Leonardo GuerriniL’ultimo scorcio di campagna elettorale negli Stati Uniti sta mostrando un’America che non ti aspetti. A dieci giorni dal voto del 6 novembre, che deciderà il nuovo inquilino della ‘Casa Bianca’, oltre ai sondaggi contrastanti, dalle colonne dei principali quotidiani americani trapelano vecchie tendenze e inediti risvolti di un ‘sogno americano’ che appare sempre più sbiadito. Le contraddizioni riguardanti la ‘guerra tra numeri’, sfornati in quantità industriale dalle varie agenzie di rivelazioni, sono poca cosa rispetto alle ‘sconvolgenti’ posizioni moderate prese dai repubblicani e alcune iniziative ‘socialiste’ dei magnati della finanza, disposti ad autotassarsi pur di ridurre il preoccupante debito federale. Tutti a caccia di voti nel famigerato ‘centro’, o in crisi d’identità ideologica? Iniziando dalle intenzioni di voto, le rivelazioni dei principali sondaggisti danno un sostanziale testa a testa, con una variazione minima anche dopo il terzo dibattito dello scorso 22 ottobre. Si distingue nettamente l’istituto statistico Gallup, il quale, prima del terzo duello televisivo, dava Romney in testa con 7 punti di vantaggio, ridotti ora a 3. Di qui, la polemica con Nate Silver, giornalista del New York Times e curatore del blog di statistica elettorale ‘Five Thirty Eight’, che ritiene poco attendibile un tale gap tra i due sfidanti. Per quanto riguarda gli ‘swing States’, ossia gli Stati decisivi per la vittoria finale, l’Ohio sembra essere in mano al candidato democratico con uno scarto di 3-5 punti in percentuale, ma suscettibile di un ulteriore assottigliamento. Nel Paese delle ‘opportunità’ in cui, nel 2008, per la prima volta un afroamericano è riuscito a diventare l’uomo più potente del mondo emergono i più reconditi istinti razziali. Come sostiene un sondaggio del 'Washington Post', Obama sarebbe indietro di 21 punti percentuali rispetto allo sfidante nel consenso tra i bianchi, mentre sembra avere una netta supremazia di preferenze tra i neri e gli ispanici. Una polarizzazione razziale così marcata non si vedeva - prosegue il quotidiano americano - dalle elezioni presidenziali del 1988. Le sorprese provengono soprattutto dalla parte repubblicana. A complicare una situazione elettorale che soltanto un mese fa appariva segnata a favore di Obama - dopo il successo della convention democratica e le continue gaffe di Romney si prospettava per il democratico una vittoria schiacciante - ci sono le affermazioni ‘moderate’ del repubblicano. A detta di Michael Barbaro del ‘New York Times’, il governatore del Massachusetts sta adottando gli stessi slogan di Obama del 2008, volti al cambiamento. Un mutamento di ‘rotta’ che ha lasciato spiazzati i sostenitori ‘estremisti’ del Tea Party e che viene magistralmente sfoggiato nel tour elettorale nello strategico Ohio. Altro sorprendente fattore che determina le sorti elettorali sono le donne: da sempre Obama attrae il voto del gentil sesso, o così si pensava fino a qualche giorno fa. Nonostante le posizioni dei repubblicani contrari all’aborto e le recenti dichiarazioni del repubblicano Richard Mourdock, secondo il quale se una donna rimane incinta dopo uno stupro deve portare a termine la gravidanza al fine di assecondare “la volontà di Dio”, Obama si è affrettato ad andare a votare a Chicago, cercando di sfruttare il residuo ‘appeal’ verso le donne. La questione del voto femminile, tuttavia, ha preso delle pieghe grottesche, come l’improbabile studio condotto dall’Università del Texas, mostrato dalla Cnn, che sostiene una maggiore propensione delle donne ‘single’ a votare per Obama a differenza di coloro che hanno una relazione stabile e che, invece, preferirebbero votare Romney. Ciò ha suscitato l’inevitabile ilarità del mondo del web, che quasi all’unisono ha evidenziato il ‘sentirsi liberal’ delle donne sole, prevalentemente durante il periodo dell’ovulazione. Dunque, in un’America ‘sottosopra’ e in cerca d’identità, alla fine un ruolo politico primario la gioca la percezione delle condizioni economiche. I dati sull’occupazione del mese di settembre, che per la prima volta dopo anni hanno attestato un tasso di disoccupazione sotto la soglia psicologica dell’8%, non sembrano entusiasmare più di tanto gli americani. E il debito pubblico in costante aumento sta mobilitando niente meno che il ‘gota’ della finanza americana. Un gruppo di businessman che appoggia il movimento ‘Fix the Debt’ sta portando avanti una battaglia per la riduzione del debito, prospettando addirittura l’ipotesi ‘poco repubblicana’ di tassare i loro redditi milionari pur di riportare sotto controllo la spesa pubblica. Obama, intanto, incassa e ringrazia. Ma a prescindere dall’esito finale del voto, questi ultimi giorni di campagna elettorale stanno in realtà mostrando l’immagine di un’America in profonda trasformazione, per non dire in piena crisi.


Lascia il tuo commento

Nessun commento presente in archivio