Emanuele NennaGentilissimo presidente Monti, ho 39 anni, mi occupo di pubblicità da 17 anni, e da più di 16 sono un imprenditore. Un piccolo imprenditore: la mia agenzia oggi conta poco più di 40 persone. Ma un imprenditore che nel suo piccolo, insieme ai suoi soci, si dà un gran da fare, da sempre. Le scrivo in questo inizio d’autunno perché, come mi accade sempre, sono tornato dalle vacanze estive pieno di voglia di fare, di inventare, di creare. Ma la prima mail che ho letto è stata una circolare del mio commercialista su “riforma del lavoro, nuova deducibilità costi auto e nuova deducibilità contributo SSN dei premi assicurativi delle auto”. L’ho letta e subito l’effetto adrenalina estiva è passato. E mi chiedo – molto ingenuamente, lo so – se le domande che io e i miei soci continuiamo a porci siano mai transitate sulla scrivania del suo Governo. Non avrei mai pensato di rivolgermi direttamente al Presidente di qualsiasi Governo del passato, ma oggi è diverso. Oggi c’è una persona onesta e interessata al bene dell’Italia, questo è quello che penso. E allora dico: ma lo sa che ci sta passando la voglia? Nell’illusorio dubbio che lei non lo sappia, e certi che le interessi sapere perché, ecco le nostre domande, ognuna con un piccolo commento per contestualizzare. Magari le arriveranno in qualche modo. La rete – si dice – è democratica e potente. O magari non le leggerà, ma potranno servire a verificare se qui in giro siamo gli unici a porcele senza trovare risposta.

1. È davvero indispensabile continuare a tassare i costi che le aziende sostengono? Non sarebbe più giusto, sano e perfino educativo aumentare – se proprio serve, e so che serve – le tasse sui profitti? Parlo dell’IRAP (che tutti quelli che vendono servizi odiano visceralmente, perché del tutto iniqua e disincentivante soprattutto verso le assunzioni del personale) ma anche delle riprese fiscali. Il messaggio che passa (e che viene rafforzato dalle piccole ma significative modifiche alle soglie di deducibilità di alcuni costi) è questo: “meno assumi persone, meno paghi di tasse. Meno spendi e consumi, meno paghi di tasse. Visto che con la crisi sei già tentato di tagliare, con questi incentivi non puoi tirarti indietro”. Non sarebbe invece più sensato e utile per tutti (e per l’occupazione prima di tutto) invitare le aziende che riescono ancora a crescere in fatturato a reinvestire tutto il loro margine in persone e servizi, invece di fare il contrario?

2. È producente togliere a un piccolo imprenditore la possibilità di avvalersi di collaborazioni, o renderle impraticabili per i loro costi, e non fornire alcun incentivo all’inserimento del personale, proprio in un momento come questo? È il Governo che scrive le regole, ma penso che la cecità sia anche dei sindacati. Qualche lavoratore dovrebbe dirglielo, che a causa delle continue strette sulle forme contrattuali tra un po’ le imprese di servizi (quelle che vivono esclusivamente del lavoro delle persone) si troveranno costrette e ridurre il personale, creare nuovi disoccupati, chiedere un extra sforzo ai pochi dipendenti che si potranno permettere. Ma non ne leggo, non ne sento parlare. Se si chiude una fabbrica si va in piazza, se una legge ha come effetto collaterale quello di bruciare migliaia e migliaia di opportunità per i singoli allora non se ne dice nulla. Invece bisogna dirne. Per capire di cosa parlo, io oggi ho un cliente che mi firma un contratto di un anno per gestirgli la pagina Facebook. Ho bisogno di un collaboratore che, per quel progetto specifico, mi dia una mano. Non posso. Se è un ragazzo che sta finendo l’università non posso dargli 800 euro al mese (che gli farebbero un gran comodo, lo inserirebbero in un mondo lavorativo, lo aiuterebbero a formarsi un’esperienza rivendibile su un ambito in forte crescita). Invece non posso. La partita Iva non va bene se fattura solo a me. Il contratto a progetto prevede che non abbia nessuno a cui rispondere (invece il cliente è dell’Agenzia, e lui deve collaborare con il team creativo e strategico, assunto e ben pagato). E se lo assumo a tempo determinato devo dargli minimo mille euro, con contributi aumentati (perché il tempo determinato è cattivo) che portano il costo della sua prestazione per un anno a 27 mila euro. Insostenibile per un singolo progetto. E soprattutto ingiusto come costo per un ragazzo che non ha mai lavorato prima: non per snobismo, ma perché uno come lui deve essere ben seguito. E seguire e formare una persona è un ulteriore importante costo per un’azienda. Non so cosa farò, probabilmente chiederò alle persone che ho già regolarmente nello staff di farsi qualche ora di lavoro in più, imparare cose che non sanno fare, assumendomi il rischio di un lavoro fatto peggio e soprattutto negando a un ragazzo fortunato (perché sa fare quello che chiede il mercato) l’opportunità di scongiurare il pericolo disoccupazione. È davvero incredibile: noi come agenzia (e come noi molte altre a Milano) abbiamo molto bisogno di giovani svegli, magari al primo o secondo impiego, da formare e inserire in quest’area. Ci sono opportunità occupazionali, udite udite! Ma come facciamo? A queste condizioni dovremo selezionare solo gente che abbia già esperienza, perché rischiare con un novellino da formare non vale la pena. Così chi ha già un lavoro lo può cambiare, chi non ce l’ha rimane alla finestra. È così che si rilancia l’economia? Sarò stupido io, ma mi sembra di no. Invece di incentivare gli inserimenti, invece di creare opportunità per i ragazzi più giovani, si fa il contrario.

P.s. Già che ci sono: come faccio a pagare una collaboratrice che merita 8 mila euro per un lavoro (fatto da casa sua in due mesi)? Lei fa un altro mestiere, non posso chiederle di aprire la partita Iva solo per me, per un una tantum! La pagherò allora solo 5 mila, il resto mancia, peggio per lei. Possibile che nessuno si accorga che chi ci rimette sono i lavoratori? E se anche fossero le imprese, sarebbe meglio?

3. Infine, la domanda più importante: chi me lo fa fare? Fare l’imprenditore, rischiare del proprio per creare un’impresa, per dare posti di lavoro, non è qualcosa che dovrebbe essere incentivato e premiato? Invece ci sentiamo puniti. Quando dopo un anno duro come il 2011 tiriamo le somme, verifichiamo che – in controtendenza – siamo cresciuti del 20% in fatturato e del 20% in numero di persone impiegate, chiudendo un bilancio con quasi il 10% di utile lordo, noi vorremmo festeggiare. Ma se poi il 75% di questo utile lordo viene versato in tasse (e avendo l’80% dei costi fissi come costi del personale, di contributi ne abbiamo già versati allo Stato per oltre il 40% del nostro fatturato) la voglia un po’ ci passa. Quando poi gli spiccioli che avanzano vengono distribuiti, ecco che vengono di nuovo tassati. Ma non è nemmeno questo. Qualche spicciolo è meglio di niente, e se c’è bisogno di pagare l’80% di tasse sugli utili per qualche anno (sperando non sia sempre così) può anche andare bene, tappandosi il naso e sentendosi parte di una comunità che ha bisogno del nostro aiuto come quello di tutti. Ma se per caso nel 2012 dovessimo chiudere un bilancio in pareggio, perché invece di chiudere il portafoglio, ridurre lo staff e puntare al profitto a breve termine avremo deciso – da buoni padri di famiglia, come ci chiede il codice civile – di continuare a investire in attesa di tempi migliori? Nell’attesa di questi tempi migliori, meglio evitare alle persone di lavorare il doppio allo stesso costo (come fanno altri nel nostro settore per sopravvivere), accettando l’obiettivo del pareggio, per arrivare a fine anno a dirci “bravi, è andata, abbiamo fatto quadrare i conti, non è un anno per portarsi a casa dividendi ma l’agenzia è cresciuta ancora”? Ma se davvero arrivassimo così a fine anno, lo Stato si congratulerebbe, ci ringrazierebbe, ci premierebbe? Ci incentiverebbe a fare ancora di più e meglio l’anno dopo? No. Ci punirebbe. Ipotetico utile lordo 1.000 euro, perdita dopo le tasse di 100.000 euro. L’Irap di cui sopra. Le riprese fiscali di cui sopra. 100.000 euro (dopo averne fatturati 3.500.000, e spesi altrettanti) che tireremmo fuori di tasca nostra, noi imprenditori. Senza averli, perché l’anno prima – che è andato meglio – abbiamo dato tutto in tasse. Siamo tre soci, ognuno di noi potrebbe avere lo stesso stipendio (o qualcosa di più) lavorando come manager per una multinazionale. Chissà se non sceglieremo quella strada, alla fine. E poi ai 40 dipendenti che lavorano con noi cosa racconteremo? Che fare impresa non ci conviene? Che si cercassero un nuovo impiego, e buona fortuna, visto che lavorano in una industry, quella della pubblicità, che continua a tagliare posti di lavoro? “Ma come?”, ci risponderebbero. “Abbiamo preso nuovi clienti, fatturato di più, chiuso in (piccolo) utile. Abbiamo visto arrivare nuovi colleghi, licenziati da altre grandi agenzie. E ci dite che volete chiudere? Non è giusto, non fatelo”. Per questo, fino a oggi, non lo abbiamo fatto né abbiamo progettato di farlo. Ma basta, per favore, metterci alla prova con questa disattenzione. Se è vero che in Italia il mondo del lavoro è fatto da tante piccole imprese, che a botte di 40 persone alla volta danno stipendi a milioni di persone, provate a dare qualche pacca sulle spalle agli imprenditori che fanno la loro parte. Tassate al 90% gli utili, se volete. Ma non fateci passare la voglia di lavorare, di rischiare, di investire, di assumere, di fatturare. Di fare piccola impresa.

Ecco tutto, egregio presidente: come facciamo? Quando inizieremo a vedere piccoli segnali nella direzione dell’incentivazione all’impiego, al consumo, alla sana gestione? Io non ci credo che questa non sia una priorità per tutti. Iniziamo almeno a parlarne? Se serve una mano per comunicare, noi siamo a disposizione. Naturalmente gratis!




(articolo tratto dal sito www.spotandweb.it)
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Stefano Tarallo - Roma - Mail - mercoledi 19 settembre 2012 12.13
Sinceri complimenti per il bellissimo articolo. Vedo che siamo almeno in 2 a pensarla così. Dubito che Monti possa fare qualcosa, ma se almeno le associazioni imprenditoriali facessero qualcosa .... invece silenzio assordante. Unire gli imprenditori per un 4 luglio 1776 italiano è l'unica soluzione. No taxation without representation, vogliamo essere in parlamento con i NOSTRI rappresentanti altrimenti noi produciamo ricchezza e gli altri producono le tasse con le quali parassitano ... BASTA !!!
Luigi Lunari - Brugherio Italia - Mail - martedi 18 settembre 2012 4.54
"Contro la stupidità anche gli Dèi combattono invano."
"Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire".

Dall'azione combinata di questi due princìpi nasce - a mio avviso - il fatto che nessuno (politici, economisti, giornalisti, opinion makers.) abbia finora preso nella minima considerazione la (mia) tesi che gli sbandierati miti della "crescita", della "ripresa" siano pure illusioni, e che la recessione (o comunque uno "stop" nella spirale "produzione-consumi") sia inevitabile, e di fatto già operante.

Basta guardarsi intorno: sempre meno soldi di cui disporre, conseguente contrazione dei consumi, recente e dilagante ricorso al riciclaggio delle merci, al commercio dell'usato (sia pure con accattivanti lemmi anglosassoni, come "reset"), ai trucchi tipo "groupon", alle liquidazioni a ciclo continuo, ai "prendi tre paghi due". Tutte situazioni che portano a disincentivare la produzione, a non cedere alle lusinghe dei maniaci che si svegliano alla mattina e non hanno altro scopo che quello di pensare a quale marchingegno aggiungere a una lavatrice, a un computer, a una lavastoviglie, a un cruscotto, per poter vantarne il carattere innovativo e convincere singoli e famiglie a gettare cose che in realtà vanno ancora benissimo.

Personalmente, avverto l'universo che non ho la minima intenzione di comperare alcunchè: in casa ho più libri, più dischi, più maglioni e cravatte che vita. (E' vero che - settantottenne qual sono - non sono un consumatore di lunga durata, ma credo che molti anche giovani possano trovarsi nelle mie condizioni di consumatore ampiamente soddisfatto dall'esistente.) Per me, molte fabbriche possono chiudere, o limitare la produzione al necessario (o meglio: a quel che oggi giudichiamo necessario, e che già si sostanzia in un livello di vita e di agi impensabile pochi decenni or sono). Ne risulteranno meno spese (energia e materie prime) per l'azienda Italia, quindi più soldi a disposizione nel nostro ambito; meno lavoro, quindi più tempo libero per l'uomo. Soldi e tempo da destinarsi a migliorare l'ambiente in cui viviamo, alle questioni sociali dell'educazione e della salute, a riparare gli argini (da cui - per giunta - minori spese per catastrofi naturali). Il problema insomma è semmai quello di una migliore distribuzione della ricchezza e dei compiti, non quello di indulgere alla nefasta spirale di un "sempre avanti" che conduce - come sta conducendo - al suicidio. Il problema è quello di sapersi accontentare del molto che abbiamo, ricordando che spesso "il meglio è nemico del bene".

L'opportunità del sapersi fermare: Guareschi, terminata la guerra e cessata la prigionia, diceva che finalmente non aveva più fame; ma - proseguiva - "non ho neanche più appetito". Il problema è quello di saziare la fame (che è una brutta cosa), senza finire nella mancanza dell'appetito (che invece è una bella e stimolante sensazione).
Altro esempio: se trenta o quarant'anni fa avessero detto al mondo del calcio, che dopo qualche decennio avrebbe avuto a sua disposizione l'enorme quantità di miliardi di cui oggi dispone, quel mondo avrebbe detto "Ma allora sarà un paradiso! Saremo tutti ricchi e felici!" E invece il mondo del calcio è in crisi, le società falliscono o imbrogliano, i calciatori mirano a un sempre maggior guadagno, lecito o illecito. In quale momento, di fronte al bivio tra il godere di un già ricchissimo presente, e l'inerpicarsi verso un'eterna insoddisfazione, il mondo del calcio ha sbagliato strada?
Questo vale, ovviamente, per la società e il mondo nel loro insieme. In quale momento, di fronte allo stesso bivio, abbiamo scelto di perseguire la torre di Babele?

Nessuno si illuda, in merito al progresso: il treno superlusso di Montezemolo e Della Valle rende più comoda la vita ai ricchi, ma non incide sui disagi dei pendolari; allarga anzi la forbice tra poveri e ricchi, fino al punto in cui qualcosa dovrà pur succedere, nel rispetto del secondo principio della termodinamica e delle leggi dell'entropia, o semplicemente di quel che ha scritto - nel secolo, nel millennio scorso - il premio Nobel americano Pearl Buck: "quando i poveri sono troppo poveri e i ricchi troppo ricchi.

Anche a livello di massimi sistemi, la realtà impone le sue leggi: come "di fatto" la recessione si impone nella nostra vita quotidiana, così non mancano gli esempi di "recessione" dopo un passo compiuto più lungo della gamba. Il Concorde è stato messo da parte: troppo ambizioso come idea, si è riconosciuto che non valeva la pena. Così è stato per il Duomo di Siena, così sarà per il canale sotto la Manica, così per la caccia a neutrini più veloci della luce.

A tutto questo, constatata l'impossibilità di imporre agli italiani sempre più acquisti con sempre meno soldi, l'establishment MMM (Monti, Marchionne, Montezemolo, o chi per loro) sventola la bandiera dell'allargamento dei mercati. Occorre essere competitivi, produrre a costi minori e a qualità migliore degli altri. Gli operai devono lavorare di più, guadagnare un po' meno, onde contrastare la concorrenza dei cinesi, che lavorano dodici ore al giorno, soddisfatti con un pugno di riso e in condizioni di estremo disagio (Cfr l'allegato). Il traguardo? Vendere più automobili dei cinesi nei "mercati" del Bangladesh o del Burkina Faso? Per questo scopo - ammesso che sia raggiungibile - gli operai della FIAT dovrebbero "vivere per lavorare", in un ciclo nefasto in cui a guadagnare sarebbero solo Marchionne e i suoi complici ideologici?
O presto o tardi, quando l'umanità capirà che collaborare è più fruttifero che competere, si arriverà pure anche per l'economia a quel patto sociale di non aggressione che - nell'antico mito - ha strappato l'uomo alla selva.

Questo comporterà un ripiegamento in una sorta di "autarchia" che per quanto di sapore fascista nel nostro tempo, per 2500 anni prima di Mussolini ha significato (Cfr il vecchio Devoto-Oli) "autosufficienza spirituale del sapiente". Questo significherà soprattutto scambi commerci internazionali privi di ogni carattere di aggressione e di sopraffazione. Non si tratterà di "conquistare mercati", assalendo gli altri in casa loro, ma di scambiare beni e servizi sulla base di una ragionevole e misurata utilità. E' assurdo portare vasi a Samo così come l'invadere il Trentino di mele del Cile, o il mandare il marmo di Carrara in Cina a sfruttare la meno costosa mano d'opera locale.

Un aspetto positivo del tutto - anche se non so come e quando- è che il sistema in cui viviamo finirà con l'implodere o l'esplodere sotto le sue stesse contraddizioni. Non si può da un lato forzare il singolo a lavorare di più e al tempo stesso tentarlo con l'edonismo evasivo dell'otium televisivo; non si può mettere i giovani in cerca di lavoro contro gli anziani che devono ritardare il pensionamento; non ci si può nascondere dietro l'illusione che più tassisti creino più lavoro e non si dividano invece una torta che è quella che è; non si può fingere di non capire che le liberalizzazioni - giuste o sbagliate che siano - si muovano nella direzione del "lavorare meno, lavorare tutti". Occorre che anche le tre emme imparino a distinguere tra produzione di lavoro e produzione di ricchezza, tra progresso e sviluppo, tra innovazione e spreco.
Eccetera eccetera.

Questa lettera è stata scritta currenti calamo, disordinatamente, a sollievo del fegato, con tutta la (fredda) rabbia nel vedere le mie tesi "troppo ignorate perché ciò sia credibile". Per contrasto, nasce l'ottimistica conclusione che una tale drastica "ignorazione" (chiedo scusa per il neologismo, ma "ignoranza" non è esatto: indica uno "stato" non una "volontà"), denoti il fatto che ho assolutamente ragione. Non fosse così, qualcuno me lo direbbe; ma essendo così, per l'establishment è meglio il silenzio e il far finta di nulla.

Cordiali saluti al paziente lettore
Luigi Lunari


Per ogni approfondimento, si veda - di Luigi Lunari - l'ELOGIO DELLA RECESSIONE (firmato Anonimo Lombardo), e LA DEMOCRAZIA, UNA SIGNORA DA BUTTARE. Tutti e due editi da Book Time, Milano.
Per risposte, riflessioni, polemiche, discussioni e eventuali insulti utilizzare l'e-mail luigi.lunari@libero.it


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