Ho osservato a lungo, in questi anni, il mondo della politica italiana. Dall’esterno e, per lunghi tratti, anche dall’interno. E il mio giudizio, per quanto ciò potrà sembrare ingiusto o impietoso, è di condanna. Ho cercato molto di capire, di fingere di non capire, di contare sulle eccezioni, di sperare in qualche cambiamento, di considerare storicamente, cioè fuori dai soggettivi giudizi di male e di bene, la sua realtà. Ma tutto ciò è stato inutile: il mio sentimento è rimasto di condanna. E i sentimenti non si possono cambiare, poiché sono essi a essere storici. E’ proprio quel che si prova, alla fine, a risultare effettivamente reale, malgrado tutte le insincerità che possiamo avere con o verso noi stessi. Oggi, estate 2012, il mio sentimento è, ripeto, di condanna. Ma poiché forse questa parola è sbagliata, dovrò precisarla: più che una condanna, infatti, il mio sentimento è una ‘cessazione di amore’. Una fine che, appunto, non dà luogo a odio, ma a una semplice condanna. Io ho qualcosa di generale, di immenso e di oscuro da rimproverare alla politica italiana. Un qualcosa che resta al di qua del verbale, manifestandosi irrazionalmente nell’esistere, nel provare sentimenti. Ora, poiché io condanno la politica, è naturale che di conseguenza debba accettare, in qualche modo, l’idea di una sua punizione. Ebbene, se io condanno i politici a causa di una cessazione di amore verso di essi e, quindi, presuppongo una loro punizione, non ho il minimo dubbio che tutto ciò accada anche per colpa mia, in quanto uno dei responsabili per aver accettato, in qualche modo, la loro nuova forma di potere: quello della cosiddetta seconda Repubblica, ultima delle nostre rovine e rovina delle rovine. C’è un qualcosa di conformistico, di troppo logico, di non-storico nell’identificare solo in ciò la mia colpa. Sento ormai, intorno a me, lo ‘scandalo dei pedanti’ - seguito dal loro ricatto - a quanto sto scrivendo. Percepisco i loro argomenti: “E’ retrivo, reazionario, nemico del popolo chi non sa capire gli elementi, sia pur drammatici, di novità introdotti dalla seconda Repubblica, chi non ha compreso come essi, comunque, siano stati il tentativo per intendere e interpretare la politica in forme nuove”. Ma la politica consiste, prima di tutto, nell’imperterrito esercizio della ragione, non certo nella confusione dei ‘partiti presi’ né, tanto meno, negli schieramenti forzati, che sono puro qualunquismo. Meglio essere nemici del popolo che della realtà. E la realtà dimostra che i politici attuali sono quasi tutti dei ‘mostri’. Il loro aspetto è terrorizzante. E, quando non lo è, fastidiosamente infelice. Sono maschere squallidamente feudali di un’integrazione diligente e incosciente, che non fanno alcuna simpatia. Dopo aver elevato barriere tendenti a relegare i Partiti ‘storici’ in un ghetto, i politici della seconda Repubblica si sono trovati essi stessi chiusi nel ghetto opposto. Allo stato, essi risultano aggrappati al filo spinato di quel ghetto, guardando verso l’esterno come dei disperati che chiedono una compassionevole fiducia con lo sguardo di chi non ha più neanche il coraggio, né la capacità, di parlare di cose concrete, reali. Nei casi migliori, molti esponenti non hanno espressione alcuna: sono l’ambiguità fatta carne. I loro occhi sfuggono, il loro pensiero è perpetuamente altrove, hanno troppo disprezzo o troppa impazienza. Per esempio, di andare a votare a ottobre, quando le procedure stesse delle consultazioni politiche generali prevedono una serie di ‘step’ (scioglimento delle Camere, indizione delle elezioni anticipate, deposito dei simboli, raccolta delle firme, presentazione delle liste e campagna elettorale) che ci condurrebbero comunque a Natale. Perché quest’impazienza? Cui prodest? A chi giova anticipare le elezioni di una ‘novantina’ di giorni? E perché mai andare a votare in pieno inverno quando, in fondo, l’esecutivo attualmente in carica potrebbe comunque gestire gli affari correnti e portare tranquillamente il Paese alle urne in primavera? La lunga transizione della seconda Repubblica non è mai stata l’esito di una questione morale, bensì quello di una rivolta codificata. E i personaggi che tale rivolta ha generato possiedono i lineamenti contraffatti di automi, senza che nessun contenuto reale li caratterizzi dal di dentro. La stereotipìa li rende ‘infidi’. Il loro silenzio può precedere solamente l’ennesima corbellerìa propagandistica. Essi non hanno più la padronanza dei loro atti, non sanno più bene quale sia la distanza tra cause ed effetti. Sono regrediti a una rozzezza primitiva: se, da una parte, hanno assimilato il degradante ‘parlato medio’ del ‘politichese sottotitolato’, dall’altra sono quasi tutti afasici, o esprimono concezioni culturalmente obsolete, superate dagli eventi e dalla società stessa. Oppure lanciano urla gutturali e interiezioni di carattere osceno, come per esempio le recenti dichiarazioni dell’onorevole Casini sulle unioni civili e nei confronti degli omosessuali: emerite atrocità inascoltabili, che riportano alla mente quell’Amintore Fanfani allorquando paventò agli italiani, nel corso del drammatico referendum sul divorzio, il pericolo di fuga delle mogli con le cameriere. Oscenità assolute, di matrice cattolico-integrista, provenienti da persone che hanno sempre praticato una falsa tolleranza derivante dall’abitudine a svolgere la propria funzione politica in forme regressive di libertà ‘ottriate’, concesse dall’alto di una prosopopea e di un’arroganza che proprio non riesce a concepire la codificazione astratta di teorie ormai divenute frammentarie, segmentate, quasi una forma di ‘nozionismo’ della politica. Dunque, i politici che vediamo intorno a noi dovranno essere puniti. Ebbene sì, è giusto farlo, mi dispiace: questo è l’unico modo, il solo democraticamente possibile, per cambiare completamente ‘aria’ e allineare anche l’Italia lungo la frontiera dei Paesi civili, moderni, più avanzati. Senza alcun bisogno di alzare la voce o proferire invettive.
Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it