L’ambiente esterno nel quale viviamo chiede a tutti noi un impegno importante, affinché si passi dal vivere e si giunga all’esistere, come mi è capitato di scrivere nel mio ‘La mente ama’, nel 2011, per Il Pozzo di Micene Editore, Firenze. Il passaggio dall’uno all’altro di questi due processi mentali, il vivere e l’esistere, è determinante se vogliamo comprendere il ruolo della corteccia prefrontale del nostro cervello, particolarmente attiva nei cosiddetti processi esecutivi, cioè in tutte quelle funzioni che ci permettono di eseguire dei compiti, in una parola agire, senza fermarsi all’idea di agire. In sostanza, in questo breve articolo, ci occuperemo di comprendere perché risulti sempre attuale il proverbio “fra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare”, e perché esso sia valido nella pratica, ma non lo sia a livello neuro-cognitivo. In altri termini, questo detto ci presenta un essere umano che è il risultato del suo incontro con l’ambiente esterno e le idee su di esso, come se vi fosse una sola grande differenza fra noi e l’esterno: la mente che progetta per rappresentazioni e l’esistenza che è presente sotto forma di azioni eseguite. Chiarito questo, è importante ricordare che Alan Baddeley, già nel 1986, aveva scoperto che sono complessi e molti i compiti sottesi alla realizzazione di un’azione, per i quali egli coniava la locuzione processi esecutivi mentali. Tali processi comportano l’attivazione di varie competenze ed abilità mentali, come: la memoria di lavoro, l’attenzione esecutiva, l’alternanza del fuoco dell’attenzione, l’inibizione di una informazione già percepita per l’ottimizzazione dell’energia mentale, la programmazione della sequenza delle operazioni da compiere, il monitoraggio ed il controllo dei risultati (Baddeley A.D., 1990, Human Memory: Theory and Practice, Erlbaum, Hove, trad. it. 1995, La memoria umana, Il Mulino, Bologna). Come vedete, ecco perché risulta ancora valido il detto di cui abbiamo scritto: perché questo processo di azioni mentali si attiva prima di agire, se immagino come fare, e durante l’azione quando ci si trova concretamente e praticamente a realizzare il progetto immaginato. In tutte e due i casi, il nostro cervello opera delle rappresentazioni mentali. Bene: cosa sono le rappresentazioni mentali? Sono espedienti, ossia strategie della mente, che servono per conoscere e capire gli eventi, quello che accade e ci accade durante la vita quotidiana. Senza le rappresentazioni non saremmo nelle condizioni di pensare alle azioni future, come non potremmo ragionare ed elaborare giudizi sulle azioni passate. Possiamo definire una rappresentazione come una entità (per esempio un’icona, un disegno, una mappa di relazioni, un campo percettivo, etc.) che sta al posto di quell’oggetto od evento, trasmettendo a noi stessi delle informazioni che sono coerenti con l’oggetto od evento rappresentato. Esistono due tipi di rappresentazione mentale: a), quella analitica, che è arbitraria, come nel caso del nome Alessandro associato ad un particolare individuo di cui sono amico; b), quella analogica, quando si realizza una similitudine tra la rappresentazione e la cosa rappresentata, come nel caso del tachimetro di un’automobile, la cui lancetta indica l’aumento o la diminuzione delle velocità a seconda che si sposti rispettivamente a destra oppure a sinistra. Quindi, per rappresentazione mentale possiamo intendere una immagine, un simbolo o modello che è presente nella nostra mente, frutto di una mappa cerebrale, corrispondente ad un certo oggetto oppure evento. Appare dunque chiaro che la rappresentazione si fonda sulla capacità della mente di ricordare le proprie esperienze, grazie alle quali sarà possibile progettare, ipoteticamente, la realizzazione di esperienze future. Ma se le cose stanno così, perché allora ci risulta difficile realizzare nel futuro le rappresentazioni mentali di azioni, proprio come ci vuole indicare il proverbio che abbiamo evidenziato? Perché l’ambiente è molto più dinamico delle nostre rappresentazioni che, per essere memorizzate come valide, devono avere un grado relativamente alto di staticità, ossia subire poche o minime variazioni, altrimenti dovremmo continuamente cambiare rappresentazione rispetto a quell’evento od oggetto. Ecco perché per la mente è sempre più facile realizzare una rappresentazione di azioni nel futuro, mentre nella pratica risulta più complesso realizzare la propria immaginazione. Questa analisi ci conduce però ad una conclusione importante: sino a quando l’ambiente produrrà cambiamenti troppo veloci e di grande portata, la nostra mente sarà sempre in ritardo nel rappresentarli e dunque controllarli in qualche misura. È praticamente il caso in cui la forza della tradizione, ossia della ripetizione di identiche rappresentazioni mentali, con piccole variazioni, lascia il posto ad una frenetica innovazione ambientale, portata avanti solo da pochi individui, mentre il resto del mondo segna il passo in difficoltà. Ecco descritto il nostro attuale malessere. Per questi motivi, non ci conviene quasi mai essere più veloci del tempo, come dico nel mio quarto capitolo de ‘La mente ama’, quando affronto più diffusamente questo tema.
(articolo tratto dal sito www.controcampus.it)