Stefania CraxiIl ‘Manifesto dei riformisti’ è un prezioso ‘vademecum’ per chiunque senta il bisogno di partecipare attivamente alla rinascita dell’Italia. Il riformismo è il sistema politico congeniale per lo Stato moderno che, sotto l’impulso dello sviluppo tecnologico, cambia rapidamente le condizioni di vita e di lavoro e ha quindi bisogno di una attiva legislazione e di un continuo monitoraggio delle leggi esistenti. Questa situazione pesa ancor più gravemente sull’Italia, che non ha saputo accompagnare la sua grande metamorfosi da Paese contadino a Paese industriale con una adeguata legislazione. L’attività dei Parlamenti della Repubblica si è rivolta soprattutto al sociale, accentuando così gli inevitabili squilibri. La fine traumatica della Prima Repubblica ha impedito che gli errori commessi potessero essere sanati dagli stessi protagonisti del dopoguerra, sebbene, a loro carico, è giusto ricordare che già nel ’79 si era levato un grido (da parte di Bettino Craxi) sulla necessità di una Grande Riforma che comprendesse la stessa Costituzione scritta, quando ancora la maggioranza degli italiani viveva nelle campagne. Con le novità del primo berlusconismo (il premier eletto dal popolo, il maggioritario) ci siamo illusi che il processo riformatore potesse riprendere. Ma l’eterogeneità delle coalizioni e, poi, l’autodistruzione di Berlusconi, ci hanno lasciato al punto di prima. Venti anni perduti, dieci anni di stagnazione produttiva, i partiti disfatti, la crisi economica, una situazione tale da indurre il Capo dello Stato ad accantonare i partiti e a dar vita al governo tecnico. Con Monti, il processo riformatore è ripreso e l’Italia è uscita dal baratro in cui stava precipitando. Ma c’è un cammino enorme ancora da compiere. Il Manifesto ci indica uno a uno i problemi dell’Italia e le necessarie soluzioni. Il liberalismo del prof. Monti non basta a raddrizzare l’Italia, con una Costituzione non più in sintonia con il Paese, con un rapporto fra i poteri dello Stato del tutto squilibrato, con una burocrazia pletorica, prepotente, privilegiata, colma di prerogative, tra le quali quelle del posto fisso a vita che genera solo negligenze, con sindacati che fanno fuoco e fiamme per l’art. 18 e accettano i salari più bassi dell’Europa industriale, con un’economia pubblica che non rinuncia agli sprechi, un personale politico elefantiaco (un milione e mezzo di persone vivono di politica) e di bassa qualità, i giovani praticamente esclusi dalla vita dello Stato. Il Manifesto ci guida per mano in un’Europa che ha una valuta comune, ma il cui vero legame è il debito e il credito, un’Europa senza una leadership politica in grado di guidarla, persa dietro gli egoismi nazionali che le impediscono di avere peso nei consessi internazionali e di concordare una politica economica comune in sintonia con le grandi aree economiche del mondo, senza una Banca Centrale in grado di evitare le ricorrenti crisi di liquidità. E’ giunta l’ora di prendere congedo dalla Prima e dalla Seconda Repubblica, dice il Manifesto, e questo si può fare solo ridefinendo il Patto Costituzionale scritto per un Paese che non c’è più. La crisi economica e politica in cui è precipitata l’Italia suggerisce la nuova forma istituzionale della Repubblica Presidenziale, la sola in grado di sanare situazioni di drammatico dissesto come il riequilibrio fra i vari poteri dello Stato e la restituzione dei partiti alla loro funzione di educazione e selezione della classe dirigente. L’esperienza dell’ultimo Napolitano è istruttiva. Quando si parla di classe dirigente, si tocca un nervo scoperto della situazione italiana. Di fronte allo sviluppo tecnologico, il personale nutrito di ideologismi non serve più e non è sostituibile con improvvisazioni. Occorre che i partiti si pongano in grado di attrarre persone di qualità, tecnici capaci di quelle sintesi che sono l’anima della politica. E’ questa una condizione essenziale perché i partiti riacquistino la credibilità e il consenso che oggi hanno perduto. L’inefficienza dei partiti e l’inadeguatezza delle Istituzioni, l’abbondante demagogia che ha sostituito le buone ragioni, hanno generato un forte senso di distacco dalla politica, e anche di avversione alla politica. E’ un fenomeno che va seriamente combattuto, perché tutto è politica e niente può andare bene fino a quando la politica non avrà recuperato dignità e qualità. I governi tecnici possono svolgere un ruolo meritorio in situazioni di emergenza, ma non possono sostituire a lungo la politica senza produrre crisi della democrazia. I Riformisti Italiani sono per il libero mercato e per un processo di liberalizzazione, intesa come rimozione di tutto ciò che confina, ostacola, distorce lo sviluppo di un’economia dinamica e di una società aperta. L’egemonia della cultura marxista per quasi tutto il secolo scorso ha impedito in Italia lo sviluppo di una coscienza liberale. Al capitalismo e al mercato sono state attribuite crisi quasi sempre di altra natura. Possiamo constatare che la ripresa del pensiero liberale ha trovato consenso nell’opinione pubblica, avendo solo una feroce avversione nelle corporazioni e nella lobby di interesse che non accettano di scambiare i loro privilegi con la concorrenza e la trasparenza. Agli stessi principi liberali deve essere orientata l’economia pubblica. Lo Stato non deve produrre beni, ma adottare politiche industriali che aiutino le imprese private a nascere o ad ingrandirsi. Non posso seguire punto per punto il denso contenuto del Manifesto. I lettori vi troveranno acute analisi e concreti suggerimenti su tutti i punti nevralgici della situazione italiana, sul fisco, sul federalismo, sulla giustizia, sulla Pubblica Amministrazione, sul Mezzogiorno, sui giovani, sul welfare, sulla riforma elettorale. Il nostro programma è ambizioso. Vogliamo spingere l’attuale fase di riforme fino ai tabù dei partiti politici e, se possibile anche oltre, dopo le elezioni del 2013. Un grande passo sarebbe fatto se riuscissimo a far approvare la nostra proposta di un’Assemblea Costituente per modernizzare la nostra Costituzione e farne lo strumento di una nuova rinascita. Tra poco ricorrono i trent’anni dalla Conferenza Programmatica di Rimini del 1982, quella che aprì al Partito Socialista le porte del governo. Fu quello il momento in cui Craxi indicò compiutamente, primo in Italia ed in Europa, i compiti di una moderna forza riformista. Oggi, il nostro compito, la nostra ambizione, non dovrebbe essere quella del 1982 (lo slogan di quella Conferenza era: “Governare il cambiamento”), ma ci basterebbe per il momento di capire il cambiamento. Ai giovani e ai non più giovani, agli italiani liberi che appartengono alla civiltà della critica e della ragione, è necessario offrire, innanzitutto, un’analisi dei cambiamenti in atto, nuove chiavi di lettura, in Italia e nel mondo, una nuova visione. E’ tutto ciò, insieme all’emozione di una verità storica, che emerge con forza. Ed è forse proprio partendo dall’analisi dei cambiamenti, quelli avvenuti e quelli necessari, che sarà possibile trovare le ragioni di un nuovo impegno, scoprire dinamiche sociali, domande politiche.





(prefazione introduttiva del volume ‘Il manifesto dei riformisti italiani’, tratto dal sito www.riformistitaliani.it)
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Ernani Rotellini - Viterbo Italia - Mail - martedi 15 maggio 2012 11.35
Peccato che la Craxi abbia avvallato e usufruito a mani basse della immoralità di tutto il mondo politico e in particolare di quello del centro destra !!!


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