Gentilissimo onorevole Alfano, ebbene sì: io disprezzo il popolo italiano. Ma non l’Italia, che invece amo immensamente al di sopra di ogni cosa, persino di me stesso. Il problema italiano non sono le sue istituzioni, assolutamente modificabili, o le sue leggi, certamente riformabili, o le sue procedure, ampiamente interpretabili. Il problema è proprio il nostro popolo, sin dai tempi di Massimo D’Azeglio: il popolo del centrodestra, suddito e cliente di quella malapolitica che, a parole, dice di disistimare; e il popolo della sinistra, che si ostina a dividersi nonostante abbia la possibilità di fare qualcosa di propositivo, di costruttivo, dando il via a nuovi linguaggi comunicativi, a innovativi princìpi e metodi di gestione della cosa pubblica. Persino il Vaticano, per una volta, ce lo insegna: al momento, esiste un pontefice emerito e un vescovo di Roma appena eletto, perché persino la Chiesa, nella sua millenaria saggezza, è perfettamente cosciente di non potersi dividere tra un Papa e un anti-Papa tornando al medioevo, alla cattività avignonese, al feudalesimo più cupo e immobilista, a “Satana che combatte Satana”. Invece, il popolo italiano ama dividere e dividersi, distruggere e distruggersi, contrapponendo demagogo a demagogo, istrionismo a istrionismo, vendetta a vendetta. Lei ha dichiarato che noi uomini dell’intellighentia di sinistra disprezziamo il popolo che da 20 anni vota per il centrodestra. Ma si sbaglia di grosso: persone come Lucia Annunziata, la migliore delle colleghe ch’io abbia avuto modo di incontrare in questi anni di libero esercizio della mia professione, non disprezzano affatto il popolo italiano. Essi sono semplicemente rassegnati, secondo un dato di piena discendenza illuminista. Sono io - e solamente io - a disprezzare gli italiani. E ciò non è affatto un dato di poco conto, nonostante io possa rappresentare solamente me stesso, il mio lavoro, la mia professionalità, il mio personale impegno nel voler comunicare ogni giorno con i miei lettori. Odio il popolo italiano poiché lo reputo inoppugnabilmente indegno di se stesso e della propria Storia, verso cui sempre più spesso manca di rispetto. Persino un sasso è meglio di un italiano, opportunista ed egoista per definizione, gretto e irresponsabile per indole, vile e presuntuoso per vocazione, arrogante e perennemente in contraddizione con se stesso per retaggio. Un popolo che si prende per i ‘fondelli’ da solo non per autoironia, ma in quanto incapace di individuare, attraverso il proprio diritto di voto, l’esigenza di dover esprimere una degna soluzione di governabilità, una forma moderna di alternanza democratica responsabile, scevra da odi, antipatie, convenienze personali. C’è chi inneggia, per esempio, ai giudici Falcone e Borsellino dimenticando l’esponente politico, Claudio Martelli, che più di tutti si è storicamente prodigato al fine di fornire alla magistratura validi strumenti volti a contrastare le mafie e la criminalità organizzata. Un cancro, quello sì, che da sempre spadroneggia sul nostro territorio poiché protetto da secoli di omertà e sudditanza. Lei, onorevole Alfano, è un esponente politico ben contento di riuscire a ottenere il 30% dei consensi, mentre io, personalmente, mi vergognerei anche se me ne venisse offerto il 60 o il 70. Poiché mi ritroverei a dover rifiutare quella mia individuale coscienza laica che mi ha guidato sin dalla mia più lontana e infelicissima infanzia, attraverso la quale ho perennemente cercato di costruire un modello di riferimento identitario e di comportamento finalizzato a diventare un uomo che potesse, in qualche modo, distinguersi dagli altri. Io vi disprezzo e vi disistimo come il più grande ed energico dei sentimenti che riesco a provare, come la più fondata delle discriminazioni che ho potuto individuare, la principale e unica sicurezza su cui poter contare, più certa di ogni vostro Dio personale, di ogni vostro culto trascendente, nutrito da un’ira profonda e pur fredda, solidificatasi come il ghiaccio, fino a rendere ogni mia parola assolutamente gratuita e non necessaria, rappresentando pienamente la mia più totale distanza morale da ognuno di voi. E’ più facile amare un animale, una montagna o un oggetto, per me, piuttosto che uno qualsiasi degli italiani. Un popolo indegno della propria sovranità costituzionale, incapace di gestirsi autonomamente come società non dico all’avanguardia, ma per lo meno con un minimo senso di contemporaneità rispetto a se stessa e ai tempi che cambiano. Nei miei rari incontri con Claudio Martelli, uno dei pochi uomini realmente intelligenti di una nazione composta da volgarissimi inetti, egli mi chiede ogni volta: “Non scrivere che ci siamo visti, poiché io sono un uomo profondamente disprezzato”. Ma non appena questo maturo signore afferma questa frase mi viene un tuffo al cuore, poiché si tratta di una totale ingiustizia, di una sorta di ‘fine pena: mai’, il tragico esempio dell’iniquità profonda di cui è capace questo Paese per la sua totale mancanza di memoria, per il suo cattolicesimo discontinuo e incoerente, per il suo amore incomprensibile per le mere apparenze, un finto-calvinismo che diviene indulgente solo allorquando sono in giuoco le proprie personali miserie domestiche. Io non sono un puro: sono ben lungi dal dichiararmi migliore di qualsiasi altro uomo. Eppure, di fronte a me stesso, assai confortante mi appare quell’insegnamento laico e liberale di riuscire ad ammettere una manchevolezza, un qualsiasi errore di leggerezza o superficialità. Invece, la maggior parte delle persone che ci circondano, in genere evitano ogni responsabilità come il noto don Abbondio di ‘manzoniana’ memoria, per poi improvvisamente concedere un credito eccessivo al primo avventuriero di passaggio, senza minimamente tenere in considerazione l’interesse generale e il bene comune del nostro Paese. Una larga parte degli italiani ama nascondere e nascondersi, mascherare e mascherarsi, mantenendo una secolare abitudine alla dissimulazione, alla recitazione surreale, anche in argomenti su cui ci sarebbe ben poco da scherzare. Un popolo profondamente insincero, privo di autenticità, di un senso anche minimo di identità collettiva, poiché capace solamente di ‘cavarsela’ in qualche modo. Un popolo che si guarda allo specchio e non si vede nemmeno più, che chiede la collaborazione degli altri solo quando ha bisogno, per poi dimenticarsi immediatamente del prossimo non appena ogni difficoltà risulta superata. Sono tutti quanti su twitter o su facebook, ma se non vi fosse stato l’avvento di queste innovative tecnologie di comunicazione, gli italiani avrebbero senza alcun dubbio dimenticato ogni compagno di scuola, ogni collega di università, ogni commilitone incontrato durante il servizio di leva, ogni amore provato e vissuto. Un popolo di persone chiuse dentro un'armatura inutile. Medievale esattamente come le procedure feudali del modello politico-partitico che da sempre appoggia, sbandante dall’iperburocratizzazione più malata, alla totale liquidità anarchica, che richiama alla memoria certe antiche ‘compagnie di bandiera’. Lei, onorevole Alfano, detto senza alcuna acrimonia, è il segretario politico di un Partito. Eppure non riesce ad andare oltre al più ‘scialbo’ dei portavoce, un avvocato di parte di un leader in evidente declino, che non dovrebbe neanche sentire il bisogno di farsi difendere dagli altri se veramente fosse sicuro delle proprie ragioni, se sentisse in sé la certezza assoluta di non aver mai ceduto al fascino dell’adulazione, della vanagloria, della vanità più superficiale e vanesia. La superficialità può anche essere la più alta rarefazione dell’intelligenza allorquando evita percorsi eccessivamente impervi, soluzioni cervellotiche, percorsi di basso profilo. La superficialità di uno slogan, per esempio, può trasformarsi in un’idea dai forti contorni qualitativi, ma solamente quando essa è mossa da autentico altruismo politico, da un senso totalmente disinteressato di misericordia nei confronti dei cittadini. Altrimenti, essa declina invariabilmente in superbia. Quella superbia che risulta dipinta sui vostri volti da almeno 20 anni e che nemmeno chi, in passato, ha desiderato processare i democristiani sulle piazze aveva mai riscontrato nei propri avversari politici. Voi ragionate in base a schematismi edonistici ormai superati: vorreste tutti assomigliare a un Craxi, ma nessuno di voi ne vale un’unghia; vorreste rappresentare il qualunquismo raffinato e colto di Giulio Andreotti, ma non ne possedete minimamente lo spessore culturale; vi lasciate andare a forme di intimidazione psicologica dettate solamente da squallide destrezze acquisite nel tentativo, disperato e truffaldino, di rubare un minimo di personalità a un comico di passaggio, o a qualche teatrante di strada. Vivete tutti di sguardi fermi, di analisi statiche, di fotografie ottocentesche, di meri atteggiamenti carichi soltanto di dolore e insoddisfazioni che mai riuscirete a rielaborare o a metabolizzare, poiché non ne avete gli strumenti morali e umani. Ed è per questo che vi compatisco.
Direttore responsabile del mensile 'Periodico italiano magazine' e dei siti di approfondimento www.laici.it e www.periodicoitalianomagazine.it