Giù le mani dalla rete. E siamo d’accordo sul principio: stiamo attenti a chi è animato da brama di possesso e controllo e vuole censurare le idee, sfruttare il lavoro altrui, manipolare le informazioni. Ma stiamo anche attenti a non cadere in trappole populiste e dimenticarci che ‘libertà’ e ‘gratuità’ in questo sistema sociale non coincidono, per cui, alla fine, battaglie che idealmente potrebbero sembrarci giuste e progressiste rischiano di fare il gioco dei potenti e rendere ancor più deboli quelli che sempre, nella Storia, sono stati deboli, cioè i produttori di contenuti, gli autori, gli artisti. Copyright: parola che ormai a molti risulta fastidiosa, a meno che non venga utilizzata nell’accezione di “diritto alla proprietà intellettuale”, dato che il “diritto alla proprietà commerciale” sembra essere diventato una pretesa stramba, quasi una prepotenza contro il popolo degli utenti, popolo che, in un futuro non troppo lontano, sarà associabile all’universo mondo. I ‘nocopyright’ non vogliono per gli autori altro riconoscimento che quello morale (maternità o paternità) e un filesharing (condivisione digitale) del tutto gratuito. La ricompensa consisterebbe nel piacere di diffondere ciò che si è creato e anche, naturalmente, nella visibilità, che come indotto comporterebbe un aumento delle richieste di performances o altro. I musicisti avrebbero maggiori possibilità di fare concerti, per esempio. E gli altri? Uno scrittore il cui romanzo circolasse in rete forse potrebbe aspirare a fare qualche ospitata in tv, un saggista a tenere qualche conferenza (ma quante ospitate e conferenze vengono remunerate? E quanto? Se il personaggio non è su tutti i giornali per qualche scandalo, difficile che ottenga persino un gettone di presenza). Una dimenticanza non irrilevante, nella posizione ‘nocopy’: il ruolo dei portali, cioè di quei siti web che permettono di accedere alle risorse di internet. Nessun esborso a carico dell’utente, nessuna remunerazione per i produttori di contenuti, ma guadagni enormi per i portali grazie alla pubblicità. Si fa fatica a considerare tutto questo come equo. I produttori strillano, dicono che continuando così si ammazzerà l’industria dello spettacolo e dell’editoria, con una perdita di posti di lavoro spaventosa, che al momento è quantificabile in alcune decine di migliaia e certamente crescerà. Ma pensando ai momenti di crisi causate dalle rivoluzioni tecnologiche è permesso ipotizzare vie d’uscita, riassetti, nuove strutture: è sempre stato così. Il futuro e la stessa dignità degli autori, invece, sono più incerti. Parliamo degli scrittori: di recente, ho letto quasi integralmente su internet il saggio appena uscito di un mio amico. L’ho comprato lo stesso, ma io sono una specie di ‘feticista’ del libro, non rappresento che una risibile minoranza (non equivochiamo: risibile in senso numerico, non perché la nostra passione faccia ridere). Parliamo dei musicisti: qui il discorso è delicato, complesso e tutt’altro che risibile (sempre in senso numerico), dato che l’80% di quello che si fa attraverso la rete è ascoltare o scaricare musica, così come i proventi della Siae (Società autori ed editori) derivano soprattutto dalla musica. L’orientamento ‘nocopyright’ insiste sul farsi conoscere per avere più occasioni di esibirsi, pagati. Ma gli autori? Musicisti e parolieri non vanno in giro fare concerti. E poi, la libertà di non calcare un palcoscenico? Uno dei più grandi interpreti di musica classica del Novecento, Glenn Gould, a un certo punto decise di incidere solo dischi: “Ho sempre avuto l’impressione di suonare meno bene a causa di quella presenza”, disse un giorno a Rubinstein, parlando del pubblico. Vita quasi da eremita, molte letture teologiche e filosofiche, molto esercizio al pianoforte. Le sue esecuzioni di Haydn e Bach sono uniche, così come quelle di Beethoven, nonostante lo amasse poco. Avesse dovuto sottostare a regole ‘nocopyright’ non avrebbe potuto nemmeno mangiare, né avrebbe avuto il tempo, dovendo fare un altro lavoro, di studiare. Lo studio, la preparazione: altra dimenticanza davvero curiosa di chi sostiene - come l’ex magistrato Gennaro Francione - che l’arte attraversa l’artista, non gli appartiene, è patrimonio comune e l’artista per sostenersi dovrebbe fare una qualche altra attività. Un mondo organizzato in modo che tutti avessero voglia e possibilità di dedicarsi insieme a lavori manuali, intellettuali, artistici e via così: che mondo meraviglioso e auspicabile. Ma pure, in uno scenario del genere, esprimere il proprio talento richiederebbe sforzo, studio, impegno, tempo. Noi che amiamo Gould saremmo stati felici se avesse dovuto sottrarre energie alla sua arte per occuparsi d’altro? Proprio no, perché non avrebbe raggiunto quei livelli. E quanto sarebbe stato meglio per il povero Beethoven, o tanti altri, non dipendere dal capriccio di mecenati, da gratifiche e pensioni ottenute come favori dei potenti? La rete può essere davvero una fantastica palestra di scambio, confronto, arricchimento soltanto se non penalizziamo chi, con i suoi contributi che nascono dall’applicazione e dal talento, questa rete la fa vivere. Accettiamo di pagare tutto, anche ciò che la natura ci regala, dall’acqua al diritto di accedere a una spiaggia e non vogliamo pagare le persone che producono quello che contribuisce a rendere più bella, intensa, significante o magari solo divertente (solo?) la nostra vita. Parallelamente, però, non ci preoccupano, né indignano, i guadagni spropositati di gente che questi prodotti li commercia, senza neppure dare un minimo contributo creativo per renderli migliori o diversi, contributo che invece hanno sempre dato i ‘biechi’ discografici o editori, contro cui tanto c’è da dire e s’è sempre detto. Qualcosa non torna, davvero. “Rete libera” è un ottimo slogan, ma rischiamo di pagare cara la gratuità di tutto ciò che contiene.
IL CONVEGNONocopyright e diritto d’autore: due posizioni inconciliabili?Al convegno del 17 maggio u. s. tenutosi a Cosenza sul tema “La crisi del diritto d’autore: il copyright, tra mercato legale e pirateria”, l’ex giudice Gennaro Flacone, o meglio “un artista prestato alla magistratura” come ama definirsi lui, ha fatto un intervento polemico e travolgente in favore del nocopyright. Francione, noto anche per aver emesso nel 2001 una sentenza assolutoria nei confronti di un ragazzo che vendeva CD contraffatti, ha sostenuto le ragioni dell’arte pura, del copiare come chiave della cultura, dell’assurdità della protezione del copyright: l’autore non esiste, è solo il portavoce dell’umanità. Francione ha scritto una quantità sterminata di opere teatrali, 8 romanzi e 80 saggi, ma dichiara, coerente: “Non c’è un’opera che sia mia”. Molto critico sull’organizzazione “creative commons” che giudica “una truffa, un socialismo alla Craxi”, perché rimette agli autori la decisione di cedere o no la propria opera alla rete, lui propone la “detentio a possedere in nome dell’umanità”, per cui ogni autore è obbligato a cedere la propria opera alla rete, potendo, come detentore, vantare su di essa solo un diritto morale. “L’autore che vive di proventi commerciali è destinato a morire”, sostiene deciso l’ex magistrato. Di parere opposto Cristiano Minellono, membro e capo del Crea (coordinamento di Associazioni di Autori di tutte le espressioni artistiche e culturali), che intanto ritiene che sia necessaria una legge che stabilisca che stampare un disco falso o scaricare gratuitamente da internet siano reati penali di pari gravità e, poi, insiste sulla centralità della figura dell’autore, penalizzato dagli accordi fatti dalla Siae con Itunes e Youtube perché “le majors fanno accordi all’estero per fatti loro, del mercato italiano se ne infischiano e la Siae ha fatto un accordo per il quale agli autori arriva una miseria. Dobbiamo quindi fare in modo che gli autori abbiamo più potere di gestione”. Una conferma dell’esiguità dei proventi dagli accordi con Youtube viene da Claudio Rocchi, musicista ultimamente molto attivo nelle battaglie per il diritto d’autore, che ha appena ricevuto, per 5.600 ascolti di un suo singolo degli anni Settanta, la cifra esagerata di 5 euro: “E’ tempo di cambiare. Anche l’accordo con Itunes va rinegoziato: dei 99 centesimi che costa un pezzo singolo, tra rivenditore, editore, casa discografica e autore è quest’ultimo a prendere meno”. Su chi dovrebbe pagare gli autori, Rocchi pensa soprattutto a una ridistribuzione dei ricavi dalla pubblicità: “Google vale infinitamente, guadagna infinitamente con la pubblicità. Basta solo ridistribuire la ricchezza. Non è possibile che gli autori, su cui si basa tutto, guadagnino praticamente nulla”. Totale rifiuto, invece, dell’idea che è alla base della recente sentenza per cui una percentuale del prezzo di vendita dei CD e DVD vergini vada alla Siae perché si presuppone che questi supporti servano per fare copie, downloads: “Non c’è alcuna prova che io faccia un uso piuttosto che un altro di quello che acquisto. Presumere è sempre sbagliato, iniquo”. Mario Lavezzi, segretario della Federazione Autori, ci tiene a precisare che, anche se l’accordo con i portali va assolutamente rinegoziato (vale per tre anni), è stato importante concluderlo per affermare un principio. Intanto la crisi del mercato discografico è da “encefalogramma piatto”. Lui, col suo ultimo ‘L’amore quando c’è’, potrà dichiararsi soddisfatto se venderà 7 mila copie e l’album che sta producendo adesso, di Ornella Vanoni, di cui sono entusiasti tutti gli addetti ai lavori - Ornella per prima - dovrà posticipare l’uscita perché ora la casa discografica non ha risorse finanziarie sufficienti per il marketing (tanto per spiegare lo stato di salute del settore). “Le case discografiche si sono arroccate nella difesa del supporto fisico, non accorgendosi che stava arrivando uno tsunami”, dice Lavezzi, che però aggiunge: “In un momento come questo bisogna essere tutti uniti, autori, editori, case discografiche. E’ un momento di crisi e solo l’unità potrà permetterci di superarla e inventarci nuove strade”. Ascoltare, guardare, scaricare gratuitamente dalla rete? “No. Un abbonamento potrebbe essere la soluzione. Se l’opera dell’ingegno non viene retribuita in alcun modo è un furto all’autore. E i primi ad averne dei danni sono e saranno i giovani”. Ma non sono solo queste le problematiche della rete. Il web master Marino Pietrella, uno dei più bravi in circolazione, lamenta che molti siti stampa e onlus cancellino nel ‘footer’ il link all’autore, ovvero non citino chi regala loro l’applicazione. E ricorda anche la persecuzione subita dai ‘bloggers’, trattati come nemici e il rischio di una censura preventiva se passeranno proposte come quella che anni fa presentò il senatore Basile di Forza Italia, che voleva l’istituzione dell’Ordine degli informatici, regolamentato in maniera molto rigida. Non si tratta di cose da nulla. “Rete libera” è un bellissimo slogan. Ma non si risolve nel poter ascoltare, guardare e leggere gratis tutto quello che ci troviamo dentro. Forse, anzi, questa gratuità rischiamo di pagarla cara.
(servizio tratto dal settimanale ‘Gli Altri’)