Francesca BuffoMarina Visentini, 35 anni, vive e lavora a Mantova, sua città di origine. Ha iniziato a recitare a 15 anni con un gruppo amatoriale. Dopo il diploma in scienza della formazione decide di tramutare in professione l'esperienza teatrale fondando con altri 5 colleghi la compagnia ‘Teatro Magro’. All'interno della compagnia ricopre il ruolo di attrice e presidente, ovvero si occupa di presentare progetti e contattare sponsor. Ed è proprio in questa veste, con un testo autobiografico, che ha partecipato al ‘Fringe festival’ di Roma. Il suo monologo, ‘Senza niente 2 - il presidente’, fa parte di un progetto creato dal ‘Teatro Magro’ nel quale alla realtà culturale di questo Paese vengono restituiti gli 'schiaffi' che chi lavora nel teatro prende quotidianamente. Un teatro, appunto, ‘senza niente’ perché gli è stato tolto tutto. Le figure professionali che nei  quattro monologhi si raccontano mettono in evidenza tutte le sfaccettature di una realtà formalmente e sostanzialmente devastante: la denuncia delle ‘non-regole’ che condizionano un settore che potrebbe essere uno dei fiori all'occhiello del nostro Paese è ironicamente cruda. Eppure, nel non fare sconti a nessuno, si ride, perché nella conta ci sono il sistema e il mercato, il maschilismo e l'estetismo, ma anche gli amici di sempre, che si lamentano tanto ma che di faticare non ne vogliono proprio sapere…

Marina Visentini, quest'anno avete partecipato al ‘Fringe festival’ di Roma e siete ritornati pochi mesi dopo nella capitale con i due spettacoli: Senza niente (l'attore) e Senza niente 2 (il presidente). Rispetto alla vostra realtà territoriale, ai confini della Lombardia, che tipo di rapporto avete trovato fra i giovani attori e il teatro?
"A livello personale, il passaggio fondamentale nella scelta di intraprendere questo percorso professionale è stata la forte influenza di attori più grandi di me che avevano intuito un potenziale: sono stati loro a indirizzarmi e suggerirmi che questo era il mio lavoro. Da sola non avrei mai intrapreso questa strada, tenendo presente che, in Italia, veniamo cresciuti con l'idea che il teatro può essere giusto un hobby e non certo un'opportunità lavorativa. Essere supportati da qualcuno che ha più esperienza, che ti aiuta ad affrontare anche le fasi difficili è una fortuna che molti giovani non hanno”.

In questo, forse, la vita di provincia in un certo qual modo vi ha aiutati?
"Mantova ci ha dato sicuramente la possibilità di sperimentare, spaziare e anche di non avere una gran concorrenza. Rispetto ad altri coetanei, che si sentono un po' persi perché non sono cresciuti in una realtà di gruppo solida come noi, siamo sicuramente avvantaggiati. Noi abbiamo unito le singole competenze e, pur nella difficoltà del momento di crisi attuale, riusciamo a lavorare”.

Non basta, quindi, studiare recitazione?
"Nella sostanza, questo è il problema che sta alla radice: ormai per lavorare occorre aver acquisito anche delle competenze imprenditoriali. Gli attori che si formano solo sulla 'parte' artistica poi non dispongono degli strumenti necessari per affermarsi professionalmente. Io stessa ho studiato due anni di prosa che mi hanno insegnato 'vagamente' a recitare, ma non certo a come 'spendermi' sul territorio professionalmente. Mi riferisco alle competenze tecniche, per esempio riguardo ai contratti dei lavoratori dello spettacolo o allo start-up sul come fondare un'associazione per creare delle produzioni indipendenti. Tutte queste cose, nelle accademie, non vengono insegnate. E sembra che sia fatto di proposito per limitare la libera iniziativa. Si tende a ‘sfornare’ giovani attori e operatori dello spettacolo totalmente ignari di ciò che li aspetta. Non gli dicono cosa c'è fuori perché, in effetti, il lavoro non c'è”.

Ma fra nord, centro e sud c'è differenza fra i giovani nel coltivare il sogno di 'sfondare'?
"Roma resta il centro nevralgico delle produzioni, anche televisive. Quindi è una città dove i giovani vivono in una maniera più ‘carnale’ la possibilità di diventare famosi. Per tutti vale il desiderio di affermarsi, ma per chi vive al centro l'affermazione coincide con la visibilità, mentre al nord è sinonimo di sicurezza economica. Al nord c'è l'idea più diffusa di un tenore di vita medio-alto al quale l'attore imprenditore si deve adeguare”.

Voi del ‘Teatro Magro’ proponete dei testi nuovi: per i giovani attori è più facile proporsi con testi scritti quasi 'addosso', rispetto al riproporre i classici del teatro?
"Oltre alla difficoltà di mettere in scena un classico sotto il punto di vista dei costi (scenografie e numero di attori) c'è anche la sfida di renderli fruibili a un pubblico del 2012, perché un testo di Pirandello o Shakespeare deve arrivare a un pubblico che ha dei codici comunicativi completamente diversi rispetto al pubblico per il quale erano stati scritti originariamente. Rappresentare un testo e, nel nostro caso, autobiografico, è più facile e al contempo rischioso, perché ci si mette in gioco totalmente”.

In ‘Senza niente’ raccontate delle verità ‘scomode’…

"Sì. Anche questa è la difficoltà. Il testo è autobiografico, ma dobbiamo trovare un equilibrio tra noi, il nostro vissuto e ciò che raccontiamo. In questo caso, l'attore diventa il contenitore del messaggio che vuol far arrivare al pubblico. Senza nessuna pretenziosità intellettualistica cerchiamo di parlare in modo molto diretto, semplice, comunicando anche una grande crisi d’identità 'nostra'. Provochiamo gli altri, ma anche noi stessi, perché siamo in difficoltà nel collocarci in questo sistema: non ci si riconosce più in ciò che si pensava di poter essere”.

Alla fine dei conti, dentro di te senti di essere ‘senza niente’?
"No, anzi: mi sento ‘piena’. Il ‘senza niente’ è ciò che vogliono farci credere, che ci fanno percepire. In realtà, tutto ciò che sto vivendo mi riempie molto: è lo sguardo vuoto 'degli altri' nei nostri confronti quello che percepiamo. Noi, in realtà, lavoriamo tutti i giorni e tutto il giorno sulla cultura e sul teatro. Ma, spesso, devo spiegare a chi mi sta di fronte in che cosa consiste questo lavoro…”.


IL PROGETTO SENZA NIENTE è a cura del Teatro Magro (www.teatromagro.com) e si compone di 4 monologhi seriali, caratterizzati da una presa di distanza rispetto al panorama attuale con uno sguardo critico e ironico che invita alla riflessione.

4 FIGURE PROFESSIONALI SI RACCONTANO

SENZA NIENTE ‘l'attore’: un monologo intenso, vissuto, nel quale il confine tra attore e personaggio diventa labile, così come è labile il limite tra finzione e realtà. Una pièce teatrale sincera, in quanto rispecchia la la società in cui viviamo, perché l'attore è rimasto veramente senza niente. Regia di Flavio Cortellazzi con Alessandro Pezzali.

SENZA NIENTE 2 ‘il presidente’: esistono figure di rappresentanza nel mondo culturale che sono quotidianamente divise tra arte ed economia, in bilico. Essere a capo di un'impresa culturale, in grado di farsi spazio tra i meandri delle istituzioni. Le difficoltà e le nevrosi di un presidente, privato e, per questo, provato.?Regia di Flavio Cortellazzi con Marina Visentini.

SENZA NIENTE 3 ‘l'amministratore’: una figura apparentemente estranea al mondo dell'arte. Tuttavia in grado di tradurre l'opera artistica in termini economici. Termini spesso incomprensibili e oscuri. Rendicontazione. Interessi. Budget operativi. Piani strategici. Un percorso a ostacoli ineluttabile per la sopravvivenza di un'impresa culturale. Se i conti non tornano il piatto piange. E anche l'amministratore. Regia di Flavio Cortellazzi con Andrea Caprini.

SENZA NIENTE 4 ‘il regista’:
il regista sogna di giorno. Produce e seleziona le idee. La sera il regista è sul palco. Il pubblico guarda il regista in scena, oppure è il regista a guardare il pubblico in scena? Il regista ha presente tutto, registra, presta attenzione a ciascuno. Quando la creatività è per ultima, allora significa che siamo rimasti proprio senza niente. Regia di Teatro Magro con Flavio Cortellazzi.


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