La stagione dello slittamento particolaristico dell’elettorato del nord d’Italia, se Dio vuole sta volgendo al termine. Sempre più chiaro appare infatti, a prescindere dalle vicende giudiziarie in corso, come la Lega Nord non possieda più alcun titolo per presentarsi innanzi all’opinione pubblica italiana come un Partito ben distinto rispetto agli altri. Al contrario, essa oggi appare la principale responsabile di quell’abbassamento qualitativo del ceto politico, che rischia di trascinare il Paese verso una crisi strutturale profondissima. Un propagandismo xenofobo palesemente immotivato di fronte ai fenomeni di sostanziale integrazione interetnica e multiculturale in atto - assai poco paragonabili, in termini quantitativi, con i flussi che hanno investito nazioni come la Francia, l’Inghilterra, la Spagna o la stessa Germania - ha lasciato sul terreno del dibattito nazionale un movimento che ha sostanzialmente abdicato alla propria funzione di medio-termine e che non troverà altri leader in grado di portarla al di là del guado di un lento, ma inesorabile, declino. Il movimento nordista ideato da Umberto Bossi si era sostanzialmente caratterizzato come depositario di un compito preciso: ‘traghettare’ la politica italiana oltre le normali ‘storture’ del nostro tradizionale modello di gestione della ‘cosa pubblica’, al di fuori delle vecchie logiche feudali, clientelari e di corruzione del sistema partitico italiano. Compiti di fronte ai quali la Lega Nord non si è dimostrata all’altezza e che, forse, non ha nemmeno saputo tenere ben presenti sul proprio orizzonte ideologico. Eppure, la sua ‘partita’ era esattamente questa: riuscire a essere il ‘grimaldello’ in grado di rinnovare veramente l’Italia, anziché ‘avvitarsi’ intorno a un particolarismo egoistico che ha sempre fatto leva, quasi esclusivamente, sul proprio ‘bacino’ di consenso localistico-territoriale. La visione dei leghisti si è dimostrata totalmente priva di lungimiranza: una sorta di tardo-materialismo, falsamente pragmatico, che non ha mai saputo far riferimento a visioni e a obiettivi di reale modernizzazione liberale, oltreché federalista e autonomista, del Paese, finendo col diventare un fenomeno a sé stante, rappresentativo di un ‘abbrutimento’ reazionario della piccola borghesia rurale dell’Italia del nord. Un ‘caso’ che persino il marxismo più vetusto avrebbe saputo attendere sulla soglia dell’imprudenza e della più totale mancanza di un’univoca visione di ampia portata. La Lega Nord ha saputo rappresentare solamente una forma di protesta tumultuosa e disordinata. Ha generato - se non aggravato - difetti politici macroscopici, dai quali siamo ancora oggi ben lontani dall’esserci liberati. Difetti che, peraltro, sono dipesi proprio dal progressivo scivolamento verso la più totale inettitudine di una classe politica imperniata unicamente attorno a slogan di basso profilo, o a interpretazioni distorte della realtà popolare della tanto declamata ‘Padania’, una regione da sempre caratterizzata da un’antica cultura laburista che non solo si è sempre resa disponibile a rafforzare, con il proprio operato, lo sviluppo industriale di Paesi come il Belgio, la Svizzera o la Germania, ma che ha storicamente offerto nuove opportunità di vita e di esistenza anche a quei potenti flussi migratori, provenienti dal Mezzogiorno, che l’avevano investita sin dai tempi del ‘boom’ economico. Strutturandosi, invece, sulla stessa perniciosa natura consociativa e parassitaria di tutti gli altri Partiti, la Lega ha finito col tradire ogni aspettativa di cambiamento radicale della politica nazionale, una trasformazione che essa stessa aveva caldeggiato e promosso. Come per il fascismo, ancora una volta il senso ideologico dell’operazione era evidente: ribadire le ragioni dell’alleanza tra cattolicesimo reazionario e ceto medio conservatore sul terreno della difesa del piccolo privilegio e dell’orgoglio identitario territoriale (quello nazionalista ai tempi di Mussolini, quello eminentemente localista in quelli di Bossi), malgrado quest’alleanza potesse generare - o per lo meno ha contribuito a generare - una gestione pasticciata e inefficiente del potere, a sua volta divenuto fonte di irresponsabilità e di nuova corruzione. Si tratta di un’interpretazione che, tuttavia, ha finito coll’inciampare proprio sulla questione di una più approfondita e quanto mai necessaria riflessione intorno alla cosiddetta ‘forma-partito’, cioè sul problema di una centralità consociativa del nostro sistema di consenso che non solo risulta storicamente sconfitta sul terreno meritocratico, ma anche su quello puramente politico-culturale. La Lega, più di altri movimenti, era tenuta a dimostrare come fosse la ‘periferia’ quella che doveva contare di più rispetto alle decisioni del ‘centro’, poiché nasceva in quanto forza che si era data il compito sociologico di ‘avvicinare’ la gestione amministrativa degli enti pubblici locali al fine di facilitare la vita dei cittadini. Invece, essa ha finito col burocratizzarsi e coll’imborghesirsi, ripristinando vecchi metodi e antichi vizi di fondo. Il leghismo può ormai considerarsi una moda passeggera, durata il tempo di una stagione, altro dato estremamente similare a quello degli altri Partiti della cosiddetta ‘seconda Repubblica’, in cui le aspettative dei singoli hanno finito col rappresentare il solo e univoco metodo di gestione politica, concedendo pochissimo a una qualsiasi coerente riflessione di carattere sociale. Questo errore risulta particolarmente grave per un Partito come la Lega Nord, il quale, come precisato, diceva di volersi strutturare in base a un ‘disegno’ e a una visione ben diversa di società, fino al punto da riuscire a incidere profondamente sulla stessa forma di Governo dello Stato. Questo errore è quello politicamente più grave, in un Paese ‘gruppuscolare’ come l’Italia: nella seconda Repubblica, tutti i Partiti, a cominciare dalla Lega Nord, hanno sostanzialmente difeso l’immobilismo sociale, uno status quo che ha impedito ogni riflessione di natura collettiva o comunitaria. Il Paese poteva ripartire in base a una innovativa e approfondita attenzione verso l’operatività di squadra, attraverso nuove forme di organizzazione del lavoro predisposte per favorire una dinamizzazione dell’imprenditoria piccola e media del Paese, che invece si è ritrovata schiacciata da una concezione selvaggiamente individualista secondo una ‘deriva’ estremista puramente autoreferenziale, in cui ognuno si è sentito tenuto a portare avanti esclusivamente se stesso. E’ una forma di conservatorismo tipico della mentalità italiana, al nord come al sud, generalmente definita dalla sociologia più seria: ‘mantenimento delle posizioni’. Possono mutare i contesti geografici e ambientali, ma il vizio di fondo è lo stesso. Per tutti, da Varese sino a Reggio Calabria. In tale logica, ogni valore aziendale o di squadra viene sacrificato sull’altare di una strutturazione per ‘cordate’ in cui ogni strategia, industriale o politica, viene ridimensionata a mero congegno di rifrangimento e di difesa dell’immagine di ristrette oligarchie di potere, senza alcuna possibilità di mediazione e di dialogo con i ‘quadri intermedi’ o i cittadini stessi. Ciò è avvenuto sia nei Partiti della seconda Repubblica, sia nelle singole realtà capitalistico-aziendali della società italiana e, persino, nei metodi di gestione delle amministrazioni pubbliche. Questo è il vero errore di fondo. Uno sbaglio commesso sia dalla Lega Nord, sia dagli altri Partiti della seconda Repubblica. Ed è perfettamente inutile, oggi, venire a piangere le consuete ‘lacrime di coccodrillo’. La politica italiana deve decidersi a cambiare, deve riuscire a comprendere cosa voglia fare ‘da grande’, maturando se stessa secondo i canoni delle grandi culture politiche europee: quella socialista, quella popolare e quella liberaldemocratica. Bisogna dire basta ai movimenti improvvisati e demagogici. E si deve dare un vero e proprio ‘stop’ ai Partiti di ‘gomma’, padronali o ‘pseudofederalisti’ che siano. Le idee non sono alibi, né giustificazioni per operati e modi di fare inconfessabili. E’ venuta l’ora del disonore. Per tutti i Partiti, senza alcuna eccezione di sorta. Vergognatevi, dunque. Perché questo è il minimo che, al momento, voi politici siete tenuti a fare.
Direttore responsabile di www.laici.it e www.periodicoitalianomagazine.it