Susanna SchimpernaBamboccioni, esodati, olgettine. Ciascun gruppo ha la sua storia, ma in comune questi neologismi hanno il sapore offensivo, o quanto meno poco dignitoso. Gli esodati sono gli ultimi. Non semplicemente espulsi, oppure andati via per propria decisione: la parola è ambigua, dato che esodo significa emigrazione di un gran numero di persone sia volontaria sia forzata. La questione è nota: in seguito alla riforma delle pensioni (decreto “salva Italia” del 6 dicembre 2011), i requisiti sono di colpo aumentati fino a 66 anni per l’assegno di vecchiaia e a 42,1 per quello di anzianità. Ma chi, vicino al pensionamento secondo le vecchie regole, ha accettato gli incentivi per andarsene, ora si trova in una situazione di enorme incertezza: rischia di restare senza stipendio e anche senza pensione. Sono state quindi previste delle deroghe. Possono andare in pensione i lavoratori in mobilità (coloro che avevano perso il posto ma erano prossimi al pensionamento), i lavoratori in prosecuzione volontaria (quelli che si versano da soli i contribuiti necessari ad ottenere l’assegno Inps), i lavoratori inseriti in fondi di solidarietà. Norme precise. Tutto chiaro. Peccato che la stima dei supertecnici si sia rivelata clamorosamente sbagliata: non 65 mila lavoratori da tutelare, secondo il calcolo fatto al momento della riforma, ma un numero imprecisato che potrebbe variare da 100 a 350 mila, perché ci si era dimenticati dei lavoratori che avevano negoziato liquidazioni extra a copertura del periodo che li separava dalla pensione. Se il dato dovesse essere il più alto, saremmo di fronte alla necessità di un esborso dieci volte maggiore di quello preventivato. Indeterminata quindi, ad oggi, la cifra degli esodati e ugualmente indeterminato il tempo in cui questi emigrati (ma verso dove, poi?) potrebbero restare senza pensione né stipendio. Forse un anno o due, ma c’è chi dice 6. A sorpresa, in un programma de La7 il sottosegretario all’economia Gianfranco Polillo fa una dichiarazione dura: “Gli esodati hanno firmato un accordo con le aziende; se cambiano le condizioni che hanno legittimato quell’accordo, secondo i principii generali dell’ordinamento giuridico possono chiedere che quell’accordo sia nullo”. In un momento in cui concordia-rigore-serietà è diventata triade sacra, invece di discutere nel merito delle parole del sottosegretario, immediatamente si sceglie di attaccarlo per averle dette. Ecco che per la Cgil la sua è stata una “improvvisazione irresponsabile”, per Casini “ha sbagliato perché ci sono aspettative di migliaia di lavoratori e serve una voce sola e chiara al governo”, mentre Serracchiani considera le affermazioni “talmente avventate che la logica conseguenza dovrebbero essere le sue dimissioni”, dato che ha creato “un dannoso scompiglio e un inutile allarme”. Solo Belisario, IdV, mette l’accento sull’errore grave riguardo alla stima sugli esodati. Il punto è che bisogna tacere. I cittadini non devono agitarsi, ma dormire tranquilli, incapaci, come evidentemente si pensa che siano, di farsi con le proprie scarse nozioni aritmetiche il conto di quanto dureranno i soldi della liquidazione e quanto scarse per non dire nulle saranno le probabilità di trovare un’altra occupazione. Essere ripresi dalle stesse aziende? Da ridere. Nessuna azienda accetterebbe. Si troveranno i soldi necessari imponendo nuove accise sulla benzina, come da alcune parti si dice? Da piangere. Gli esodati più famosi della storia avevano per guida Mosè, e infatti da qualche parte arrivarono. Gli esodati nostri non hanno questa fortuna. E allora vale la pena ricordare che esodo ha anche un altro significato, forse sfuggito ai coniatori del neologismo: nella tragedia greca, era l’ultimo canto intonato dal coro quando usciva di scena; praticamente la conclusione, la fine della tragedia stessa. Mai allegra, come si sa.




(articolo tratto dal sito www.glialtrionline.it)
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