stare al mondo e conoscere più cose, sia di noi stessi che dell’ambiente. In sostanza, l’aumento dell’età dovrebbe essere anche funzionale ad un aumento delle conoscenze, dei livelli personali di coscienza e dunque di responsabilità sociale. In poche parole, la nostra presenza in vita per un numero sempre maggiore di anni dovrebbe condurre ad un miglioramento sia della qualità della vita in generale, che delle capacità di stare al mondo assieme agli altri esseri umani. Ebbene, se questo dovesse essere uno dei compiti ai quali sono chiamate le generazioni future, ho la sensazione che forse si stia ostacolando la Natura, perché mi sembra di notare la presenza, nella nostra contemporanea società Occidentale, della tendenza ad essere sempre più isolati e soli con il trascorrere del tempo. Non è sufficiente sapere e comprendere che ogni individuo ha bisogno dell’altro, di qualsiasi altro si trovi ad incontrare nella propria vita, perché questa esigenza è espressione di quella reciproca assistenza di cui ogni membro della nostra specie necessita. E quando utilizzo il termine assistenza non voglio connotarlo negativamente, facendo cioè riferimento ad azioni di passiva accettazione dell’aiuto altrui, quanto riferirmi al binomio che si crea nella vita fra una persona e l’altro, oppure una persona e il gruppo di appartenenza. La presenza di un mutuo soccorso biologicamente determinato, proprio perché naturalmente inscritto nell’evoluzione della nostra specie, deve diventare un mutuo soccorso culturalmente accettato e secondo la logica della mondializzazione. In altri termini, senza una cosciente scelta dell’altro, da qualsiasi parte del pianeta esso provenga e in qualsiasi condizioni di vita esso esista, non avremo mai il salto di qualità esistenziale che la Natura ci sta chiedendo. Tradotto nella concretezza quotidiana della vita questo concetto, ognuno di noi dovrebbe vivere come se ogni propria azione venisse compiuta anche dall’altro e contemporaneamente, abbandonando l’idea di essere lui solo l’artefice del proprio destino. Sì, anche questa convinzione è oramai obsoleta. Se cominciassimo a considerare invece la nostra vita come il risultato del modo in cui trattiamo la vita altrui, la valutazione della nostra volontà e delle nostre capacità cognitive, comprese la scienza e l’arte, troverebbe subito una solidarietà culturale e mondiale decisamente produttiva. Dobbiamo abbandonare l’idea che sia valido ancora il concetto mors tua, vita mea, perché da oggi in poi si dovrà dire mors tua, mors mea.