Francesca BuffoIeri ‘italiani brava gente’, oggi individualisti più concentrati sul sé e meno sul noi. Non passa settimana che su qualche rivista non ci venga propinata un’analisi su come siamo, come affrontiamo la crisi, come stiamo cambiando. Gli scenari, in continuo movimento, riflettono dei fermo-immagine su delle ipotesi astratte: perché fra ieri, oggi e domani, la fotografia dell’Italia ha un panorama troppo ampio e variegato per essere riportato a sintesi. La realtà è un insieme di troppe verità e punti di vista. Gian Arturo Ferrari, nel suo editoriale del 27 settembre su ‘Il corriere della sera’, ha scritto: “Noi italiani a tutto abbiamo pensato tranne che alla cosa principale, cioè a investire a lungo termine sul capitale umano. Abbiamo creduto che fosse una spesa, poveri sciocchi. Il risultato è quella condizione del lavoro disastrosa che abbiamo sotto gli occhi. E che peggiorerà, perché il lavoro di domani - più intelligente, con più valore incorporato - è precisamente quello cui non abbiamo saputo prepararci”. C’è da sperare che nei suoi intenti quel ‘noi italiani’ sia sinonimo di ‘sistema-Paese’. Perché se la vediamo dal punto di vista dei cittadini troviamo l’impegno di moltissimi che, malgrado le difficoltà, nel Paese ci hanno creduto. E come capitale umano sono stati fondamentali per l’economia: giovani che, nonostante il precariato, hanno continuato a fare la loro parte; famiglie che hanno investito nell’istruzione universitaria dei figli e, dieci anni dopo la laurea, sono ancora lì ad aiutarli; imprenditori, spesso proprio i più piccoli, che hanno stretto la cinghia e i denti per continuare a garantire posti di lavoro; gente comune che ogni mattina affronta il caotico traffico automobilistico, la disorganizzazione dei mezzi pubblici, gli scalcagnati treni locali, per andare a studiare o lavorare (anche quando il lavoro è difficile, sottopagato e senza prospettive). Si cerca di vivere o, in alcuni casi, di sopravvivere, con la speranza che andrà un po' meglio. Ma meglio non va. Pochi giorni fa abbiamo scoperto che, con la nuova regola imposta ai medici di indicare la formulazione anziché la prescrizione di farmaci specifici, gli informatori scientifici non servono più. A farne le spese sono anche padri di famiglia ai quali manca una manciata di anni alla pensione. Gente comune che si riteneva fortunata perché, comunque, lo stipendio in casa entrava e il mutuo era pagato. E, invece, di colpo quella fortuna non c'è più, mentre i ragazzi vanno ancora a scuola… È solo una piccola storia, che tuttavia stride con quanto dichiarava, poco meno di un anno fa, Antonio De Lillo, docente alla Bicocca di Milano e presidente dell’Associazione di sociologia, in un’intervista apparsa su ‘L’Espresso’: “Per la prima volta i giovani avranno meno di ciò che hanno avuto i loro genitori”. Sì, stride come un gesso sulla lavagna, perché oggi, per la prima volta, sono i genitori a vivere nell’incertezza e a non avere più risposte e insegnamenti. Quale eredità morale può lasciare ai propri figli un cittadino che ha sempre lavorato e pagato le tasse? Che vede sgretolare tutto ciò che ha costruito in una vita in pochi mesi? E che differenza c’è tra questo padre di famiglia e Chiara, maestra elementare precaria che ha insegnato a leggere a 2011 bambini? Entrambi abitano in un Paese che amano e nel quale hanno creduto. E, come loro, qualche altra ‘milionata’ di italiani. Non persone, ma numeri: per la cronaca e le finanziarie economiche solo medie matematiche, statistiche e luoghi comuni.


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