La situazione di stagnazione economica, italiana ed europea, non è legata esclusivamente a quel che dovrebbero fare i singoli Stati, bensì a quel che dovrebbe fare l’Ue: decidersi ad avviare un processo di effettiva unificazione politica - con tanto di ministro dell’Economia e segretario di Stato unico per gli Affari Esteri - al fine di riequilibrare le politiche di crescita dei diversi Paesi membri. Le difficoltà di oggi non sono semplicemente legate alla creazione, a suo tempo, della cosiddetta ‘Eurozona’, come pensano alcuni ‘euroscettici’ che ‘risbucano’ improvvisamente dopo più di un decennio di ‘letargìa’, bensì dall’aver imposto un rallentamento a quell’iter di unificazione continentale che doveva essere espressamente politico, non semplicemente basato su una concezione ‘monetarista’ dell’economia. Continuare a prendersela con l’Euro significa ragionare guardando all’indietro, cioè a strategie ‘nazionaliste’ di forti esportazioni basate su monete deboli, alla ricerca di un ‘capro espiatorio’. Invece, con una moneta forte come l’Euro, la gestione finanziaria dell’economia è divenuta questione assai distinta, ben più complessa, in cui la determinazione del prezzo delle merci risulta elemento centrale, per non dire dirimente. Facciamo qualche piccolo esempio, così cominciamo a comprendere le cose nei suoi aspetti microeconomici: se ci sono persone che preferiscono scrivere articoli o libri senza pretendere alcuna forma di pagamento, ciò ‘ammazza’ il mercato della produzione intellettuale, poiché un editore qualsiasi si ritrova sottoposto a una concorrenza talmente ‘sleale’ da costringerlo a ridurre le pubblicazioni previste, oppure a rinunciare alle collaborazioni professionali regolarmente contrattualizzate, oppure ancora a ricorrere anch’esso a coloro che scrivono un libro o un articolo unicamente per la ‘gloria’, o per mera ‘vanterìa’. Ma la funzione intellettuale di un giornalista, o di uno scrittore, non è quella di coltivare un hobby come il giardinaggio o di lavorare per ‘passione’, per il mero gusto di regalare un libro agli amici. Tutti parlano di mercato, ma la verità è che nessuno ne capisce realmente granché, o è al corrente di come si regola, men che meno in quale modo ‘rigenerarlo’. Si mescolano questioni microeconomiche con altre di svariato genere e tipo, indicando i mercati mediterranei e dell’Africa del Nord come lo sbocco naturale dell’esportazione ‘made in Italy’. Rimane pur vero che, storicamente, la nostra funzione commerciale si configura come un ‘ponte naturale’ verso il Mediterraneo. Ma di certo, non in una funzione ‘neocolonialista’. E comunque, quest’idea non c’entra nulla con le nostre reali ‘tare’ di fondo. Tutto ciò serve solamente a nascondere, come al solito, quel che molti vorrebbero continuare a mantenere come ‘regime’ interno: economie aziendali puramente fondate sulle ‘relazioni pubbliche’, fondi per la formazione professionale che ‘durano’ 20 minuti e poi spariscono. E via dicendo. La mentalità italiana rimane ‘furbesca’. Fare impresa, per molti significa esattamente questo: riuscire a ‘fottere’ qualcuno, Stato, Paese povero o cittadini che siano. Se dei ‘polli’ che si lasciano ‘fregare’ non ce ne sono più, allora ci si dirige verso Paesi con maggiori problemi di noi, poiché forse questi non hanno ancora ben compreso il ‘meccanismo’: alla faccia del capitalismo etico di Max Weber! L’importante è aprire bocca e dargli fiato, affinché si possa continuare a non vedere le caratteristiche negative del tessuto socioeconomico italiano. A noi convenne, eccome, passare all’Euro nel 2002: ciò contribuì a ridurre il nostro debito pubblico di quasi due punti in percentuale. Ma oggi, dopo aver ottenuto quello ‘sconto’, si vorrebbe fare a meno di una moneta che, più semplicemente, impone una politica economico-finanziaria completamente diversa, con un mercato interno di concorrenza imperfetta, non gestita da potenti, quanto ristrette, ‘lobbies’. Invece di andare a vedere dov’è il problema, ovvero la mancanza di liquidità finanziaria, lo strangolamento del piccolo commercio al dettaglio, le diverse esigenze di ‘riposizionamento’ sui mercati basandosi su strategie realmente innovative (non si può continuare a produrre una merce se questa risulta obsoleta, oppure se manca la figura tecnica, o persino quella operaia, destinata a fabbricarla…) si preferisce prendersela con la moneta, o teorizzare avventuristiche ‘mission’ commerciali in Libia ed Egitto. Qualche nostalgico di El Alamein? Può darsi. In ogni caso, è vero: sui mercati internazionali i nostri prodotti stanno soffrendo la competitività produttiva e la spregiudicata politica dei prezzi dei Paesi asiatici. Ovvero, di quell’area del pianeta che, solamente nel 1997, aveva subito un dissesto finanziario pesantissimo, a dimostrazione che le crisi congiunturali, nel capitalismo moderno, sono soprattutto cicliche allorquando si possiedono le ‘fondamenta strutturali’ adeguate per superarle. Ma il prodotto italiano rimane quello qualitativamente più pregiato sui mercati esteri, da quello vinicolo a quello dell’abbigliamento e di numerosi altri comparti artigianali. Il suo prezzo, oggi, è più alto e, in tempi di crisi, ciò non permette di vendere a ‘rotta di collo’. Tuttavia, se qualcuno volesse comprare vestiti di buona fattura spendendo qualcosa in più, generalmente acquista un prodotto italiano o, al massimo, francese. Ogni tanto, si può anche fare, può capitare: non ci sono solamente le ‘t-shirts’ cinesi a 2 euro il paio. Dunque, il problema della competitività sui mercati internazionali è relativo: se la Fiat riuscisse a ‘imbroccare’ la produzione di una buona vettura potrebbe anche darsi che la venda, ‘vivaddio’! Il vero problema rimane, invece, quello dei mercati interni, delle ricadute - o meglio, delle conseguenze negative - che intervengono nelle rigide economie delle singole nazioni a causa di un sistema ‘deviato’, corrotto, spesso sovvenzionato. In Italia, un giornale non lo si fa più per venderlo in edicola, bensì per riuscire a ottenere finanziamenti pubblici. In sostanza: le vere finalità economiche son quasi sempre ben diverse da quelle che vengono dichiarate, generando un capitalismo egoistico, che non gliene importa nulla di offrire o meno un servizio alla collettività. Tutto questo non è colpa dell’Euro o dell’Europa: è colpa nostra, signori miei. E’colpa nostra, se abbiamo le ‘lobbies’; è colpa nostra, se gli imprenditori non investono in innovazione e ricerca; è colpa nostra, se le banche preferiscono avere, nel proprio portafoglio-clienti, degli ‘iperindebitati’ anziché soccorrere l’imprenditoria piccola e media o, addirittura, quella giovanile, ché magari potrebbe rivelarsi più onesta e, perfino, più competitiva. E' colpa nostra, se non vogliamo mai cambiare nulla, almeno fin quando non arriva un’inchiesta della magistratura che ‘schiaffa’ tutti quanti in galera. Per l’amor di Dio: sono un garantista anch’io. Tuttavia, non si può neanche continuare a credere che, in fondo, la truffa - anche quella ai danni dello Stato - sia un reato meno grave rispetto a una rapina in banca: un reato rimane, pur sempre, un reato. Qualcuno ipotizza la creazione di una sorta di ‘doppia economia’ (è proprio vero che, quando le cose vanno male, salta sempre fuori quel vecchio popolo di ‘commissari tecnici’ che siam sempre stati…), una sorta di Europa di serie ‘A’ che utilizzi solamente l’Euro come moneta di scambio, accompagnata da una di serie ‘B’, dotata di una duplice circolazione monetaria. Ma neanche questa cosa si può fare: se si emette una moneta debole affiancata da una ‘forte’, il tasso di svalutazione monetaria - oltre a quello d'inflazione - che andrebbe subito a colpire la valuta meno forte, nel medio termine contagerebbe anche l’altra, generando l’ennesimo rialzo dei prezzi. Sarebbe un po’ come tornare alla vecchia ‘scala mobile’, la quale, invece di ‘calmierare’ i prezzi verso il basso, lo faceva ‘verso l’alto’, costringendo il Tesoro a chiedere alla Banca d'Italia di stampare moneta a più non posso. Forse, questa è la direzione, estremistica e incoffessabile, che qualcuno vorrebbe far prendere al Paese: trasformarlo in una nuova Repubblica di Weimar, in cui la gente sia costretta ad andare a far la spesa con i soldi raccolti a ‘pacchi’ dentro alle ‘cariole’ da muratore. L’abbassamento del potere d’acquisto di una moneta non corrisponde alla sua velocità di circolazione: il fatto che un biglietto da 50 euro si ‘volatilizzi’ nell’arco di una giornata non significa che l’Euro non valga niente, bensì che il sistema di circolazione della moneta, cioè il numero di volte che essa cambia di mano, è stato falsato sul versante dei prezzi, ovvero che ciò che nel vecchio ‘regime’ costava mille lire, oggi costa un euro, ovverosia duemila. Questo fatto è accaduto perché la moneta ‘metallica’, qui da noi, sin dai tempi delle svalutazioni monetarie degli anni ’70 del secolo scorso non valeva più niente. Invece, la moneta da un euro vale, eccome! E’ su quella che si calcola il potere di acquisto: è proprio quella lì, l’unità marginale di circolazione monetaria! Per 50 anni avete votato i democristiani, santiddio! Gente che, se Gesù Cristo tornasse sbadatamente sulla Terra per farsi una ‘schitarrata’ sulla spiaggia in compagnia dei suoi discepoli, lo farebbero arrestare per ubriachezza molesta. Potevate votare il Partito d’Azione, che tra le sue fila annoverava economisti ‘cazzutissimi’: no! Potevate votare i liberali, che son sempre stati tutti ‘massoni’ ma che, per lo meno, han sempre seguito una logica da ‘signori’, da ‘borghesia illuminata’: niente da fare! Proprio quella gente lì, i cattolici, dovevate tirarvi dietro per tutti questi decenni, considerando come costoro, con la scusa di credere innanzitutto in Dio, possono prescindere, o trascendere, dal rispettare con coerenza ogni sacrosanto principio laico di legalità. Due pesi e due misure: stiamo ancora tutti qui a perder tempo nel tentativo di spiegarvelo! Tanti anni fa, nell’Urss di Nikita Krusciov, un economista vinse il premio Lenin poiché riuscì a calcolare il prezzo di vendita più conveniente di una merce in regime di monopolio. Certamente, monopolio di Stato significa che, se si producono 50 motociclette rosse, queste possano risultare vendute fino a esaurimento delle scorte, mentre 50 motociclette del medesimo tipo, ma di un colore diverso, potrebbero invece non incontrare i gusti dei consumatori e risultare, in larga parte, invendute, facendo saltare la pianificazione produttiva. Ma questo era esattamente il motivo per cui quel sistema lì, quello ‘marxista’, era sbagliato: se ‘toppavi’ anche solamente una singola decisione crollava l'intero ciclo produttivo, sprecando ingenti risorse. Dunque, la vera formula per uscire dalla recessione dei mercati interni è quella delle liberalizzazioni, con un sistema di libera concorrenza ‘imperfetta’ in grado di ‘calmierare’ i prezzi. Ma qui da noi, concorrenza significa ‘Far west’ o mera ‘piraterìa finanziaria’, poiché manca totalmente il ‘quadro’ delle regole: in Italia, è più facile chiudere un accordo mettendo una prostituta nel letto di qualcuno, anziché dimostrando di poter produrre un bene qualsiasi sulla base di un buon rapporto qualità/prezzo. Pertanto, per quanto concerne il nostro Paese, la verità è ben altra: finché continueremo a pensare solamente al ‘pallone’, a ‘fottere’ e a cucinare, fin quando la nostra logica di fondo sarà quella da ‘ladri di galline’, completamente analfabeta su cosa effettivamente significhi il valore e la parola ‘lavoro’, a tutti i livelli, anche e soprattutto aziendali, insomma fino a che non ammetteremo la necessità di dover puntare sulle aziende piccole e medie, sulla formazione professionale, sulla creazione di un’imprenditoria giovanile più coraggiosa, concedendo nuova cittadinanza economica e rinunciando al nostro ormai obsoleto capitalismo di ‘relazioni’, di ‘dinastie’, di ‘famiglie e famigliole’, spesso e volentieri sovvenzionate dall’alto sin quasi a ‘spacciare’ il modello italiano, con autentica ‘faccia di bronzo’, come un sistema ‘semisocialista’, da tutta questa situazione noi italiani non riusciremo a venirne a capo. A buoni intenditori, poche altre parole.
Direttore responsabile di www.laici.it e di www.periodicoitalianomagazine.it