Il trafugamento di un corpo trasformato in una resurrezione, nel miracolo per eccellenza, nella vittoria della vita sulla morte. Una salma tenuta nascosta per secoli nel tempio di Gerusalemme e trasportata in gran segreto prima in Provenza, poi a Viterbo e, infine, a Roma, dove giace ormai da secoli nei sotterranei della basilica vaticana, a pochi passi dalla tomba dell’apostolo Pietro. Questa la storia dei resti di Gesù di Nazareth o delle poche ossa rimaste. La Chiesa da sempre fa finta di non sapere, di non conoscere questa vicenda. Ma molti romani ne hanno spesso sentito parlare e tollerano l’esistenza di una ‘cittadella’ estranea allo Stato italiano per una profonda gelosia nei confronti di questo colle capitolino, che conserva i resti del primo vero rivoluzionario della Storia. La cosa non dà adito a ricerche particolari. Anche se, in passato, molti archeologi di fama internazionale hanno scritto più di qualcosa intorno a quella che, secondo loro, era molto più di una leggenda. Qualcuno comincia a parlare di Gesù come del primo vero laico apparso sul quadrante della Storia. Altri si pongono il problema di riappacificare la figura di quest’uomo con le vicende dell’intera umanità, affrancandolo da simbologie iconoclastiche, misticismi ascetici, stucchevoli esoterismi ‘new age’. Ebbene, Gesù era il figlio di un carpentiere, appartenente per nascita al ceto degli Zeloti, fondatore di un giudaismo liberale accolto con fastidio dalla nomenclatura religiosa ebraica del tempo. Molto poco si conosce dei suoi anni giovanili, trascorsi a mandare avanti l’attività edile del padre, venuto improvvisamente a mancare. Fu proprio nelle lunghe ore di lavoro che Egli si lasciò andare a pensieri, meditazioni e riflessioni, che lo portarono a maturare alcune convinzioni. I teologi lo sanno bene: il punto di vista di Gesù è soggettivo, introduce nella Storia l’individualismo proprio per trovare una via di fuga dalla follia del mondo. Parlò di spirito poiché grande era la sua autorevolezza allorquando interveniva nel piccolo tempio di Nazareth o di Galama (la disputa sulla reale località di residenza giovanile è ancora aperta…). Lo ‘spirito’ era ciò che lo aveva colpito, come se si sentisse raggiunto da una illuminazione che lo rendeva convincente, sereno, profondo. L’aspetto materiale della sua vita fu caratterizzato da una frugalità alla quale, in verità, era costretto per forza di cose. Ma l’elevatezza del suo spirito interiore portava chiunque, in Galilea, ad amarlo e a ospitarlo in casa propria, per il pasto o per alcuni giorni di festa. Persino la sua ultima cena poté avvenire grazie al fatto che lui e i suoi amici furono ospitati gratuitamente. “Vai da quel tale e avvertilo che stasera saremo da lui”: gli bastava dir questo a uno qualsiasi dei suoi discepoli per trovare un luogo in cui trascorrere le ore serali o notturne. Oppure, si accampava nel giardino degi ulivi, perché tanto in Galilea il clima è sempre così caldo da permettere, con relativa tranquillità, di dormire intere stagioni sotto al cielo stellato dell’angolo più bello di tutto il Mediterraneo. La sua condizione di perenne povertà lo portò a teorizzare il suo tipo di fede, un concetto che risultò limpido, molti secoli dopo, a San Francesco d’Assisi. “Tutto ciò che avete avuto gratuitamente, gratuitamente datelo”: era questa una delle sue frasi preferite. Non era un ‘bohémien’, come si direbbe oggi, ma una sorta di precursore del ‘campeggio libero’, se proprio vogliamo trovare una chiave di lettura rispettosamente ‘spiritosa’. Un mondo senza avidità, senza dolore, senza ingiustizie, in attesa del giorno in cui “il lupo e l’agnello dormiranno assieme”. Anche perché, soldi in tasca raramente ne aveva. E addirittura protestò con irruenza contro i mercanti del tempio di Gerusalemme, che vendevano di tutto nel luogo più sacro della Palestina. La sua religione può considerarsi una variante dell’Ebraismo? Può darsi. Ma questo è un problema secondario, in fondo. La verità è che si trattava di un giovane 'Rabbi' discriminato per questioni fondamentalmente di censo. Ovvero, per la propria condizione di povertà, che lo portò alla famosa accusa contro i ‘sepolcri imbiancati’. Una visione che potrebbe essere di aiuto anche oggi, nel quadro dell’attuale economia globalizzata chiamata a darsi nuove regole di moderazione, prudenza, minor ostentazione di opulenza. Vivere con poco, al fine di coltivare una serie di interessi e raggiungere una qualità di vita migliore, persino più felice. Anche la questione del suo definirsi “figlio dell’Uomo” rimane controversa. Lo disse spesso, rifiutando il ruolo di Messìa, o di ‘unto’ del Signore. Le misteriose vie di una vita di ‘stenti’ lo portarono a risolvere una serie di problemi concreti, attraverso modalità che avevano del miracoloso, se letti alla luce della normale onestà, se si riuscisse a fare lo sforzo di andare oltre quella ‘chiave fideista’ che tende a saltare la Storia a piè pari. Possono essere molte le spiegazioni scientifiche o storiografiche in grado di fornirci valide interpretazioni di quel che spesso ci viene raccontato dai testi sacri. E ben pochi sono i reali misteri: forse, solamente quello della morte dei figli primogeniti ai tempi della fuga degli Ebrei dall’Egitto. Distinzioni razionaliste? Mitologie controfattuali? Può anche darsi. Ma il vero mistero delle religioni non è forse proprio quello di reggersi su miti e leggende che hanno finito col colorare, con l’adornare semplici fatti? Non può essere la Storia stessa che si ‘spoglia’ e si ‘riveste’? Buona Pasqua dalla redazione di www.laici.it.