E’ difficile giudicare obiettivamente un fatto che permane come il più affascinante e, al contempo, frustrante mistero di questa nazione: Silvio Berlusconi. E appare altresì inevitabile continuare a scontrarsi con posizioni atte a vanificare ogni sorta di interpretazione più o meno laica della politica. Anche le più poetiche digressioni sulla divinità del cavaliere di Arcore accentuano una continua divisione tra gli italiani perpetuata attraverso il tempo, poiché fortemente compromessa dalla necessità di coltivare la più evanescente delle certezze terrene, materiali, grettamente pragmatiche. Probabilmente, Silvio Berlusconi è davvero l’uomo/spartiacque per eccellenza, a mezza strada tra un format televisivo e il ‘kolossal’ dai grandi mezzi produttivi: una finestra emblematica tra passato, presente e futuro. Del resto, chi mai avrebbe scommesso su un suo ritorno così precoce? Si tratta di una semplice operazione di ‘riciclaggio’, oppure siamo di fronte a una vera e propria resurrezione? Egli rimane fortemente coerente con la propria visione tradizionale della vita, della società e del mondo. E, ancora una volta, siamo di fronte alla formazione strategica e impegnativa di un’imposizione mediatico/religiosa: lui è veramente il Messia, oppure il ‘meno peggio’ tra un’accozzaglia di ‘politicastri’ assolutamente inventati? Le domande si susseguono serrate, una dopo l’altra: possibile che la politica italiana sia così ‘immobilista’ da riprodurre sempre e solamente se stessa? Davvero il fronte moderato italiano è così allergico ai cambiamenti e alle novità da sentirsi costretto a riproporre, per 6 volte consecutive, sempre lo stesso candidato premier? Eppure, Silvio Berlusconi ancora oggi appare ai più come il solo e unico esponente in grado di aprirci le porte del paradiso, benché in 18 anni non sia mai riuscito a trovare gli strumenti adatti per cercare di dominarlo. Sin dal suo primo ‘avvento’ del 1994, egli ha incantato lo schermo con la propria luminosità, ripagando un’attesa, durata migliaia di anni, di tanti fedeli pronti a farsi proteggere da un ‘padre’ che domina sui propri ‘figli’. La sua umanità carnale è tutta nelle apparenze: ciò che vediamo o che abbiamo letto su di lui non può discernere da una rappresentazione oleografica, poiché sia chi sta dalla sua parte, sia chi proprio non lo ‘digerisce’ fa di tutto per immortalarne ogni evento, agiograficamente scosso da un uomo che emerge innanzi agli altri. Non c’è differenza alcuna, in fondo, tra il moderatismo ‘berlusconiano’ e il cattolicesimo retorico e delirante di Santa Maria Goretti. La rappresentazione stessa della santità dovrebbe indicare una spiritualità profonda e assoluta. Invece, in Berlusconi essa apparentemente esiste, per poi allontanarsi all’improvviso. Perché davanti agli occhi trasognati dei suoi fedelissimi e al suo sorriso stampato in volto come in una fotografia sempre uguale a se stessa non c’è mai sofferenza, nessun ripensamento teologico, alcun tipo di debolezza spirituale, in definitiva alcuna forma di fede atta a sconsacrare lo stereotipo del dogma fomentato da una vicenda che ha ormai percorso, cronologicamente, due interi decenni della nostra esistenza. Al di là di tutto, è proprio l’immagine il problema principale della cultura cattolico/moderata italiana, la sua metodologia di ‘ribaltamento logico’ che riesce a cancellare e a disperdere ogni forma di spiritualità carnale all’interno del mito favolistico, ancestrale, atavico. Questa ennesima “discesa in campo” non solo non sortisce affatto la visione idilliaca e rassicurante che si vorrebbe, ma risulta ormai una rappresentazione vagamente inquietante di una fenomenologia oltranzista, fanatica, tristemente reazionaria. Nel ‘berlusconismo’, i punti di distanza più abissali tra beatitudine ed estremismo radicale si riducono a pochissimi gradi di separazione. Siamo cioè di fronte all’ennesima idealizzazione ‘universalista’, una sorta di ‘monocorde maledizione’ tutta italiana. Il ‘cast’ degli adulatori anche questa volta è ampio e straordinario: personaggi più o meno noti si propongono nelle vesti di autentici statisti di fama internazionale. E risulta assai significativo come i più ‘eccitati’ dalla ‘svolta’ in atto siano proprio coloro che hanno rivestito, in passato, ruoli politici alquanto marginali. Perché nell’ortodossia ‘aureolare’ di Berlusconi esiste solamente la ‘predestinazione’, un concetto che ci rende tutti comuni spettatori di eventi dei quali risultiamo, più o meno consapevolmente, testimoni o difensori (si vedano le polemiche degli anni scorsi sull’uso del crocifisso nelle aule scolastiche prive di ogni minimo senso di rispetto nei confronti dell’assenza di altri simboli in una società multietnica, oppure il fermo convincimento del simbolo sacrificale e doloroso della croce come ‘unica via’ per la redenzione spirituale). Le svariate ‘sensazioni’ di esaurimento psicofisico e la convinzione, tutta cattolica, che il singolo individuo per redimersi debba per forza arrivare alla morte sollecitano elettori e normali cittadini a interrogarsi sul sacrificio dell’uomo “solo al comando per amore di tutti gli altri”, “dell’inviato dalla Provvidenza”, del leader “che si mette il mondo sul cuore”, ponendo a nudo la nostra povertà spirituale fino a colmare il senso del peccato con la nostra scarsità di fede nel messaggio ‘messianico’ di Berlusconi. Per mia, nostra e vostra grandissima colpa. L’intera sua vicenda, mentre da una parte incoraggia la redenzione eterna non per i migliori o per gli eletti, bensì in favore di coloro che saranno dalla parte ‘giusta’, dall’altra spinge il credente tradizionale a vivere il peccato nella sofferenza. Peccato del quale conserva prova inconfutabile e domestica. L’estetica ‘berlusconiana’ ricorre a tutti i luoghi comuni del genere, compresa la pretesa di raffigurare il leader come colui che divulga il bene e la verità senza mai occuparsi direttamente del male che regna intorno a sé. L’ambiguità stessa di questo suo precoce ritorno appare emblematica: un totale rifiuto ideologico, autoritario, teologico verso ogni altra forma di leadership che sortisce un involontario effetto comico. La dimensione dello spirito in quanto ‘creatività astratta’ perfettamente al servizio del ‘mascheramento occultativo’ di un encefalogramma collettivo completamente ‘piatto’ continua a pervadere il Pdl, mentre Berlusconi attraversa i confini della propria esistenza come se venisse continuamente liberato da un male ‘oscuro’: la mancanza di fede di coloro che non lo amano, o che non lo vogliono, o che vorrebbero qualcun’altro alla guida del Partito. La sua proverbiale simpatia è ormai un ingrediente superato, obsoleto. Almeno quanto la degradante brutalità della profonda ‘rottura di palle’ riversata in una resurrezione quanto mai forzata. Miracolismi e resurrezioni scandiscono, infatti, una vicenda da cui è ormai impossibile discernere ogni forma di rispetto umano - comunque dovuto nei riguardi di un protagonista dei nostri ultimi anni - dalla fatalistica esperienza capitata a un popolo da sempre in cerca di risposte assolute, capace solamente di respingere la carità come fonte inesauribile di bestemmia, in quanto cinica avversione nei confronti della più profonda forza morale dell’uomo. In ogni caso, la questione politica di fondo rimane quella di un Popolo delle Libertà che, anche rispetto alla primissima versione di Forza Italia, risulta uno dei Partiti più ‘brutti’ che si siano mai visti in circolazione, peggiore persino della Dc ‘preambolista’ di Arnaldo Forlani e Flaminio Piccoli. Ma al di là delle numerose opinioni negative al riguardo, Berlusconi e i suoi restano fermamente convinti di aver realizzato un capolavoro politico spettacolare, sino a rendere impossibile trovare una qualsiasi altra invettiva in un ‘regno’ ormai dominato dal vuoto. Perché naturalmente Berlusconi dev’essere un Messia: egli deve operare per il bene della propria comunità partitica senza mai reprimere veramente il male che la domina e la sovrasta. Molti si sono soffermati, in passato, sugli aspetti ‘eversivi’ del ‘fenomeno-Berlusconi’, come se si dovesse a ogni costo esigere che realtà e finzione debbano assurgere a una sorta di rigore espressivo ‘paritario’ anche dal punto di vista morale, come se le paradossali vicissitudini di Leonard Zelig non fossero un geniale spunto ‘parossistico’ di Woody Allen, bensì il solo, esclusivo, unico e millenario filo-conduttore culturale degli italiani. Qualcosa del genere, in effetti, è accaduto per davvero: Berlusconi non avrebbe mai potuto interpretare la propria leadership in tutti questi anni se prima non si fosse creato un suo ‘regno’ interamente composto da una continua mescolanza di contraddizioni e opposti ‘eraclitei’: sacro e profano, Dio e la ‘patonza’, famiglia e trasgressione, amore e danaro, generosità e cinismo, altruismo e opportunismo, dogmatismi e dissacrazioni. Insomma, può anche darsi che nel Pdl ci sia veramente tutto quel che serve all’Italia. Tutto, tranne la politica.