La Chiesa cattolica condanna fermamente (e d’altra parte, o le condanne
sono ‘ferme’ o non sono) il peccato di superbia. Qualche anno fa
Ratzinger parlò della superbia verso Dio, non nei confronti degli altri
uomini, in questi termini: guai a pensare di essere arbitri del bene e
del male, guai a non porsi di fronte a Dio con umiltà, come “bambini
consapevoli della propria fragilità”, abbandonandosi a Dio sereni.
Domanda a Ratzinger: davvero pensa che un cattolico una mattina si
svegli con la voglia di fronteggiare Dio, duellare con lui, magari
sostituirsi a lui? (Qualche filosofo lo ha fatto, in teoria, come sfida
astratta: perché, su questo piano, altro che un gioco intellettuale non è
possibile). Dio onnipotente e onniscente: l’uomo può solo sperare di
non farlo arrabbiare. Ma se Dio non c’è? Se quel tipo che si sveglia la
mattina non ha alcun Dio a cui rivolgersi, da pregare, di fronte al
quale farsi piccolo piccolo e leggero leggero come Lello Arena sulla
bicicletta di Troisi, che si fa? Il tipo senza Dio può soltanto pensare e
operare ‘libero’. Dovrà capire da solo qual è il bene e quale il male. E
se si metterà in quest’impresa, in questa grandiosa mitica impresa, non
potremo che ammirarlo. Invece no, per la Chiesa cattolica lui è un
superbo. Doveva imporsi di credere in Dio e affidarsi a lui, che già ci
ha detto (in quei libri antichi, Bibbia e Vangeli) tutto sul bene e sul
male, su cosa fare e cosa no.