La scuola italiana avrà la sua ennesima riforma. La prima bozza, denominata fin da subito dai tecnici “Pacchetto merito” non ha avuto una bella accoglienza. Il Pd, i sindacati e quasi tutta la sinistra ha criticato aspramente i 25 articoli proposti dal ministro Profumo. Il merito non è un principio sociale: è questo in sintesi la critica mossa a sinistra. La riforma – ma veramente avevamo bisogno di un’ennesima riforma, che peraltro non tocca e non mette ordine tra le macerie lasciate dalla Gelmini? – della scuola e dell’università proposta dal ‘tecnico’ risponde alle critiche e alle richieste piovute da molteplici versanti. L’assenza di un qualsiasi principio di meritocrazia in tutto l’universo scolastico è diventato decisamente troppo, anche per chi con l’ambiente del ‘baronato gerontocrate’ fa i conti da diversi anni. Però, la scelta del merito a tutti i costi appare probabilmente forzata e rischia di rivelarsi un ‘boomerang’. Il migliore della classe, lo studente dell’anno, il miglior laureato, il miglior dottorato, il miglior… ‘troppo’, come si diceva una volta, ‘stroppia’. E l’eccessivo richiamo al “migliore di” lascia decisamente perplessi. Per chi la scuola e l’università l’ha frequentata e la frequenta ancora, questa riforma nasconde in sé alcuni elementi rivoluzionari. Perché se, da un lato, con il costante richiamo al migliore fra tutti, che per questo può godere di più diritti e più opportunità, si finisce col ricadere nel più odioso problema di una totale assenza di parità sociale e di accesso all’educazione, dall’altro, l’idea di agevolare gli studenti, i ricercatori e i professori più meritevoli, più produttivi in ambito accademico, appare un miraggio che la nostra accademia baronitica non ha mai immaginato. E allora? Non possiamo far altro che sollecitare il ministro Profumo a rivedere, come peraltro ha già promesso, gli aspetti più ‘deficitari’ e più discriminatori del suo “migliore di”, ma al contempo a non perdere quel suo slancio meritocratico – senza tuttavia eccedere – che nel mondo accademico potrebbe portare a un reale miglioramento delle condizioni di tutti quegli studiosi che per vedere pubblicato un proprio articolo o partecipare a un concorso pubblico debbono sperare nella clemenza di un professore e non nelle loro capacità di ricercatori.