Siamo ormai giunti alla sfida finale: con la ricandidatura di Silvio Berlusconi, l’Italia dirà definitivamente la sua ultima parola sul proprio futuro. Soprattutto, se intende veramente andare incontro a esso, oppure rimanere ancorata attorno al proprio provincialismo culturale. E’ l’ultima ‘spiaggia’ insomma, per l’Italia e per lo stesso Berlusconi. Una sua eventuale ennesima vittoria, infatti, questa volta non verrebbe compresa dal mondo che ci circonda: apparirebbe una scelta isolazionista, basata su un’infatuazione collettiva nei riguardi di un personaggio che, pur tenendo ferme tutte le sue qualità umane e personali, ha veramente già detto tutto quel che aveva da dire nei riguardi della conduzione della cosa pubblica. Riproporlo, significa solamente dimostrare la propria incapacità a guardare innanzi a sé, oltre a irritare tutte le altre nazioni che compongono la comunità internazionale. Nel corso della Storia sono spesso capitate figure che presentavano caratteristiche simili a quelle di Berlusconi: dittatori, imperatori, capi di Stato del passato furono tanto amati dal proprio Paese quanto temuti e mal tollerati all’estero. Così come spesso, nella Storia, è accaduto esattamente il contrario: il declamato Gorbaciov della ‘perestrojka’ di fine anni ’80 fu tanto osannato all’estero quanto mal sopportato all’interno dell’Urss. E così si potrebbe dire di molti altri leader politici o capi di Stato del passato, partendo dai primi imperatori mongoli per giungere sino ai Romanov. In ogni caso, questo genere di contraddizioni sono quasi sempre foriere di eventi negativi, se non addirittura disastrosi, per un Paese. Chi governa con forti consensi, spesso diviene un personaggio scomodo in politica estera; e chi, viceversa, governa col ‘pugno di ferro’ viene trattato con sussiego all’estero, anche se si tratta di un rispetto falso, puramente diplomatico, teso a cercare un dialogo che indebolisca l’interlocutore. In un modo o in un altro, questo genere di situazioni sono sempre foriere di conseguenze negative: De Gasperi e Andreotti riuscirono a riportare l’Italia nel novero delle grandi nazioni poiché seppero rappresentare l’embrione di una democrazia che cercava, faticosamente, di emergere da una disavventura. E ciò rappresentò un vantaggio diplomatico immenso per l’Italia, poiché riaprì la nostra strada verso un cammino di pace e prosperità insieme agli altri popoli del pianeta. Ma non si trattava di una moderazione indotta dalla sconfitta militare, bensì dalla sincera presa d’atto che gli esponenti politici di una nazione hanno il compito di rappresentarla per quello che effettivamente essa è. Ai tempi di De Gasperi eravamo innanzitutto poveri, prima ancora che sconfitti. E avevamo subìto una dittatura a causa della nostra arretratezza economica, la quale aveva costretto decine di milioni di italiani a emigrare in altri Paesi. Era dunque questa incapacità a garantire un futuro ai nostri figli la cosa che il fascismo aveva preteso di nascondere, colpevolmente e consapevolmente, dietro una ‘buffonesca’ facciata autoritaria. Mussolini aveva travestito da grande potenza un popolo che, invece, aveva le ‘toppe nel didietro’: fu questo il suo errore più grave, poiché era vero che moltissimi italiani avevano creduto in lui, rimanendone ingannati. E quando gli storici cosiddetti ‘revisionisti’ sottolineano il consenso di cui egli ha goduto, in realtà non fanno altro che evidenziare ulteriormente la gravità di quell’errore politico. Uno sbaglio mastodontico, clamoroso, madornale. La nostra incapacità a garantire un futuro alle giovani generazioni, oggi è nuovamente di clamorosa attualità, come dimostrato dai recenti dati Istat sulla disoccupazione giovanile, soprattutto al sud. Dati che rappresentano non soltanto l’impossibilità per milioni di ragazzi di riuscire ad aprirsi una propria strada nella vita, ma anche il pericolo di una gestione della situazione basata sullo sfruttamento, sull’ingiustizia, sull’arbitrio, su un utilizzo delle persone come fossero ‘cose’, in una tracotante reiterazione di un paternalismo falso, ingannevole, canagliesco. Detto questo, di qui in avanti non esprimerò null’altro in merito alle forze politiche che si presenteranno, nei prossimi mesi, al vaglio del corpo elettorale, al fine di assumere un atteggiamento quanto mai neutrale e professionale nei confronti della contesa elettorale ormai al via. Purché sia chiaro per tutti, però, quale e quanto sia elevata, questa volta, la posta in gioco per il nostro Paese.
Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it